La stazione Centrale di Milano è lo specchio di un’Italia ostaggio delle tifoserie

La politica e i media hanno trasformato quella piazza nello Speakers' Corner nazionale. Chiunque può prendere un microfono e risolvere i problemi del mondo. Ma a metterci la faccia su un'emergenza ormai perenne vengono mandate le forze dell'ordine

Quello è il segnale: gli addetti alla metropolitana che chiudono i cancelli degli ingressi periferici. Poi nei portici attorno alla piazza iniziano a muoversi con discrezione gli agenti delle forze dell’ordine in borghese, che cercano di mettere a fuoco ogni metro quadrato di spazio. Quando dalle vie laterali spuntano anche i furgoncini con gli uomini in divisa significa che un nuovo controllo a tappeto attorno alla stazione Centrale di Milano è già iniziato. L’obiettivo sono i disperati che vivono nelle aiuole della piazza, a cielo aperto. Sono soprattutto immigrati, e uomini. Alcuni di loro tentano la fuga correndo via in gruppo, con gli zainetti in spalla. Gli altri si fermano, ci sono ormai abituati. La perquisizione, i documenti da mostrare, il viaggio verso la questura se questi documenti non ci sono o non sono in regola o c’è un reato da contestare. Il giorno dopo, si ritorna al punto di partenza.

La stazione Centrale di Milano è diventata lo specchio di un’Italia sospesa fra rigore e lassismo. Non c’è contraddizione sociale – soprattutto d’estate – che non venga ormai messa in scena sotto la sua facciata così familiare. C’è un po’ di tutto, di questa strana società, in quella stazione. La monumentalità della storia e la miseria della cronaca. C’è il lusso dei grandi alberghi, dove una donna che indossa il velo è simbolo di ricchezza. E c’è la babele di esistenze che sopravvivono di espedienti – non sempre legali – nell’infinita piazza contesa fra chi bivacca e chi chiede più sicurezza. Fra chi deve prendere solo un treno, e può fare a meno di schierarsi, e chi deve lavorarci ogni giorno ed è costretto a prendere posizione. Magari applaudendo i poliziotti, attentissimi a non usare le maniere forti.

La Centrale è diventata lo specchio di un’Italia sospesa fra rigore e lassismo. Non c’è contraddizione sociale – soprattutto d’estate – che non venga ormai messa in scena sotto la sua facciata così familiare. C’è un po’ di tutto, di questa strana società, in quella stazione. La monumentalità della storia e la miseria della cronaca

La sostanza è che la stazione Centrale di Milano raccoglie tutti. Chi parte, chi arriva. E anche chi resta. I pendolari. I turisti. I commercianti. I migranti che sbarcano dal Mediterraneo e cercano la via del Nord Europa, spesso senza avere i documenti in regola. I senzatetto. I volontari. I poliziotti. I carabinieri. I militari invocati da molti come la soluzione di tutti i mali. I vigili urbani. I criminali. I predicatori. I perditempo che guardano i treni partire. Gli skaters. E’ una stazione, insomma. E da che mondo è mondo una stazione così grande raccoglie e respinge chiunque. Ma quando si racconta quello che accade di questi tempi in Centrale, bisogna distinguere con cura la forma dalla sostanza. C’è infatti tutto un grande palcoscenico politico-mediatico che è stato allestito in quella piazza. Un po’ paradiso, un po’ inferno. Un purgatorio sociale.

La parola blitz, siamo ormai al terzo dell’estate, alimenta la fame di notizie che non ci sono. Conferma le paure di chi conosce la sostanza della vita quotidiana e chiede da sempre (ignorato) maggiore presenza dello Stato. Sprigiona le proteste di chi teme invece la criminalizzazione anche della povertà. E scatena la ricerca del consenso da parte dei politici. Chi a favore, chi contro l’uso del rigore. Chi si presenta con le borse della spesa a dare conforto, chi con gli striscioni che urlano di aiutarli a casa loro. Un ‘loro’ indistinto. La stazione Centrale di Milano è diventata insomma lo Speakers’ Corner italiano. Ogni giorno arriva qualcuno che brandisce il microfono e risolve i problemi del mondo. Ma al (metaforico) calar della sera tutti lasciano il cerino in mano alle forze dell’ordine, costrette a mettere la faccia laddove chi avrebbe dovuto spiegare, decidere, governare ha iniziato a spiegare, decidere, governare troppo tardi.

Le soluzioni valgono meno della drammatizzazione dei problemi, i quali non sono solo alla stazione Centrale ma alla stazione Centrale fanno notizia, creano un dibattito che oscura tutto il resto. Senza l’emergenza perenne, dove si sarebbero cercati voti (e spettatori)?

@ilbrontolo

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