A poco più di un anno dal referendum sulla Brexit, oltre la manica l’umore non è proprio dei più alti. Ovviamente, come da fiera tradizione Britannica, il business continua “as usual” ma permane la preoccupazione per i dati economici che raccontano di un’economia in rallentamento (nell’ultimo trimestre la crescita congiunturale è stata dello 0.3%, al livello dell’Italia e più lenta di qualsiasi altro stato dell’Eurozona), consumi fermi e salari che non tengono il passo dell’inflazione.
Anche il Big Ben ha suonato il suo ultimo rintocco per i prossimi quattro anni. La grande campana che scandisce le ore sopra il Parlamento sarà sottoposta a lavori di restauro, una coincidenza che rintocca come un sinistro presagio. Sicuramente i prossimi quattro anni non saranno semplici per il Regno Unito e ciò sarebbe stato difficilmente prevedibile poco più di dodici mesi fa, quando l’economia cresceva a velocità sostenuta.
Più che i problemi strutturali (i dati delle earning season britanniche sono stati molti positivi, con più dell’80% delle aziende che hanno sovraperformato le aspettative) a pesare sembra essere l’incertezza politica che circonda la grande questione che il Governo di Sua Maestà dovrà risolvere nei prossimi anni: come negoziare e implementare una Brexit che sia vantaggiosa per tutte le parti in causa e meno distruttiva possibile per gli affari. Se si guarda per esempio al dato sull’ammontare degli investimenti delle imprese, che è un buon indicatore del livello di fiducia, si può notare che da dopo il referendum sulla Brexit sia al palo, dopo 5 anni di crescita costante (grafico).
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I negoziati sui dettagli delle questioni principali non sono ancora iniziati e la scadenza del 2019 si avvicina. A farne le spese, per il momento, è soprattutto la divisa britannica