Dottore facci un gol: storie di calciatori laureati

Ielpo, Fiori, Stendardo, Chiellini: tutti hanno in comune qualcosa. Ed è il titolo che si assume quando si prende un pezzo di carta in più degli altri. Sono casi rari, ma esistono

“Dottore, dottore, dottore del buco del culo, vaffanculo vaffanculo!”. I cori fuori dall’aula, nel suo orecchio, echeggiano quelli della curva. Se chiude gli occhi può immaginare di essere lì, sul campo, vestito in calzoncini e maglietta, e non davanti alla porta dell’aula in cui è appena avvenuta la proclamazione. È estate, tempo di lauree: la cravatta fa pressione contro il pomo d’Adamo; la camicia pezzata è ben nascosta dalla giacca di Armani appena comprata; le scarpe, ben pulite, stringono più di quelle tacchettate.

“Dottore, dottore, e vai dottore facci un gol”. Nel cristallo di tempo tutto si confonde: spazio, tempo, l’ansia di leggere il capitolo prima dell’allenamento e la paura di sbagliare il rinvio dalla propria tre quarti. Riapre gli occhi e, dopo essere stato travolto dai genitori, parenti stretti e larghi, nipoti e pronipoti del laureando successivo, riesce a guardare negli occhi il padre, che alla fine non ci sperava più, la madre, che trattiene a stento la commozione, e la nonna in demenza senile avanzata, con la dentiera claudicante sporca di cioccolato e gli angoli della bocca macchiati dal colorante rosso dei confetti. E poi, sulla destra, lei, la fidanzata, che sta aspettando la fine dei festeggiamenti per rendere esplicita una crisi procrastinata a forza di Maalox.

Solo ora il bisturi può incidere il grumo purulento. Solo ora, alla fine della stagione e del semestre. I flash dei fotografi mandati da Gazzetta, Corriere dello Sport e Tuttosport immortalano questa serie di sorrisi, talvolta falsi, talvolta disorientati: alla fine la laurea di un giocatore, anche di un giocatore qualsiasi, è sempre una notizia. La rilevanza dell’evento è commisurata a due fattori: la notorietà del calciatore e l’esiguità quantitativa dei laureati nel mondo del pallone. Secondo un calcolo della Gazzetta, il rapporto è di uno su cento. Molto basso, anche per un paese come l’Italia.

La scarsità dei laureati, tuttavia, non implica che non vi siano casi illustri. Uno su tutti: Mario Ielpo. L’ex-portiere di Lazio, Siena, Cagliari, Milan e Genoa si laurea all’inizio degli anni Novanta in giurisprudenza. Da quel momento diviene per tutti l’Avvocato Ielpo: questa denominazione, sbandierata dai conduttori delle dirette di TeleLombardia e dai messaggi degli spettatori, abituati al burocratese fantozziano delle comunicazioni interaziendali, si è trasformata col tempo in epiteto formulario. Malgrado lo stesso Ielpo, forse. Il quale, quando arriva al Milan, nel 1993, mira al ruolo di titolare al tempo occupato da Sebastiano Rossi. Quando capisce di non poter competere con il romagnolo (d’altra parte, per il cesenate, la stagione 1993/1994 sarà quella del record d’imbattibilità), mette in atto quel piano b che tutti i calciatori si ritrovano, prima o poi, a elaborare: nel giro di un anno, alla fine del 1994, riesce a iscriversi all’ordine degli avvocati del foro di Milano.

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