Forse un acronimo ci potrà aiutare. Dopo siccità ed emergenza idrica, gli eventi meteorologici estremi in Italia e nel mondo, l’evidente influenza dei cambiamenti climatici su tensioni internazionali e flussi migratori, la SEN – Strategia Energetica Nazionale – è chiamata a dare per l’Italia una prima risposta.
Una prospettiva che leghi il contrasto a mutamenti climatici con l’uso efficiente dell’energia e la certezza di approvvigionamenti energetici ad un costo adeguato e competitivo.
Se sarà al tempo stesso ambiziosa e concreta potrà essere uno strumento utile per il nostro Paese. Il “se” è d’obbligo perché la vecchia SEN era legata alla legge sul ritorno al nucleare, bocciato poi dal voto dei cittadini italiani che ha salvato i nostri bilanci e la nostra industria elettrica. Era un provvedimento nato vecchio, rapidamente superato dai fatti che, come diceva George Bernard Shaw, “sono argomenti testardi”.
Ora la situazione è molto diversa: i ministri Calenda e Galletti hanno proposto al Parlamento e sottoposto ad un’ampia consultazione pubblica terminata nei giorni scorsi un buon documento di base. L’interlocuzione con il Parlamento è stata positiva. A partire dall’accettazione di alcune proposte avanzate, come l’estensione del termine della consultazione inizialmente previsto a fine giugno al 12 settembre e l’indicazione, al di là degli impegni più stringenti proposti dall’Europa nell’applicazione della COP21 di Parigi, di un orizzonte temporale al 2050. Come stanno facendo altri paesi, per proporre con chiarezza una meta per istituzioni, economia, società.
Il confronto in Parlamento proseguirà nelle prossime settimane. Anche io e il Presidente della Commissione Attività Produttive Guglielmo Epifani abbiamo voluto fornire un contributo su alcuni punti che riteniamo importanti. In particolare proponendo di:
- Fissare con chiarezza l’obiettivo del 100% di generazione elettrica da fonti rinnovabili entro il 2050; innalzare almeno al 55% l’obiettivo di produzione elettrica rinnovabile al 2030;
- Favorire attraverso la semplificazione della normativa le fonti rinnovabili, ovviamente senza abbassare le tutele ambientali;
- Promuovere l’autoconsumo e lo scambio sul posto, attraverso una forte riduzione degli oneri di sistema per rinnovabili e magari cogenerazione ad alto rendimento per cittadini, istituzioni locali, imprese. Permettendo così a tutti di essere partecipi di una missione comune e migliorare al tempo stesso i propri bilanci pubblici e privati.
- Puntare con più forza nella motorizzazione privata sulla mobilità elettrica, soprattutto con la realizzazione in tempi brevi di un’adeguata rete di ricarica. Il resto lo farà l’economia e il mondo: basta guardare la formidabile accelerazione proposta oggi anche dalla Cina. “I fatti sono argomenti testardi”;
- Anticipare a prima del 2030 l’abbandono già previsto della generazione da carbone;
- Utilizzare in alcuni settori il gas come energia di transizione, valutando però con attenzione il rapporto costi-benefici;
- Puntare e orientare la nostra manifattura, anche attraverso “Industria 4.0”, verso l’innovazione, l’efficienza, le nuove frontiere. Come quella rappresentata dalla chimica verde.
In Italia, secondo il rapporto “Green Italy” di Symbola e Unioncamere, sono oltre 385mila le aziende, ossia il 26,5% del totale, dell’industria e dei servizi che dal 2010 hanno investito in tecnologie green per essere più competitive.
Siamo di fronte a una sfida emozionante ma impegnativa, che investe tutti i settori, dell’economia e della società. Basti pensare ai trasporti, all’agricoltura, alla ricerca e all’edilizia in cui giocano un ruolo molto importante, che sarà da rafforzare già nella prossima legge di bilancio, le detrazioni fiscali legate all’efficienza energetica, alla qualità e alla sicurezza.
Forse la cosa più importante è però guardarsi intorno nel mondo e nel nostro Paese. Saper leggere quanto la prospettiva della green economy è già oggi un driver del futuro e dell’occupazione.
In Italia, secondo il rapporto “Green Italy” di Symbola e Unioncamere, sono oltre 385mila le aziende, ossia il 26,5% del totale, dell’industria e dei servizi che dal 2010 hanno investito in tecnologie green per essere più competitive. Una quota che sale al 33% nel manifatturiero.
Sono le imprese che esportano di più, innovano di più e producono più posti di lavoro. Alla nostra green economy si devono tre milioni di green jobs, ossia occupati che applicano competenze “verdi”. Una cifra che corrisponde al 13,2% dell’occupazione complessiva nazionale.
Sono legati all’ambiente, lo scorso anno, 249.000 nuovi posti di lavoro fra green jobs in senso stretto e figure ibride con competenze green: pari al 44,5% della domanda di lavoro non occasionale. Quota che sale fino al 66% nel settore ricerca e sviluppo.
Se la SEN, in tutto o in parte, terrà conto e darà gambe a questa visione sarà un acronimo da guardare con simpatia. E sarà utile all’Italia.
*Ermete Realacci è Presidente VIII Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati.