Ci sono rivoluzioni che si fanno nel silenzio generale. Tra Brexit, elezioni in Germania e il referendum per l’indipendenza della Catalogna, l’opinione pubblica europea sta ignorando un problema che esiste da almeno due anni e rischia di avere conseguenze ancora più gravi. La Polonia sta dicendo addio allo stato di diritto. E l’Unione europea non può farci niente.
Dopo sette anni di governo di coalizione guidato dal centrista Donald Tusk, nell’ottobre del 2015 il partito nazionalista Diritto e Giustizia (Pis) ha vinto le elezioni in Polonia. Tra le promesse fatte in campagna elettorale, oltre a sussidi per le famiglie e una politica più dura contro l’immigrazione, c’erano anche una serie di leggi per limitare l’indipendenza dei media e dei giudici, considerati corrotti e pieni di privilegi da una parte importante dell’opinione pubblica polacca.
Da allora il governo della premier Beata Szydlo ha approvato delle riforme per mettere il potere giudiziario sotto il controllo del potere esecutivo. Per prima cosa ha sostiuito i cinque giudici della corte costituzionale eletti dal governo precedente, anche se non era ancora scaduto il loro mandato. Poi ha approvato una legge per riorganizzare la corte costituzionale, prevedendo almeno una maggioranza di 2/3 per le decisioni della corte. In contrasto con l’art 190 della Costituzione che prevede una maggioranza semplice. Non solo, a novembre del 2015 il Parlamento polacco ha approvato una nuova legge sui media che ha portato alla sostituzione dei funzionari della radio e televisione pubblica con persone vicine al Pis.
A luglio il governo polacco ha approvato un pacchetto di riforme che ha ristretto, se non annullato, l’indipendenza dei giudici. La riforma del Pis prima ha dato alla maggioranza il potere di eleggere quasi tutti (22 su 25) i funzionari del Consiglio nazionale della magistratura polacco, l’organo che ha il compito di gestire le carriere dei giudici. Poi ha tolto al Cnm il potere di scegliere i giudici della Corte Suprema che aveva definito incostituzionale le riforme sulla giustizia approvate a inizio mandato. Infine ha approvato un provvedimento per rimuovere tutti gli attuali 87 giudici della Corte, riducendone il numero a 31 in tutto.
Dopo alcune manifestazioni in piazza di protesta, guidate dall’ex leader Solidarnosc, Lech Walesa e le pressioni di Bruxelles, il presidente della Repubblica AndrzejDuda ha deciso di mettere il veto chiedendo al Parlamento di rivedere due aspetti della riforma: il potere dato al Presidente della repubblica di scegliere direttamente i giudici della corte costituzionale e il pensionamento forzato dei giudici della corte costituzionale a 65 anni per i maschi e 60 per le femmnine, eccetto quelli nominati dal ministro della giustizia. Questa riforma permetterebbe di rimuovere almeno il 40% degli attuali giudici dell’alta corte, compresi alcuni che hanno espresso publicamente le loro critiche al governo. Duda ha firmato però la terza legge che permette al ministro della giustizia di nominare e licenziare a suo piacimento i giudici locali.
I due veti di Duda hanno solo rinviato la riforma a un momento migliore. Per questo il 26 luglio la Commissione europea ha dato un ultimatum di un mese al governo polacco, intimandolo di fermare l’approvazione della legge sull’indipendenza dei magistrati prima di agire tramite la Corte di giustizia europea. Secondo il vice presidente della Comissione Frans Timmermans sono due i problemi principali: il ministro della giustizia polacco avrebbe troppo potere nelle sue mani, e la forte discriminazione di genere contro i giudici donna della corte costituzionale, costrette ad andare in pensione a 60 anni, 5 anni prima dei colleghi maschi. Il 28 agosto la premier Szydlo ha risposto all’utlimatum di Bruxelles sostenendo di essere “in linea con gli standard europei”.
Nel tentativo di conciliare l’esigenza del partito nazionalista e le richieste di Bruxelles, il presidente Duda si era impegnato a trovare un compromesso. Lunedì ha proposto di far nominare i giudici della corte costituzionale dal Parlamento e dal presidente, lasciando a lui l’ultima parola. Il piano non è piaciuto a Bruxelles visto che rimane sempre il problema del potere politico che decide su quello giudiziario. Ma neanche al leader e fondatore del partito Jaroslaw Kacynski, semplice deputato ma dominus della politica di governo che vuole dare questo potere solo al ministo della giustizia.
Insomma per risolvere la situazione, Duda l’ha peggiorata. Arrogarsi più potere in modo da bilanciare le leggi autoritarie promosse del partito di governo non si è rivelata la scelta migliore. Duda si è difeso dicendo “La riforma non è per dare più potere nelle mie mani, ma per far sì che la scelta sia condivisa da più partiti partiti tramite la mia figura di garante” L’allarme è poi rientrato ieri e il presidente ha ritirato la proposta.
La riforma per ora rimane incompiuta, ma il problema rimane. Ora, a meno di volere inviare a Varsavia dei carri armati (che tra l’altro non abbiamo perché non c’è ancora un esercito europeo), la situazione si potrebbe risolvere solo con un’opera di moral suasion. Anche perché la Polonia è entrata anche nell’Ue proprio per evitare soluzioni sovietiche come l’uso della forza.
La riforma per ora rimane incompiuta, ma il problema rimane. Ora, a meno di volere inviare a Varsavia dei carri armati (che tra l’altro non abbiamo perché non c’è ancora un esercito europeo), la situazione si potrebbe risolvere solo con un’opera di moral suasion.
Sarebbe stupido bollare tutto questo come una follia autoritaria. Le leggi volute da PiS, e dal suo leader Jaroslaw Kaczynski, nascono da un malessere profondo del Paese contro la corruzione della magistratura. Per la prima volta dal 1989, cioè dalla fine del regime sovietico, un solo partito ha la maggioranza del Parlamento. Fino al 2015, c’erano stati governi di coalizione tra centro destra e centrosinistra. E PiS è arrivato al potere proprio grazie a questo programam elettorale. Come ha ribadito Dominik Tarczynski, deputato di Pis, a France24, il 26 luglio: «Questo è quello che abbiamo promesso durante la campagna elettorale, non è nulla di nuovo. Il popolo si aspetta queste riforme. La corruzione nelle corti della Polonia è arrivata a livelli inaccettabilli».
Il malessere c’è, ma anche la convenienza politica. Il Washington Post ha elencato le cinque ragioni per cui le riforme sull’indipendenza della magistratura potrebbero essere utili al Pis. Tra queste ci sono la possibilità di annullare le sentenze di condanna di persone vicine al partito. Come nel caso di Mariusz Kaminski, amico di Kaczynski ed ex capo dell’Uffico anticorruzione polacco, condannato a tre anni di prigione per abuso di potere. A novembre 2015 il presidente Duda aveva concesso la grazia a Kaminski, ma lo scorso marzo la Corte Suprema ha annullato la decisione.
La riforma della giustizia servirebbe per anche per regolare i conti con l’attuale presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, premier polacco dal 2007 al 2014. Kaczynski da anni accusa Tusk di aver contribuito a uccidere il gemello Lech, co-fondatore di Pis e presidente della Repubblica polacca dal 2005 al 10 aprile 2010, cioè fino a quando morì in un incidente aereo mentre viaggiava verso la Russia.
Kaczynski vuole che il tribunale di Stato proceda contro Tusk, reo di aver ignorato la sicurezza personale del fratello e aver lasciato ai russi l’onere dell’indagine. In Polonia il capo della corte suprema presiede il tribunale di Stato. Anche per questo la Polonia è stato l’unico Paese Ue a votare contro la rielezione di Tusk alla presidenza del Consiglio europeo, nel marzo 2017.
Tra i leader Ue solo la Cancelliera tedesca Angela Merkel è intervenuta sul caso polacco. A Berlino il 30 agosto ha detto : «non possiamo morderci la lingua e non dire niente per mantenere la pace». La Germania è il più importante partner commerciale della Polonia ma questo non ha impedito al partito Pis di chiedere un risarcimento per i danni della seconda guerra mondiale. Una questione chiusa nel 1953 quando l’Unione sovietica impedì a Varsavia di chiedere i danni della guerra. Ora il partito nella foga nazionalista anti tedesca vuole quei soldi indietro. Oltre a Merkel anche la Commissione europea ha tentato di fermare l’escalation autoritaria, invano.
L’unica arma politica a disposizione di Bruxelles sarebbe e l’articolo 7 del Trattato sull’Unione. Varsavia potrebbe perdere il suo diritto di voto nel Consiglio e l’uso dei fondi europei, grazie ai quali la Polonia ha costruito la sua crescita economica. Per iniziare la procedura serve però l’unanimità nel Consiglio europeo, l’organo che riunisce i capi di Stato e di governo dei 28 Paesi membri. E la Polonia ha un alleato che opporrà sicuramente il veto. Uno stato membro che sta andando nella stessa direzione nazionalista e autoritaria: l’Ungheria.
Da tempo i due Paesi sono in rotta l’Unione europea, e fa parte del gruppo di Visegrad, i quattro Paesi dell’Europa dell’Est più intransigenti verso le riforme europee. Viktor Orban ha definito “un’inquisizione” l’atteggiamento di Bruxelles verso la Polonia: “L’Ue non può minacciare la Polonia e mettere in dubbio il suo stato di diritto, è una mancanza di rispetto e l’Ungheria non lo supporterà”. L’ha fatto il 23 settembre a Varsavia dove i premier dei due Paesi si sono incontrati per ribadire il loro rifiuto ad accogliere la quota di migranti, anche dopo la decisione della corte di giustizia dell’Unione europea.
Come abbiamo scritto qui, c’è il rischio concreto di creare una “bad bank europea”, visto che Repubblica ceca e Slovacchia stanno tentando di avvicinarsi a Francia e Germania per non perdere il treno dell’Europa a due velocità. Mentre Polonia e Ungheria non ci vogliono proprio salire. Restando comodi comodi nel loro Stato, sempre meno di diritto.