Il distretto di Fabriano è un buco nero, ma le aziende rinascono grazie all’Industria 4.0

La Qs Group di Cerreto d’Esi (Ancona) è riuscita a sopravvivere al tonfo rovinoso del distretto dell’elettrodomestico di Fabriano. Merito della teleassistenza, che permette di seguire clienti in tutto il mondo con 200 dipendenti

Se volete sapere cosa abbia significato crescere a Fabriano negli anni ’90, vale la pena di rileggere un ricordo personale che Lorenzo Castellani pubblicò qualche anno fa su Linkiesta. Si raccontava di una città di poco più di 30mila abitanti che era orgogliosa di sé, a buon diritto. Era piena di fabbriche di elettrodomestici, produceva il 70% delle cappe aspiranti del mondo, assicurava lavoro a tutti quelli che lo volessero e anche a una cospicua popolazione straniera, aveva una squadra di basket competitiva e una banca locale dove tutti mettevano i propri soldi. Quella visione idilliaca con il volgere degli anni Duemila scompare. Le fabbriche delocalizzano e diventano un buco nero, la banca viene ceduta a Veneto Banca (all’epoca capace di descriversi come astro nascente). I ragazzi cominciano a cercare lavoro fuori, all’estero, come nelle altre parti d’Italia, perché nel frattempo la disoccupazione è quasi raddoppiata, in città come nel comprensorio. La storia di un declino ordinario lascia le ferite sul territorio. Eppure il giro che Linkiesta sta facendo tra le aziende marchigiane in una partnership con Messe Frankfurt racconta anche dell’altro. C’è, per esempio, la storia della Qs Group di Cerreto d’Esi, che da Fabriano dista 15 minuti ed è immersa in una piccola zona industriale tra campagne collinose tipicamente marchigiane. Fino a una quindicina di anni fa era completamente dipendente dal distretto fabrianese, per le cui aziende prima montava e poi fabbricava impianti. Oggi è una realtà da 200 dipendenti e 55 milioni di fatturato: realizzato sì ancora per l’80% occupandosi di elettrodomestici, ma per l’80-85% all’estero. È una storia che racconta anche molto dell’evoluzione dell’Industria 4.0 e di un territorio che rischia di passare alla storia come la “rust belt” italiana ma che ha ancora molte risorse e competenze per riscattarsi.

Quando si parla con l’ingegner Renato Romagnoli, responsabile commerciale di due divisioni del gruppo (Movimentazione & Stoccaggio e Sistemi di Assemblaggio & Controllo), non si può che partire dalle origini. La società, spiega, nasce negli anni Settanta, fondata da Giovanni Porcarelli, attuale presidente. Prima si montavano gli impianti fatti da altri, poi si è cominciato a costruire macchine per la produzione industriale. I clienti erano la Antonio Merloni (andata in dissesto a partire già dal 2008; una parte della quale è stata comprata da una società della stessa Qs Group in una storia di riconversione non semplice), la Indesit (pure della famiglia Merloni, poi ceduta a Whirlpool, che nell’area ha realizzato la sua Fabbrica Modello), la Ariston Thermo Group (sempre Merloni, ma dalla storia più fortunata), oltre ai produttori di cappe aspiranti per cucine (Faber, Elica, Tecnowind, Best, Airforce). «Dagli anni Duemila hanno tutti delocalizzato, finché le delocalizzazioni non sono diventate i principali poli produttivi europei, dalla Polonia alla Turchia», racconta. «Noi abbiamo cominciato a seguire queste imprese in giro per il mondo. La globalizzazione ci ha stimolato e poi ci ha agevolato». Il salto, aggiunge, c’è stato quando quegli stessi grandi produttori hanno cominciato a parlare bene dei fornitori di Cerreto d’Esi anche alle altre realtà industriali sparse ai quattro angoli del globo. «In un certo senso ci hanno aperto loro i mercati, non abbiamo dovuto fare degli sforzi eccessivi per diventare globali».

«Dagli anni Duemila hanno tutti delocalizzato, finché le delocalizzazioni non sono diventate i principali poli produttivi europei, dalla Polonia alla Turchia. Noi abbiamo cominciato a seguire queste imprese in giro per il mondo. La globalizzazione ci ha stimolato e poi ci ha agevolato»


Renato Romagnoli, Qs Group

C’è però un problema: come si seguono i mercati internazionali con solo 200 dipendenti? Una risposta è che la teleassistenza permette di effettuare molte delle operazioni di controllo da remoto. In altre parole, permette a un’azienda medio-piccola di agire come una grande impresa. Se si parla con Romagnoli di Industria 4.0, la risposta è quella tipica di chi ne è addentro da anni: «L’industria 4.0 è solo un nome messo su qualcosa che esiste da tanto tempo. Noi da ben prima del Piano Industria 4.0 e degli incentivi abbiamo sviluppato l’interconnettività delle imprese, la big data analysis, la robotica. Sono anni che ci muoviamo in questo mondo».

Una delle chiavi per rilanciarsi a livello globale, aggiunge, è stata la decisione di essere coperti con risorse interne per gestire un processo industriale completo, che parte dalla progettazione e termina con la produzione, con in mezzo una robusta componente di software sviluppato in azienda. Tra le applicazioni, una delle più importanti riguarda il controllo dell’efficienza dei prodotti. «Un software per la realtà aumentata che abbiamo sviluppato è di supporto ai manutentori, che si avvicinano ai macchinari con un notepad, scattano una foto a un codice sulla macchina e possono vedere come intervenire sulla macchina stessa» spiega Romagnoli. Lo sviluppo di software viene curato da uno spin off del gruppo, Esisoftware, creato anche con l’obiettivo di affrancare la società dal solo settore del bianco.

Oggi sui 200 dipendenti, circa 70 fanno parte dell’ufficio tecnico ingegneristico e i progettisti si dividono tra quelli meccanici e i softwaristi

Come si sviluppa del software valido per mezzo mondo nelle campagne di Cerreto d’Esi? Secondo Romagnoli, la risposta è che le università (Università Politecnica delle Marche e gli atenei di Camerino e Perugia) e gli istituti tecnici della zona sono ancora in grado di sfornare risorse molto valide. Oggi sui 200 dipendenti, circa 70 fanno parte dell’ufficio tecnico ingegneristico e i progettisti si dividono tra quelli meccanici e i softwaristi. L’ultimo bilancio della società, al 31 dicembre 2016, mostrava un valore totale della produzione di 53,7 milioni di euro (47 nell’anno precedente) e un utile di 6,2 milioni (1,8 nell’anno precedente). Le cifre, tuttavia, mutano molto da un anno all’altro perché i singoli progetti fanno spostare i ricavi di diversi milioni di euro e fanno mutare i conti economici a seconda che cadano alla fine di un esercizio o all’inizio di quello successivo.

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