Lombardia verso il referendum: «Possiamo fare meglio di Roma»

Parla Stefano Bruno Galli, ideologo della consultazione autonomista indetta da Maroni. Obiettivo non sono solo più materie di competenza ma anche uno status adeguato ai 56 miliardi di residuo fiscale. Per trionfare servono almeno 5 milioni di elettori al voto

Sì, ci sono le materie in più da negoziare, in base al terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione repubblicana. Ma una vittoria del Sì al referendum (consultivo) per l’autonomia deve portare anche a «rinegoziare tutto il rapporto fra lo Stato italiano e la Regione Lombardia». L’obiettivo politico è indicato da Stefano Bruno Galli, docente di dottrine politiche ma soprattutto ideologo del referendum indetto dal governatore leghista Roberto Maroni, della cui lista civica è capogruppo consiliare al Pirellone. Se andrà come dice Galli, lo si vedrà dopo il 22 ottobre, quando i cittadini lombardi si saranno pronunciati su un quesito votato dal centrodestra e anche dal Movimento 5 Stelle, che ha ottenuto il richiamo all’articolo 116 al posto dell’originaria richiesta dello Statuto speciale. Ci sarà voto elettronico ma non ci sarà quorum, a differenza di quanto accadrà lo stesso giorno per il referendum consultivo per l’autonomia del Veneto. «Da un sondaggio che abbiamo in mano – dice Galli a Linkiesta -, il 50% dei lombardi è intenzionato ad andare a votare. Si tratta di poco meno di 4 milioni di aventi diritto al voto. Il botto lo facciamo se vanno a votare 5 milioni di cittadini. A quel punto possiamo andare a Roma a negoziare tutto quello che vogliamo».

Professore, nel quesito referendario si fa cenno anche a una ‘specialità’ della Lombardia. Che cos’è esattamente?
Sono le radici della Lombardia. Ce ne ha parlato nel 1840 Carlo Cattaneo, padre del pensiero federalista, che ha fotografato la nostra regione in modo preciso e ancora attuale: una forte vocazione alla produttività, un grande senso del lavoro e una profonda lealtà nei confronti delle istituzioni, il che significa soprattuto pagare le tasse. Poi ce ne ha parlato, nel 1989, Gianfranco Miglio, che sulla falsariga di Cattaneo ha affermato che l’identità lombarda arriva da lì, dalla vocazione economico-produttiva e dalla conseguente capacità fiscale.

Ma oggi in che cosa sarebbe speciale, la Lombardia?
Cito un dato su tutti: i 56 miliardi di residuo fiscale. E’ una rapina che non ha eguali in nessuna parte del mondo.

Si spieghi meglio.
La Catalogna, come tutte le altre regioni spagnole, fra il 1978 e il 1981 negoziò i suoi margini di autonomia da Madrid in base alle proprie caratteristiche e alla propria capacità fiscale. Nemmeno quarant’anni dopo non le basta più quell’autonomia, perché ha 8 miliardi di residuo fiscale. Poi posso parlarle della Baviera, che due anni fa ha fatto il diavolo a quattro con Berlino, perché il suo residuo fiscale era di un miliardo e mezzo. E la Lombardia, che ne ha 56 di miliardi, che cosa dovrebbe fare?

La specialità, dice Galli, è nelle radici della Lombardia. Ce ne ha parlato nel 1840 Carlo Cattaneo, padre del pensiero federalista, che ha fotografato la nostra regione in modo preciso e ancora attuale: una forte vocazione alla produttività, un grande senso del lavoro e una profonda lealtà nei confronti delle istituzioni, il che significa soprattuto pagare le tasse. Poi ce ne ha parlato, nel 1989, Gianfranco Miglio

Questo è il punto del referendum autonomista. Che ulteriori spazi di autonomia intende ottenere la Lombardia con il voto?
Ma la questione non è in questi termini. Non si tratta di avere qualche materia in più. Se si andrà a negoziare in base al comma 3 dell’articolo 116 della Costituzione, il massimo che si può portare a casa sono 26 materie, le stesse del Friuli Venezia Giulia.

E non basterebbero?
No! Il Pd di Gori chiede due materie in più, i 5 Stelle ne chiedono quattro, nel 2007 il governatore Formigoni ne chiese dodici. Ma io dico che nemmeno le dodici materie chieste da Formigoni bastano. E’ troppo poco di fronte a 56 miliardi di residuo fiscale, bisogna invece andare a Roma a rinegoziare tutto il rapporto fra lo Stato e la Regione, fra il centro e la periferia, perché ci sia maggiore lealtà e più equità da parte dello Stato. E la Lombardia è nelle condizioni di farlo.

Ma come si arriva a questo, visto che il quesito richiama precisamente la procedura prevista dall’articolo 116?
Ci si arriva, certo, portando a casa margini di autonomia molto maggiori, ma rinegoziando parallelamente la questione del residuo fiscale.

Per esempio, che cosa può proporre la Lombardia?
Per esempio, può voler dire farsi carico della polizia o delle scuole. Ma non so dirglielo io, questo dipenderà dalle scelte politiche successive, una volta ottenuto il consenso del popolo.

Il punto però, professore, è che si tratta di un referendum consultivo. Il giorno dopo, quindi, potrebbe non succedere nulla.
Il terzo comma dell’articolo 116 ha introdotto nel 2001 lo strumento del regionalismo differenziato per premiare le Regioni virtuose. Il principio è sacrosanto ma ha dimostrato di non funzionare, nemmeno quando sono stati governatori dello stesso colore politico del capo del Governo a chiedere l’avvio di un negoziato. Il consenso popolare può far invece funzionare questo meccanismo e renderlo anche migliore, perché si sottopone un negoziato a porte chiuse all’esame dell’opinione pubblica.

Devono vincere i Sì ed esserci anche una buona affluenza il 22 ottobre, perché la Lombardia abbia questa forza…
Da un sondaggio che abbiamo in mano, il 50% dei lombardi è intenzionato ad andare a votare. Si tratta di poco meno di 4 milioni di aventi diritto al voto. Il botto lo facciamo se vanno a votare 5 milioni di cittadini lombardi. A quel punto possiamo andare a Roma a negoziare tutto quello che vogliamo.

Non c’è il rischio di un effetto domino, con tutte le altre Regioni che a quel punto chiederanno a loro volta lo stesso trattamento della Lombardia?
Se ci fosse l’effetto domino, sarebbe solo un effetto positivo. Perché farebbe emergere le virtuosità e farebbe funzionare meglio la macchina pubblica. Non possiamo continuare a considerare uguali tutte le Regioni. La Lombardia non è come la Basilicata.

@ilbrontolo

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