Nel mito mediatico pop di Diana Spencer (conosciuta anche come Lady Diana, Lady D, Lady Di, 1961- 1997) c’è la conferma del candore planetario. Lo spettacolo plateale, a volo di gabbiano reale, dei semplici che scelgono una mediocre fan dei Duran Duran come propria martire glamour.
Già, come possa una ragazza del tutto banale diventare una (presunta) icona di stile, gusto e taglio di capelli risulta davvero incomprensibile, se non mettendo la sordina alla vera complessità e perfino al senso del limite e del ridicolo. Tuttavia, terribile a dirsi, questo paradosso pop risulta chiaro soprattutto a chi, in luogo di Lady Diana, e ovviamente dei Duran Duran, ha sempre preferito il Frank Zappa di Tengo una minchia tanta, cioè le armi dell’ironia a fronte di un personaggio che mostra la stesso spessore di un cartonato da “coiffeur pour dames”, sia pure d’altissimo rango.
In ogni caso, davanti a questo genere di santificazioni pop non c’è intelligenza che tenga, vincerà sempre e comunque il kleenex accluso al rotocalco lacrime e gossip. D’altronde, in altri tempi, pensando a miti non meno privi di nota, uno scrittore implacabile come Louis-Ferdinand Céline, riflettendo proprio sul tema dell’afflizione che produce fama, era stato chiaro: “Inutile lottare contro Aznavour, tutte le midinette sono con lui”. Le “midinette”, per chi lo ignori, sono le modiste, le sartine. Senza offesa per queste ultime, in termini di fantasia c’è però da sperare in qualcosa di meglio, di più.
Come possa una ragazza del tutto banale diventare una (presunta) icona di stile, gusto e taglio di capelli risulta davvero incomprensibile. Tuttavia, terribile a dirsi, questo paradosso pop risulta chiaro soprattutto a chi, in luogo di Lady Diana, e ovviamente dei Duran Duran, ha sempre preferito il Frank Zappa di Tengo una minchia tanta
Nel vertiginoso serpentone spettacolare che ne contempla l’esistenza mondana in vita, Diana, porella, esordisce con un gonnellone anerotico da babysitter, anzi, come si sarebbe detto al tempo dei romanzi rosa di Barbara Cartland, sua nonnastra, da maestra giardiniera, aria compita, occhi bassi, collettino da alto educandato, Austin “Metro” rossa come oggetto di locomozione.
Ma eccola presto selezionata dalla Regina Madre affinché sposi il nipote erede al trono Carlo, e, mi raccomando, “che sia vergine!”. Dunque, Diana presentata a palazzo, Diana che impara l’uso delle posate, soprattutto del coltello da pesce, Diana con i completini abbottonati e stretti al collo da un fiocco giallo, Diana e il suo naso da tucano britannico, Diana e il suo naso d’improvviso forse rifatto dai chirurghi, seguiranno assai presto, davanti ai primi dissapori coniugali, le occhiaie di Diana, “principessa triste”, ergo Diana infelice, Diana che piange perché Carlo ha da sempre un’altra, Camilla.Carlo, intanto che Diana frigna, sogna il paesaggio toscano, sogna Masaccio, Rosso Fiorentino, Piero Della Francesca, il Chianti; Diana sogna invece sempre i Duran Duran, e poi eccola fotografata con l’amico Elton John. Carlo, sempre lui, lo immaginiamo proprio insieme a Camilla e, tra un acquarello e l’altro, sembra dirle sottovoce: amore mio, sapessi quanto è stupida mia moglie, e che vita di merda essersela dovuta accollare… S’intende che Carlo non dice proprio così, ma il senso è quello.
Diana con William, il principino, appena nato, Diana che vomita, Diana bulimica, Carlo che torna ancora una volta da Camilla e, rassettandosi il kilt da vero principe di Galles, ribadisce: te l’ho già detto quanto è limitata mia moglie?
Carlo che giustamente preferisce Camilla, nel frattempo giunge la nascita di Harry, il piccolo Harry con la sua gorgiera nelle foto di gruppo, e la regina che, pensando sempre alla nuora, sembra dire a se stessa: ma questa chi ce l’ha portata a Balmoral? Diana e i suoi molti amanti, Diana che si consulta con la cartomante, contessa Rosanna Mazzaglia Cutelli, come una Anna Oxa qualunque, Diana in compagnia dell’amico Gianni Versaci (come da pronuncia anglosassone!), Elton John che intanto dice a Diana: ma come cazzo ti sei vestita? Diana che chiama i fotografi, Diana che fornisce ai giornalisti ogni dettaglio per sputtanare la cordiale famiglia reale, Diana che si separa, le occhiaie di Diana, lo zigomo dolente, Diana che nell’intervista chiaroscurale dice: sapesse quanto mi hanno fatto soffrire questi signori Windsor.Carlo, sempre lui, lo immaginiamo proprio insieme a Camilla e, tra un acquarello e l’altro, sembra dirle sottovoce: amore mio, sapessi quanto è stupida mia moglie, e che vita di merda essersela dovuta accollare. Carlo che pensa: ma chi me l’ha fatto fare a sposare ‘sta scema
Carlo che pensa: ma chi me l’ha fatto fare a sposare ‘sta scema, non sarebbe stato meglio lasciarla a fare la maestra giardiniera? Diana che va a dare una carezza agli ammalati di AIDS, il frangettone di Diana tra le mine antiuomo, Diana con i figli al luna park, Diana vestita da Valentino, Diana vestita da Armani, Diana che piange al funerale di Gianni Versaci, Diana che ritelefona alla cartomante, Diana che consegna la coppa al capitano Hewitt, suo amante, presunto genitore biologico di Harry, “… ma che non l’hai visto che so’ uguali, eh?”, così la vox populi, e ancora, e infine, tutti noi, gli appassionati di Frank Zappa, e non certo di Simon Le Bon, che ci domandiamo quanto Diana Spencer dovesse essere legnosa a letto. Lo sguardo cinico di Andy Wharol su Carlo e Diana, così come traspare dal ritratto che ne ha fatto, utilizzando le foto ufficiali di corte: entrambi cartonati viventi. Le candide stupide che, in certi anni, chiedevano al coiffeur la pettinatura spiovente laterale come Diana.
Un passo indietro, dai.
Diana e le sue nozze in mondovisione alla cattedrale di Saint Paul, 29 luglio 1981, Diana che balla con John Travolta indossando “un sensualissimo abito di velluto blu notte, da allora conosciuto come ‘Travolta dress’ venduto poi all’asta del 2011 per oltre 500.000 dollari” (sic), Diana al festival di Cannes, Diana con Madre Teresa di Calcutta, Diana con messa in piega e collettone bianco alzato nuovamente tra le mine antiuomo, Diana, che intervistata nel 1995, racconta della sua relazione con il maggiore Hewitt, le nuove occhiaie di Diana, le guance scavate di Diana, il camino “vittoriano” alle spalle di Diana durante l’intervista alla BBC, la faccia da vittima mentre si racconta autolesionista, Diana con la borsa griffata “Luigi Vuittone”, sorta di svastica- monogramma del glamour internazionale, il faccione di Dodi, il faccione levantino del papà di Dodi, le immagini delle telecamere a circuito chiuso con Diana e Dodi dell’Hotel Ritz di Parigi, l’autista ubriaco, i fotografi all’inseguimento, le foto di Diana morta che, prima o poi, verranno fuori, il tunnel dell’Alma a Parigi, la torcia della statua della libertà di New York diventata il monumento a Diana, “porella”, la regina che scende da Buckingham Palace per far finta di leggere, dolente e compresa, i biglietti che accompagnano i fiori, lo smile implicito dei fiorai di Londra che non hanno mai venduto così tanto in vita loro, Tony Blair che parla di “principessa del popolo”, dove “people” sta in realtà per “gente”, ossia i lettori di “The Sun, vent’anni dopo, vatti a fidare proprio della Gente, in pochi vanno a visitare la sua tomba ad Althorp.
Diana che ritelefona alla cartomante, Diana che consegna la coppa al capitano Hewitt, suo amante, presunto genitore biologico di Harry, “… ma che non l’hai visto che so’ uguali, eh?”, così la vox populi, e ancora, e infine, tutti noi, gli appassionati di Frank Zappa, e non certo di Simon Le Bon, che ci domandiamo quanto Diana Spencer dovesse essere legnosa a letto
“Innocent Victims”, il tarrissimo memoriale all’interno di Harrods dedicato a Diana e Dodi con tanto di gabbiano afro-pakistano che si libra nel cielo degli affari della City, e via con il complottismo. Nei giorni della morte di Diana, “l’Unità” del mio amico Piero Sansonetti così titolò: “Scusaci, principessa”. Un titolo che ancora adesso resiste nella memoria perfino più del ricordo di Diana stessa, rinfacciato ai “comunisti”, e allo stesso Piero, al pari, se non di più, del panegirico tessuto dal medesimo giornale per la morte di Stalin nel 1953.
Che futuro avrebbe avuto Diana in assenza di una fine così tragicamente ingiusta? “Temo che andrebbe immaginata come accompagnatrice di ricchi gay del jet set internazionale”, parola della scrittrice Gaia Servadio, che assai bene conosce il mondo all’ombra dell’Union Jack. Sipario. Abbasso i Duran Duran, viva sempre Frank Zappa!