Una guerra è in corso tra la statistica e le nostre indignazioni pubbliche. Non facciamo in tempo a prendercela per la perdita di valori – qualunque essi siano, progressisti o conservatori pari sono – che da qualche parte salta fuori una statistica che rende ogni pensiero marginale e irrimediabilmente privato. Pensavamo di essere surfisti sull’onda di un grande idea storica insieme a un popolo in rivolta e ci ritroviamo con una nostra insignificante idiosincrasia, una semplice emozione travestita da idea universale.
Curioso poi che questa azione solvente della statistica sia a tutto campo e non risparmi nessuno. Un giorno colpisce una persona di simpatie conservatrici preoccupata per la perdita dell’identità culturale europea minacciata dalle immigrazioni. Arriva la statistica e dimostra che le cifre sono sempre meno catastrofiche di quel che si pensava. Non fai in tempo a rallegrarti per la degradazione delle idee altrui a pregiudizi che ti ritrovi nella stessa situazione. Hai appena deriso l’amico troppo preoccupato per l’invasione dei migranti che magari ti ritrovi a scoprire che il tasso di femminicidio è, in realtà, bassissimo. Numeri modesti che vanno d’accordo con la diminuzione della delinquenza in atto da anni.
Cerchi di consolarti pensando “sì, ma in Italia…” e poi scopri che la strage delle donne è soprattutto un problema del nordeuropa e che l’Italia è sotto la media europea. D’altro canto avevamo appena detto all’amico destrorso che tutta questa sua preoccupazione per la sicurezza è esagerata. Potevamo anche aspettarcelo che anche la strage delle donne seguisse la stessa tendenza. Ce lo dice il rapporto dell’Onu sugli omicidi in base al sesso. E ce lo ha dimostrato lo psicologo (e statistico) Steven Pinker in “Il Declino della Violenza”. La violenza diminuisce nel mondo, e quindi diminuisce anche la violenza degli immigrati. E però anche viceversa, cioè diminuisce la violenza dei gruppi xenofobi contro gli immigrati.
Con la statistica sembra che non accada mai nulla
In teoria dovremmo essere tutti più contenti. Invece ci sentiamo tutti un po’ stupidi, senza il nostro nemico preferito. Isaia 11, 1-10: “Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo giacerà col capretto, il vitello, il giovin leone e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà” e tutti si sentiranno un po’ cretini e un po’ infastiditi. Nietzsche ci aveva avvertito: senza odio da nutrire ci annoiamo. Grattarsi può essere dannoso ma è anche piacevole e l’impossibilità di farlo è seccante. È come avere un prurito persistente proprio su quel punto della schiena dove non riusciamo a grattarci.
La mente funziona per generalizzazioni. Nei tempi antichi, quando c’erano i soliti greci, eravamo contentissimi di questa nostra peculiarità, la capacità di generare concetti. Ci faceva sentire alla sommità della creazione. Bei ricordi di scuola. Socrate, Platone, Aristotele, i concetti, le idee, ma anche Prometeo. Che forza, che potenza, che bel pensare! Oggi siamo più prudenti. Ogni concetto che mettiamo assieme si irrigidisce in un pregiudizio nel tempo di cottura di un uovo. Siamo lì con una buona idea e dopo un po’ ci ritroviamo con una realtà incomprensibile che riduce ogni nostra rappresentazione a uno stereotipo. Che bella l’idea dell’Occidente patria dei diritti individuali e ti ritrovi a essere uno spaurito intollerante di provincia pieno di pregiudizi. Che bella l’idea del maschio violento e dopo un po’ ci ritroviamo quasi di fianco al filisteo che rimpiange i tempi antichi eternamente preoccupato da un inesistente aumento della violenza moderna (è vero il contrario) o peggio rasentiamo il pregiudizio anti-meridionale dopo aver scoperto che gli amici nordeuropei uccidono più donne di noi italiani.
Insomma, con la statistica sembra che non accada mai nulla. Le cifre non sono mai significative. Il brutto è che poi la verifica oggettiva, il fact checking all’inglese che suona sempre bene, diventa sempre più confusa perché i dati a disposizione sono così tanti che non si arriva mai a un’informazione conclusiva. I fatti sfuggono.
Le idee iperverificate, alla fine, diventano inverificabili e scadono a pregiudizi privati. E attraverso questa via tornano a essere non più rappresentazioni della realtà ma di noi stessi. Ma poi, proprio perché confinate in noi stessi finiscono per diventare di nuovo visioni del mondo che non vogliono confrontarsi con i fatti
Non che i ragionamenti non statistici siano di maggiore aiuto. Il vitalizio ai parlamentari, vogliamo parlarne? Per carità. Non era stato già abolito? Abolito di nuovo? Non si capisce. Ai tempi dei soliti greci avevamo deciso di finanziare chi partecipava all’assemblea per impedire che la politica fosse privilegio dei ricchi e oggi invece brighiamo notte e giorno per rendere la politica un affare non retribuito, rischiando di consegnarla di nuovo ai ricchi oligarchi. Questo sviluppo è progressista? È conservatore? Non chiedetecelo, non lo sappiamo. Ogni ragionamento porta dappertutto e in nessun luogo.
Le idee iperverificate, alla fine, diventano inverificabili e scadono a pregiudizi privati. E attraverso questa via tornano a essere non più rappresentazioni della realtà ma di noi stessi. Ma poi, proprio perché confinate in noi stessi finiscono per diventare di nuovo visioni del mondo che non vogliono confrontarsi con i fatti. È il vecchio bisogno di appartenenza, che però non è affatto etnico, ma è mentale e culturale. Ho una sensibilità di destra? Mi preoccupo della mia identità culturale e non mi importa delle cifre. Ho una sensibilità di sinistra? Mi preoccupo dei diritti delle minoranze – oggi le donne, domani chissà – e non mi importa delle cifre. Strano percorso, strana giostra. Le idee, se degradate a ossessioni personali, finiscono per rivendicare la loro natura di rappresentazioni culturali. Oscillando troppo ci agganciamo a un’ancora mentale. Ma finiamo nel fondo del mare, ancora una volta.