Previsioni sui mercati: investimenti o scommesse?

Come mai tanto spesso le previsioni degli esperti si rivelano completamente sbagliate? Perché seguire il generale "consensus" si traduce in una cattiva scelta? Perché le variabili in gioco sono tante, troppe

Le previsioni sbagliate di borsa non si contano e bisogna dire che molte di loro sono state formulate dalle più autorevoli fonti. Nel bel mezzo della crisi subprime, nel gennaio del 2008 Bader Al Sàad, numero uno della Kuwait Investment Authority, non ebbe alcuna titubanza a definire «una grande opportunità di investimento il settore finanziario americano»: otto mesi dopo, in febbraio, fallì Lehman Brothers e l’indice settoriale del Dow Jones non ha ancora recuperato i livelli dell’epoca.

Nel 2014 l’Agenzia internazionale dell’Energia previde un aumento della domanda di petrolio pari a 1,3 milioni di barili al giorno, e quasi tutti gli addetti ai lavori erano concordi nel ritenere che il prezzo sarebbe rimasto stabile come negli ultimi quattro anni. Le cose, lo sappiamo tutti, andarono assai diversamente. Nel luglio del 2014 iniziò la discesa, il brent quotava all’epoca 108,67 dollari: mentre scrivo, il 10 febbraio del 2016, il barile viene scambiato a 30,64 dollari, un calo prossimo al 72%.

Ma come mai tanto spesso le previsioni degli esperti si rivelano completamente sbagliate? Perché seguire il generale “consensus” si traduce in una cattiva scelta?

Anzitutto perché le variabili in gioco sono tante, troppe.

Una curiosità. Di recente un team di ricercatori del Tippie College of Business dello Iowa ha cercato di capire se davvero fosse possibile prevedere scientificamente il mercato, vale a dire con un margine di accuratezza superiore a quel 50% che contraddistingue le distribuzioni casuali. Per dirla altrimenti: il tiro di dadi.

Bene, il tentativo è riuscito a metà: un algoritmo che consentisse un margine previsionale superiore alla pura casualità è stato trovato, ma purtroppo la finestra di applicabilità del modello non può superare i 30 minuti. Il test è stato condotto sull’Indice S&P 500, vale a dire sull’indice che include le 500 azioni considerate più rappresentative del mercato borsistico statunitense.

Si è visto che finché il prezzo del titolo oscilla tra bid e ask – vale a dire prezzo di domanda e di offerta – non è possibile identificare alcuno schema ricorrente.

Se invece questo spread viene infranto, si riesce ad arrivare ad una prevedibilità del 52%. Ma su orizzonti temporali ristrettissimi –da pochi secondi a, come dicevamo, 30 minuti – tali da non essere minimamente condizionati dai fattori esterni, quali per esempio informazioni di mercato o eventi geopolitici.

L’esperimento si commenta da sé: siamo ben lontani da quel tipo di previsioni che vediamo quotidianamente diffuse sui media specializzati e non solo. Un genere di previsione che nasce solo ed esclusivamente per rispondere ad una domanda di sicurezza che giunge dal vasto pubblico di investitori, non certamente – lo abbiamo visto – da una sua possibilità scientifica.

Non solo: molti degli investitori di maggior successo, da John Templeton a George Soros, hanno fatto sempre esattamente il contrario di quanto indicava l’opinione diffusa, nella convinzione che –come diceva Templeton – «Se compri (e vendi, n.d.r.) le azioni che comprano tutti, avrai gli stessi risultati di tutti». È quel che si chiama “investimento contrarian“.

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