Le pensioni pubbliche svolgono un ruolo cruciale nel garantire il sostentamento economico della popolazione anziana. Ma siamo così sicuri che gli assegni pensionistici di domani riusciranno ad offrire ai lavoratori di oggi lo stesso trattamento ricevuto dalle generazioni precedenti?
Per i Millennial (i nati dal 1984 in poi), le prospettive pensionistiche all’orizzonte si mostrano quanto mai incerte. Oggi in Italia, il tasso di sostituzione, che misura quanto si riceve dalla pensione in rapporto all’ultima retribuzione, è intorno al 70%. Entro il 2060, la Ragioneria Generale dello Stato stima che il tasso di sostituzione possa ridursi progressivamente di almeno 12 punti percentuali. Le simulazioni suggeriscono che se i nati dopo il 1990 mettessero da parte ogni anno circa il 6% dei loro guadagni, riuscirebbero a colmare la metà del divario nel tasso di sostituzione economica rispetto ai pensionati di oggi. Per chiudere il gap, occorreranno ulteriori cinque anni di lavoro, spingendo così i requisiti per la pensione di vecchiaia oltre la soglia dei 70 anni.
In poche parole, le pensioni pubbliche di domani non riusciranno a garantire lo stesso livello di sicurezza che hanno avuto le generazioni precedenti. Di conseguenza, al fine evitare spiacevoli sorprese, i lavoratori di oggi dovrebbero iniziare ad adottare misure per integrare il loro reddito da pensione. In che modo? Investendo i nostri risparmi tramite le varie forme di previdenza integrativa individuale, che non si traduce esclusivamente nel cosiddetto “fondo pensione”.
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L’Italia è il paese che spende di più per le pensioni, con una quota pari al 16,5% del PIL nel 2015. E tra circa 30 anni, la percentuale di popolazione con età maggiore di 65 anni sarà pari al 62% della forza lavoro, un valore più alto di circa dodici punti percentuali della media in Unione Europea