Mentre il Milan spende fior di quattrini, l’Inter ha cominciato la stagione con il freno a mano tirato. E tra i tifosi nerazzurri, la preoccupazione è palpabile: ma come, i cinesi che hanno preso il Milan sembravano inaffidabili e invece staccano assegni come se non ci fosse un domani, mentre un colosso come Suning non caccia un euro?
In un epoca in cui le fake news rischiano di creare solo confusione e allarmismi, cerchiamo di capire punto per punto in che situazione si trova l’Inter oggi, cercando di rispondere alle domande e ai dubbi che aleggiano attorno al club.
1. Il Fair Play Finanziario è stato rispettato, ma è vivo e lotta insieme a noi
Nei giorni scorsi, il club ha comunicato di aver rispettato le linee guida del Settlement Agreement che era stato raggiunto con la Uefa ai tempi di Erick Thohir azionista di maggioranza. E lo ha fatto senza dover ricorrere a quella marea di plusvalenze di cui si è favoleggiato a fine giugno. Ricordate? Titoli allarmistici del tipo “Inter, servono 30/40/100 milioni entro il 30 giugno”. Ebbene, alla chiusura del bilancio 2015/16, il 30 giugno 2016, la società era già riuscita a raggiungere “gli obiettivi stabiliti nel Settlement Agreement firmato nel 2015 di rientrare nei limiti dei 30 milioni di deficit per il periodo fiscale 2016”, come spiegato in un comunicato. Per inciso, gli obiettivi erano quelli legati al raggiungimento del deficit massimo di 30 milioni di euro, al quale sarebbe dovuto seguire il pareggio al 30 giugno 2017. Per ovviare a questo ulteriore traguardo, il club ha lavorato soprattutto sui ricavi commerciali, firmando nuovi contratti di sponsorship in Asia e legando il nome del centro tecnico di Appiano Gentile a quello di Suning, oltre ovviamente ad aver cercato sì di raggranellare plusvalenze (vedi Banega), ma senza la “grande partenza”. Sembrava in questo senso che dovesse essere ceduto Perisic, ma non è successo. Il croato, comunque convocato per l’attuale tournée asiatica, dovrebbe partire in questa sessione di mercato, per assicurare al club quella plusvalenza che permetterebbe all’Inter di lavorare con più serenità sull’obiettivo FFP. Già, perché l’Inter deve ancora sottostare alle regole per un altro anno: le regole in materia volute dalla Uefa dicono che un club deve produrre un deficit aggregato massimo di 30 milioni nelle ultime tre stagioni – il Governo europeo del calcio lavora per trienni – dunque dopo il primo anno a -30 e il secondo in pareggio – la società deve andare in break even anche per quanto riguarda la stagione appena iniziata.
2. La differenza tra Milan e Inter sta nell’accordo con la Uefa
Può sembrare fuori luogo parlare di sfortuna, perciò la definiremo “contingenza temporale”. L’Inter si è ritrovata a discutere i termini del Settlement Agreement con la Uefa prima che questa modificasse le regole in materia di FFP. Oggi Nyon permette alle società in deficit di presentare dei piani di rientro (Voluntary Agreement) che, una volta ovviamente approvati dalla Uefa stessa, permettono loro di poter rimarginare il deficit calcolato in base ai parametri del FFP (tolte quindi le spese per lo sviluppo delle giovanili e delle strutture come gli stadi), solitamente spalmati nell’arco di tre anni. Si tratta dunque di veri e propri piani industriali, nei quali un club mostra la propria capacità di fare impresa basandosi su un assunto lineare: investo per fare ricavi. Tradotto: compro giocatori per andare in Champions e incassare bonus e market pool, ma allo stesso tempo lavorare per fare della squadra un brand rivendibile nei nuovi mercati. Ecco perché il Milan si è dato alla spesa grande, grandissima: in attesa del Voluntary Agreement di ottobre, quando dovrà discutere con la Uefa il piano di rientro, investe per creare le basi di un fatturato che dovrà per forza crescere nei prossimi anni, con l’obiettivo a lungo termine di un pareggio di bilancio. A questo tipo di accordo l’Inter non può accedere, perché la Uefa lo vieta a tutti quei club che hanno già sottoscritto il Settlement.
3. Ma anche l’Inter può spendere
Certo che può. Va ricordato un assunto fondamentale: il problema non sono i quattrini, ma la gestione equilibrata del bilancio. Quando leggete articoli che dicono che !Il Milan ha speso 100, 200, 300 milioni di euro!”, si tratta di pezzi che servono ad esaltare il tifoso, ma che non spiegano cosa avviene nelle casse (e nel bilancio) rossonere nella maniera corretta. Quando un club si accorda con un altro per l’acquisto di un giocatore difficilmente lo paga tutto e subito, magari consegnando i contanti in una capiente sacca di tela con sopra disegnato il simbolo dell’euro. Solitamente, parliamo di cifre scaglionate nel corso degli anni: spesso e volentieri, il costo di un cartellino da 50 milioni di euro viene scaglionato su almeno 3-4 anni, in modo tale da non costringere subito le casse ad una tensione difficilmente sopportabile. Ecco perché quando leggete o sentite dire che con i soldi della cessione di X, il tale club comprerà Y, non è esatto. Bisogna fare attenta distinzione tra i flussi di cassa (quello di cui abbiamo parlato fino ad ora) e ciò che consegue sul bilancio a lungo termine.
Quello che conta, in questi casi, è l’effetto contabile di una spesa (o di una cessione) sui conti. Se compriamo un giocatore, dobbiamo considerare il cosiddetto ammortamento, cioè il costo annuale del cartellino di un giocatore, per tutte le stagioni corrispondenti al contratto. In parole povere, se compriamo un giocatore per 50 milioni di euro e gli facciamo un contratto di 5 anni, il suo cartellino pesa per 10 milioni l’anno, ai quali vanno poi aggiunti gli stipendi, calcolati al lordo, ovvero tasse comprese. Se invece cediamo un giocatore, dobbiamo considerare la plusvalenza – o la minusvalenza, in caso negativo – cioè la differenza positiva fra due valori del cartellino di un giocatore riferiti a momenti diversi: semplicemente, è l’effetto positivo che può generare sul bilancio la vendita di un giocatore, quando questo viene venduto a un prezzo maggiore rispetto a quello di acquisto. Per questo, ad esempio, Marco Iaria sulla Gazzetta dello Sport ha scritto sulle possibili spese dell’Inter che “Sul lato delle uscite se si procedesse con acquisti per 100 milioni, questi verrebbero ammortizzati impattando per 20-25 milioni quest’anno”: conta il lato contabile. Dunque sì, l’Inter può spendere, ma deve farlo con equilibrio. Il FFP non ti vieta di cacciare il grano, ma ti obbliga a tenere il bilancio in piedi in maniera virtuosa. L’Inter continuerà a lavorare per incrementare i ricavi commerciali (la squadra è partita per la tournée in Cina: si lavora per cercare nuovi partner), ma allo stesso tempo serve una plusvalenza: o si lavora su tante cessioni in modo da crearne una grande plusvalenza aggregata, o si va con una vendita unica. Nel primo caso, in nerazzurri potrebbero lavorare in uscita su Ranocchia (il cui valore contabile al primo luglio 2017 è di circa 1 milione di euro), Murillo (5 milioni) , Medel o Santon (2,4) oppure Brozovic (4,2). Nel secondo il maggiore indiziato resta Perisic (12,6 milioni), ma non vanno dimenticati Kondogbia (25,5) e Gabriel Barbosa (23,6): cedere anche uno solo di questi significherebbe affrontare un costo come quello per Keita della Lazio con più serenità, liberandosi al contempo di ingaggi importanti: il solo abigol prende 6 milioni lordi l’anno, per dire. Ecco allora la necessità dell’quilibrio: la parola d’ordine di Casa Inter.