Manuel Torres: «Barcellona? Un attentato inevitabile»

Per il membro del think tank Gesi in una Spagna che ormai si riteneva al sicuro il radicalismo cresce ovunque. E nonostante il buon lavoro di intelligence, il fenomeno appare inarrestabile

L’idea civica è stata sempre quella dell’immunità. Dopo gli attentati dell’11 marzo 2004 alla stazione di Atocha di Madrid, dove si contarono 192 morti e oltre 2000 feriti, gli spagnoli sembravano aver già pagato pegno.
Con una politica estera quasi inesistente – nessun protagonismo in Siria né rischi di sorta come risposta all’emergenza subshariana alla jihad – la Spagna ha vissuto tredici anni di pace, mentre la Francia, il Belgio, il Regno Unito o la Germania pagavano il prezzo delle proprie guerre. Ma tant’è. L’attentato di Barcellona arriva come uno schiaffo, la cui mano probabilmente (almeno finora) appartiene a un ragazzino di 17 anni. “La questione non è tanto quella della risposta a cosa succede in Siria o in Iraq”, ribatte Manuel Torres, esperto di guerra santa, docente all’Università Pablo de Olavide di Siviglia e membro del Gesi (think tank sulla sicurezza internazionale), “l’Occidente è il nemico è va attaccato in qualsiasi momento. Adesso quel momento era propizio: c’era la possibilità oggettiva che uno dei tanti attentati preparati e finora sventati avessero successo”, spiega l’esperto a Linkiesta.

Dopo gli attentati dell’11 marzo 2004 alla stazione di Atocha di Madrid, dove si contarono 192 morti e oltre 2000 feriti, gli spagnoli sembravano aver già pagato pegno

D’altronde, secondo quanto confermato dal ministero degli Interni, quest’anno le operazioni anti-jihadiste hanno avuto un incremento preoccupante. E Madrid aveva innalzato già dal 2015 l’allarme al codice 4 (dove il 5 rappresenta massima allerta). Prima dell’attentato di Barcellona, le forze armate sono intervenute in 36 casi, hanno arrestato 51 terroristi sul suolo iberico e tre all’estero.
Ma c’è di più. Le analisi di Torres raccontano di un 2016 chiusosi con un dato inquietante: si è raggiunta la cifra record di menzioni da parte della propaganda jihadista. La Spagna è stata citata ben 44 volte, il che significa il dato più elevato dagli attentati dell’11 marzo. Il paese condivide con altri stati occidentali gli stessi discorsi: è un alleato degli Usa, forma parte della coalizione militare internazionale che ‘occupa’ zone musulmane e fa antiterrorismo.

Ma allo stesso tempo ha caratteristiche specifiche che aggravano la minaccia: “lo jihadismo percepisce la Spagna come occupante illegittimo di Al Andalus, terra appartenente alla comunità islamica, che è stata portata via e occupata da infedeli. Fanno un racconto interessante sulla storia del Maghreb, che mostra inevitabilmente l’espansione dell’Islam nella penisola iberica e la creazione di Al Andalus”, aggiunge l’analista. “La forte irruzione dell’Isis sul Maghreb è un elemento di ulteriore preoccupazione per la sicurezza spagnola”, avverte il professor Torres. A questo si aggiunge la rivendicazione su Ceuta e Melilla, “la cui collocazione geografica a nord del Marocco, e la presenza importante di popolazione musulmana, è servita come base di appoggio non solo per organizzare operazioni ma anche per il reclutamento”.

In provincia c’è una radicalizzazione maggiore rispetto al resto della Spagna, dovuta non solo a una ingente presenza della comunità islamica, che in sé non vuol dir nulla, ma soprattutto alla presenta di centri religiosi e moschee vincolate al salafismo

Poi, nello specifico, ci sono i numeri di Barcellona. I più alti: 14 arresti in 10 operazioni da inizio anno, 62 arrestati e 30 interventi di polizia, dal 2012. Non a caso, negli ultimi tempi, la provincia catalana è stata fonte di non pochi grattacapi per le forze di sicurezza. Lo scorso maggio è stato arrestato un sospetto jihadista che ha avuto contatti regolari con altri arrestati per la loro adesione allo Stato islamico e con membri prominenti di quest’organizzazione situata nella zona dei conflitti siriani-iracheni.

E, proprio in provincia, si nascondevano altri tre sospetti terroristi legati agli attentati di Bruxelles. “È una zona calda proprio per l’alto livello di operazioni che si sono registrate negli ultimi anni. E questa concentrazione non è certo accidentale. C’è una radicalizzazione maggiore rispetto al resto della Spagna, dovuta non solo a una ingente presenza della comunità islamica, che in sé non vuol dir nulla, ma soprattutto alla presenta di centri religiosi e moschee vincolate al salafismo, elemento che, in un determinato contesto sociologico, potrebbe essere un buon sostrato per cellule violente”. Se c’è qualcosa che è andato storto, in una vicenda ancora aperta, secondo Torres è tutto da vedere.
“La Spagna è stato uno dei paesi più attivi al momento di fermare e prevenire il terrorismo e il lavoro del corpo di polizia è stato tra i migliori possibili. Probabilmente quest’attentato era inevitabile”.

@si_ragu

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