Mentre la formazione continua dei lavoratori sta diventando un argomento caldo, anche del dibattito politico, c’è un’azienda che ha molti messaggi da mandare su questo fronte. Si chiama Cisco Italia e ha due numeri da raccontare. Il primo è quello di 60mila persone formate nelle proprie academy negli ultimi 18 mesi. Il secondo è quello dei 100 milioni di euro investiti in tre anni nel progetto Digitaliani, che ha coinvolto – oltre ai progetti formativi – anche investimenti per accelerare la digitalizzazione sia di imprese sia di enti publbici, come i comuni di Palermo e Perugia e la Regione Friuli Venezia Giulia. L’amministratore delegato della società, Agostino Santoni, nella sede di Vimercate (Monza e Brianza), si mostra ottimista: «Stiamo cominciando a credere che si possa colmare il gap che abbiamo in Italia dal punto di vista delle competenze». Il motivo? «La tecnologia oggi è finalmente accessibile a tutti, anche alle imprese più piccole, e il governo ha deciso di supportare la formazione, che oggi è indispensabile». Partiamo molto indietro, però, soprattutto in certe aree d’Italia. «Per questo sono orgoglioso – dice – di aver portato la nostra academy anche a Scampia, dove da tempo non andava nessuno».
Cominciamo dall’attualità. Il governo ha presentato un nuovo piano di incentivi alle imprese. Si è passati dal Piano Industria 4.0 a un Piano Impresa 4.0. Ci sono novità, come l’annuncio di un credito di imposta sulla formazione legata all’industria di nuova generazione. Come vedete questa misura?
Siamo favorevoli. Pensiamo che questa sia davvero politica industriale e che gli strumenti debbano continuamente evolvere. Si è partiti dai macchinari, ora si aggiunge la formazione, dobbiamo cominciare a pensare a come far evolvere ulteriormente il programma. La svolta è stata notevole.
Perché?
In primo luogo perché c’è stato un momento per certi versi storico: alla conferenza stampa di qualche giorno fa erano presenti insieme quattro diversi ministri per parlare di politica industriale del Paese: Poletti, Fedeli, Calenda e Padoan. In secondo luogo perché si è capito che è fondamentale una stretta collaborazione tra governo e mondo confindustriale per cavalcare l’opportunità rappresentata dal digitale. Il terzo aspetto che ci è piaciuto è che si punta sulla formazione, un un’area dove stiamo dando il nostro contributo, attraverso una collaborazione con il Miur. In 18 mesi abbiamo formato 60mila studenti, in particolare negli istituti tecnici, e abbiamo creduto nell’alternanza scuola lavoro. Stiamo cominciando a credere che si possa colmare il gap che abbiamo in Italia dal punto di vista delle competenze.
Il passaggio dal termine Impresa 4.0 rispetto a Industria 4.0 che significato ha, ai vostri occhi?
Impresa 4.0 significa un completo ripensamento di impresa e di funzionamento dell’impresa. È qualcosa che parte dalla leadership, dalla riqualificazione delle persone e dal ripensamento di tutti i processi aziendali partendo dalle opportunità del digitale. A noi il concetto di impresa 4.0 piace molto perché si può applicare a tutte le nostre aziende, dalle piccole alle grandi, anche nei settori dei servizi. A mio avviso dobbiamo capire che l’Italia deve cogliere la grande opportunità che viene dalla semplicità e nell’accessibilità dell’attuale innovazione tecnologica.
Ci fa un esempio?
Per tanti anni il limite dell’adozione delle innovazioni tecnologiche da parete delle piccole imprese è stato l’ammontare degli investimenti necessari e la competenza richiesta per gestire queste tecnologie. Oggi il cloud consente di avere una potenza di calcolo infinita, sicura, con applicazioni allo stato dell’arte e canone mensile. L’investimento è limitato e l’esperienza di utilizzo è molto più semplice rispetto al passato.
«A noi il concetto di impresa 4.0 piace molto perché si può applicare a tutte le nostre aziende, dalle piccole alle grandi, anche nei settori dei servizi. A mio avviso dobbiamo capire che l’Italia deve cogliere la grande opportunità che viene dalla semplicità e nell’accessibilità dell’attuale innovazione tecnologica»
Ma da dove partiamo nel campo della digitalizzazione? C’è sempre una difficoltà a raccontare l’Italia per quello che è: la si racconta attraverso le sue eccellenze, ma anche attraverso dei numeri sull’alfabetizzazione digitale disperanti. Voi siete una multinazionale, potete fare un confronto oggettivo tra i Paesi con cui lavorate.
La buona notizia è che in questo momento nel tessuto imprenditoriale italiano il tema del digitale e della trasformazione è nelle principali priorità di tutti. Questa è la principale differenza rispetto al passato, quando il tema dell’innovazione rimaneva per gli addetti ai lavori dell’Ict. Oggi tutti vedono le opportunità della digitalizzazione per ripensare il funzionamento delle fabbriche e dei siti produttivi. Lo vediamo anche attraverso il nostro programma Digitaliani, su cui abbiamo investito 100 milioni di euro in tre anni.
Ci fa qualche esempio?
Abbiamo selezionato un numero di aziende al 100% italiane di dimensioni diverse. Ansiamo da Fca a 1177, una bella impresa italiana che ha inventato un nuovo tessuto per fare le calze e ha pensato di venderle attraverso dei distributori automatici connessi alla rete. C’è anche la Marzocco, che fa meravigliose macchine del caffè. Abbiamo creato una sorta di club di aziende, con un investimento da parte nostra. Noi li supportiamo con la nostra visione di Industria 4.0, come ritorno chiediamo di comunicare queste esperienze per renderle patrimonio di altri imprenditori, i quali possono vedere come cambia il rapporto con i loro clienti. La Marzocco per esempio ha l’ambizione di parlare in modo diverso con i baristi: attraverso le tecnologie digitali, cioè sensori all’interno delle macchine e un’applicazione, pensa sia di migliorare la qualità del caffè sia di controllare lo stato di funzionamento della macchina. Con queste esperienze, che devono essere semplici, senza che si parli in modo complicato di tecnologia, c’è un’opportunità per accelerare la digitalizzazione delle imprese, anche le più piccole. Quello che abbiamo imparato, nel dialogo con queste imprese e nell’esecuzione di questi progetti, è che stanno nascendo dei servizi nuovi che si possono offrire alla clientela.
Sta dicendo che le imprese sono pronte già a questo cambiamento?
Diciamo che sono consapevoli, non pronte. L’opportunità interessante è che oggi ci sono, di pari passo, tecnologie più semplici da usare e un incentivo da parte del governo. Questo può accelerare la crescita dell’economia.
«Abbiamo raddoppiato gli studenti seguiti, abbiamo acquisito mille kit di Arduino, da distribuire nelle scuole. Ci siamo impegnati ad andare in alcune carceri e a estendere le Network Academy anche a chi ha delle disabilità. E siamo arrivati in tutta Italia. Sono particolarmente orgoglioso dell’esperienza fatta con un istituto tecnico industriale di Scampia, dove da tanto tempo non andava nessuno»
Lei ha detto che alle imprese date la vostra visione dell’Industria 4.0. Qual è la questa visione?
Penso che serva a tre cose: aumentare i ricavi, ridurre i costi e ridurre i rischi. I ricavi si aumentano proponendo nuovi servizi. I rischi si riducono usando il massimo della tecnologia per ridurre gli attacchi cyber. Nei nostri sistemi di reti abbiamo delle applicazioni di machine learning e intelligenza artificiale che ci permette di identificare dei malware o dei ramsomware all’interno dei che si scambiano questi dati, senza fare il decripting.
Torniamo da dove siamo partiti, dalla formazione delle vostre academy. Avete formato 60mila persone, per l’80% studenti delle superiori. Come nasce e come si struttura questa esperienza?
Le Cisco Accademy sono in Italia da circa 19 anni. E, ci tengo a dirlo, sono all’interno dei nostri programmi di Corporate Social Responsability. Non facciamo alcuna attività commerciale, non proponiamo i nostri prodotti, le academy non hanno nulla a che vedere con la nostra attività commerciale e sono guidate da un’organizzazione che non ha niente a che vedere con i risultati di business dell’azienda. Ci teniamo tantissimo a esplicitarlo. Noi creiamo dei contenuti, in italiano, che aiutano i ragazzi a formarsi su quattro temi a noi cari: come si costruisce una rete internet; che cosa vuol dire Industria 4.0 dal punto di vista digitale; che cosa vuol dire la cybersecurity; e che cos’è una smart grid. Su questi quattro temi abbiamo sviluppato dei programmi di training.
Come arrivate gli studenti?
Noi formiamo e supportiamo circa 300 partner in tutta Italia, che sono realtà tipicamente non profit, come centri di formazione o consorzi. Loro a loro volta formano i professori, che infine formano gli studenti.
Alla fine qual è il vostro obiettivo?
Rimaniamo quotati al Nasdaq, quindi non è che abbiamo cambiato la nostra missione, che è di tipo profit. Ma pensiamo che attraverso l’incremento delle competenze delle aziende nostre clienti, e delle istituzioni, ci sarà una maggiore consapevolezza del digitale nel Paese e grazie a questo si creerà un mercato più grande.
L’anno scorso avete fatto un accordo con il governo. Qual è stato il cambio di passo?
Abbiamo raddoppiato gli studenti seguiti, abbiamo acquisito mille kit di Arduino, da distribuire nelle scuole. Ci siamo impegnati ad andare in alcune carceri e a estendere le Network Academy anche a chi ha delle disabilità. Abbiamo quindi allargato il nostro perimetro e questa è stata un’area importante di investimento. Abbiamo siglato poi due partnership con due aziende per noi molto importanti: una di queste è Enel, che userà le Network Academy come strumento formativo per i dipendenti.
La vostra esperienza è stata citata in modo esplicito nel nuovo Piano Impresa 4.0.
Questo è dovuto, pensiamo, al fatto che si tratta di un tipo di partnership assolutamente precompetitivo. E poi perché siamo arrivati in tutta Italia. Sono particolarmente orgoglioso dell’esperienza fatta con un istituto tecnico industriale di Scampia, dove da tanto tempo non andava nessuno.
Il prossimo anno si creerà un grande movimento di formazione in Italia. Quali sono i rischi e gli errori da evitare?
Non bisogna dimenticarsi che la formazione, come la tecnologia, deve essere semplice. E poi serve un fortissimo ripensamento dello stile di leadership di chi guida le imprese.
Chi deve essere oggetto di formazione?
Tutti.
Uno dei rischi denunciati in questi mesi è che i benefici della formazione saranno solo per chi ha un’istruzione di partenza superiore.
Deve essere per tutti. Chi si occupa di produzione ha un nuovo collega, che magari è un robot. Chi si occupa di finanza ha degli strumenti straordinari per prevedere in anticipo le chiusure e farle in un’ora invece che in una settimana. Chi si occupa di manutenzione ha dei dati può farla in modo predittivo. Chi si occupa dei clienti ha un’interazione in tempo reale. Chi fa il manager o l‘imprenditore può avere accesso al mondo come mai era accaduto. Oggi se sei veloce e innovativo puoi avere successo e crescere velocemente anche se sei una piccola impresa. Quindi tutti. Non solo: la formazione deve anche insegnare a tutti noi come all’interno del mondo del lavoro diverse generazioni dialogano.
Domanda inevitabile sul futuro del lavoro. Ci sono pessimisti e ottimisti. Dove vi collocate?
Oggi la comunicazione ha creato due partiti: chi dice che il digitale toglierà posti di lavoro e chi dice che ne porterà. Noi come Cisco Italia ci siamo messi nel mezzo e ci siamo presi la responsabilità di formare le competenze che porteranno nuove opportunità nella digitalizzazione del Paese. Tutti gli studi dicono che c’è un gap occupazionale: il mercato del lavoro sta chiedendo del personale qualificato che in Italia e in Europa oggi non c’è, di dimensioni superiori alle 100mila unità. Per rispondere alla domanda: pensiamo che la digitalizzazione porti a più opportunità occupazionali.
Perché lo pensate?
Lo vediamo dalle imprese che seguiamo. Alla Dallara hanno assunto statistici, sviluppatori, giovani e da tutto il mondo. La Marcegaglia ha riqualificato il suo personale, ha completamente automatizzato il proprio magazzino e le persone che facevano quel mestiere così faticoso sono state riconvertite nel gestire tutte le informazioni che ricavano. Per questo sul futuro sono ottimista sul fatto che l’occupazione aumenterà.
«La formazione sulla nuova impresa 4.0 deve essere per tutti, dagli operai ai manager. Non solo: deve anche insegnare a tutti noi come all’interno del mondo del lavoro diverse generazioni dialogano»
Una domanda sul venture capital. Voi avete investito in Invitalia Ventures, un fondo che il governo ha ideato per stimolare gli investimenti in startup. Tuttavia lo stesso Mise ha riconosciuto che i progressi sono stati minimi. Che idea vi sieti fatti di questo settore?
Abbiamo investito 5 milioni di euro, per aiutare il mondo del venture capital italiano. Certo è rimasto piccolo, vale meno di 200 milioni su un mercato globale da 127 miliardi di euro. Come società globale nel corso degli anni abbiamo acquisito 197 aziende, e grazie a Invitalia Ventures abbiamo voluto vedere cosa succedeva in Italia. Abbiamo capito che nelle nostre startup ci sono buone tecnologie e competenze e pochi capitali. A nostro avviso l’Italia ha delle aziende che sono particolarmente interessanti per essere acquisite. Anche al Sud Italia, in Sicilia, in Sardegna, in Lombardia, in Triveneto, ci sono delle imprese a cui guardiamo con grande interesse.
Quante acquizioni ci dobbiamo aspettare?
Il numero non lo posso dire.
Chiudiamo con la P.a. Avete fatto esperienze di affiancamento in Friuli Venezia Giulia, a Palermo e Perugia. Saranno estese queste collaborazioni?
La collaborazione con le città è un altro pilastro del nostro piano. Pensiamo che le città siano degli hub, dei concentratori dei servizi per i cittadini. In Fiuli l’esperienza è stata ottima. Dopo Palermo e Perugia faremo altre iniziative in altre città.