Milano capitale europea del farmaco, il pressing italiano per convincere l’Europa

Altre 18 città si sono candidate per ospitare l’Agenzia europea Ema, che dopo la Brexit deve lasciare Londra. In ballo ci sono prestigio e affari. L'offerta di Milano è tra le migliori, ma molto dipenderà dagli equilibri politici in Europa. Intanto Roma si è fatta sfuggire un’altra occasione

Milano, secondo i criteri annunciati dalla Commissione europea, è fra le città favorite per ottenere la sede dell’Agenzia del farmaco (Ema), che in conseguenza della Brexit dovrà traslocare da Londra. La sfida è tutta politica: in ballo ci sono gli equilibri già precari tra i Paesi Ue, che come da tradizione nelle prossime settimane saranno impegnati in una serrata partita di risiko. Milano se la dovrà vedere soprattutto con Amsterdam, Barcellona, Bruxelles, Copenaghen e Vienna, le altre città che hanno dimostrato di avere una proposta all’altezza delle aspettative. La decisione da parte del Consiglio dei ministri degli Esteri è attesa per fine novembre. Intanto dalla Commissione Ue non è arrivata una vera e propria shortlist, come si pensava fino a qualche tempo fa. Nessuno si è, infatti, preso la responsabilità di una scrematura preliminare delle candidature, che spetterà appunto alla trattativa politica fra governi. Un documento tecnico pubblicato questa mattina, però, ha indicato quali città incontrano le esigenze dell’Ema. Per Milano i punti di forza sono sostanzialmente tre. La sede già adatta: il grattacielo Pirelli. La comodità dei collegamenti internazionali: tre aeroporti da cui sono raggiunte tutte le capitali europee entro al massimo 3 ore e 25 minuti. Una rete di servizi alla persona a cui possono accedere agevolmente anche le famiglie dei dipendenti che traslocheranno.

Per l’Italia, e in particolare per Milano, l’occasione offerta dalla Brexit è unica. Ospitare la sede dell’Ema significa anzitutto vedersi assegnato un importante riconoscimento internazionale, perché l’Agenzia ha un ruolo fondamentale nella vita comunitaria. Ben più di quella per la sicurezza alimentare che l’Italia ospita già a Parma e della Fondazione per la formazione che sta a Torino. L’Ema vaglia tutti i medicinali per uso umano e veterinario che vengono utilizzati in Europa. Da qui passa anche la valutazione scientifica di tutte le domande di immissione in commercio dei farmaci. Ma non è solo il prestigio a essere in palio. L’assegnazione della nuova sede a Milano avrebbe anche un importante risvolto economico. Da Londra si sposteranno circa mille dipendenti con relative famiglie. Oltre a questo c’è l’indotto legato all’industria del farmaco, i cui rappresentanti fanno ovviamente la spola con gli uffici dell’Ema, quantificato in almeno 2 miliardi di euro l’anno.

Milano se la dovrà vedere con Amsterdam, Barcellona, Bruxelles, Copenaghen e Vienna. In palio non c’è solo il prestigio. L’assegnazione della nuova sede dell’Ema ha un importante risvolto economico. Da Londra si sposteranno circa mille dipendenti con relative famiglie. Oltre a questo c’è l’indotto legato all’industria del farmaco, i cui rappresentanti fanno ovviamente la spola con gli uffici dell’Agenzia, quantificato in almeno 2 miliardi di euro l’anno

In questa partita l’Italia gioca da protagonista. Siamo uno dei maggiori produttori farmaceutici europei, oltre ad essere uno dei Paesi fondatori dell’Ue. Secondo i dati di Farmindustria, il settore nazionale conta all’incirca 130mila addetti, vale 30 miliardi di euro di produzione e muove 2,7 miliardi di investimenti. Certo, si scrive Italia ma alla fine si legge Lombardia. La sfida per ospitare l’Agenzia europea del farmaco racconta meglio di tanti episodi quello che sta succedendo sull’asse Roma-Milano. Nella Capitale – ancora una volta – si è scelto il basso profilo: a sud di Roma esiste uno dei principali distretti italiani del farmaco, una realtà formata da oltre trecento aziende e ventimila addetti. Eppure, nonostante le insistenze del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, del Pd, il Comune guidato dal Movimento 5 Stelle non ha mai voluto accettare la sfida di una candidatura per l’Ema. Anche per questo la palla è passata velocemente nel campo di Milano, che già nell’estate del 2016 ha ufficializzato il proprio interesse ad ospitare l’Agenzia europea. Il capoluogo lombardo, del resto, ha a sua volta tutte le carte in regola per aspirare al risultato.

Per spiegarlo, bisogna ricorrere a un misto di storia, numeri e anche un po’ di retorica sul tradizionale pragmatismo milanese, scolpita per esempio nella vicenda dell’Expo 2015. Milano vive un momento magico, fatto di maggiori presenze turistiche, di un mercato immobiliare in ripresa, di uno skyline che è il più moderno delle città italiane. Ma è una magia che ha radici profonde nel ricco tessuto imprenditoriale della regione e nella capacità di attrazione delle grandi imprese internazionali. Se si guarda all’Ema, la Lombardia «è la prima regione italiana nel settore farmaceutico, con 28mila addetti, più altri 18mila che lavorano nell’indotto», ha scritto in una mozione Andrea Mandelli, che è senatore di Forza Italia, è di Monza, ma è soprattutto presidente dell’Ordine dei farmacisti italiani. Cifre utili da giocare sul tavolo europeo, come quelle del campo biomedicale, dove la presenza di 800 imprese e 30mila dipendenti ha trasformato la Lombardia nella prima regione italiana nel settore dei dispositivi medici.

Per l’Ema, dunque, anche le istituzioni hanno superato le divisioni politiche, accompagnate da una determinata azione di lobbying delle aziende italiane del settore (una delle più impegnate a sostenere la candidatura è stata la milanese Diana Bracco, a capo del gruppo di famiglia ed ex presidente della società Expo). Il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, della Lega Nord, e il sindaco di centrosinistra di Milano, Giuseppe Sala, hanno lavorato e viaggiato insieme per promuovere la candidatura italiana. Con loro ci sono stati di volta in volta i ministri Angelino Alfano, Pier Carlo Padoan e Beatrice Lorenzin. E quando si è trattato di ufficializzare la presentazione del dossier è arrivato a Milano il capo del governo in persona, Paolo Gentiloni, che come suo delegato ha nominato Enzo Moavero Milanesi, ex ministro di Mario Monti ed Enrico Letta per gli Affari Europei. Persino il Movimento 5 Stelle, pur con la richiesta esplicita che l’attività dell’Agenzia del farmaco sia “davvero trasparente e indipendente” e pur senza entrare a far parte di un gruppo interparlamentare ad hoc nato di recente, si è detto a favore della candidatura.

Per Milano i punti di forza sono sostanzialmente tre. La sede già adatta: il grattacielo Pirelli. La comodità dei collegamenti internazionali: tre aeroporti da cui sono raggiunte tutte le capitali europee entro al massimo 3 ore e 25 minuti. Una rete di servizi alla persona utile a cui possono accedere agevolmente anche le famiglie dei dipendenti che traslocheranno

Il Pirellone non poteva che essere il simbolo di questa sfida trasversale. È stato Maroni a mettere a disposizione dell’Ema la sede storica della Regione Lombardia. Trentuno piani di fianco alla stazione Centrale. Due ingressi distinti, per separare chi proporrà farmaci da chi li dovrà valutare. Un auditorium, 1.350 postazioni di lavoro. Una superficie totale di oltre cinquantamila metri quadrati, che è il doppio della richiesta iniziale. Ufficialmente si tratta di una sede provvisoria, potenzialmente operativa da marzo 2019, in attesa di costruirne una stabile con i 56 milioni di euro promessi dal ministro Lorenzin, nell’area Expo o a Sesto San Giovanni, dove sorgerà la Città della Salute e della Ricerca. Ma di fatto il Pirellone sarà – nel caso di assegnazione – la sede definitiva dell’Ema: gratuita nei primi anni, fino ad arrivare gradualmente a un affitto di 7 milioni annui nel 2022. Maroni ha sfidato su questo i suoi stessi compagni di partito, che si erano inizialmente messi di traverso: il grattacielo disegnato da Gio Ponti e inaugurato nel 1960 è infatti la sede del Consiglio regionale della Lombardia. «Non si regala un simbolo della democrazia ai tecnocrati di Bruxelles», avevano tuonato i leghisti, sostenuti persino da Matteo Salvini, contro il loro stesso governatore. Tutto rientrato, poi, per rafforzare la candidatura di Milano, con l’impegno a costruire, nel caso, una nuova sede per l’assemblea regionale.

La sfida è dunque ufficialmente aperta, dopo le prime valutazioni dell’Ue. Fino a poche settimane fa Bratislava, la capitale della Slovacchia vicinissima a Vienna, sembrava essere in vantaggio su tutte le altre contendenti. Non solo perché la Slovacchia non ha alcuna sede di Agenzia europea sul suo territorio, ma soprattuto perché area di influenza tedesca. Un recente sondaggio interno sulle preferenze dei dipendenti dell’Ema, insieme al concomitante indebolimento elettorale della cancelliera Angela Merkel, sembra invece aver fatto calare del tutto le quotazioni di Bratislava. Nessuno vorrebbe traslocare lì da Londra. Abbastanza forte, dunque, è Amsterdam, al primo posto per preferenza dei dipendenti ma sprovvista di una sede definitiva da mettere a disposizione. Poi c’è Barcellona. Ma in questo caso pesa la grossa incognita politica della crisi catalana. E poi Vienna, oggettivamente avvantaggiata dalle debolezze degli altri, come hanno raccontato alla stampa alcuni funzionari italiani che stanno seguendo il dossier da Bruxelles. L’elenco delle città candidate (in tutto 19) comprende anche Atene, Bonn, Bucarest, Dublino, Helsinki, Lille, Malta, Porto, Sofia, Stoccolma, Varsavia, Zagabria.

Milano è al quarto posto di gradimento nel sondaggio interno, ma dovrà fare molto di più che avere una sede già pronta e collegamenti efficienti: dovrà offrire garanzie di scuole internazionali e un welfare all’altezza per le famiglie dei dipendenti dell’Ema, a partire dalla facilità di trovare posti di lavoro. Dovrà inoltre presentare un’adeguata offerta di alberghi. Qualcuno ha fatto notare che anche dal punto di vista dei diritti civili (vedi quelli delle comunità Lgbt) l’Italia ha ancora molto da fare. E poi – e questo è in realtà lo scoglio maggiore – c’è una questione geopolitica importante: se verranno scartati i Paesi che già ospitano una sede di Agenzia europea, l’Italia sarà fra le prime a essere tagliata fuori e resterebbero in piedi le candidature di Slovacchia, Bulgaria e Romania. Senza contare che in ogni caso potrebbero essere premiate città più vicine agli interessi della Germania o della Francia. Sarà anche per questo che sulla candidatura di Milano sono già spuntate le prime polemiche, innescate da chi ritiene che il Governo Gentiloni non stia facendo tutto il possibile per vincere. Lo dicono gli stessi leghisti, stretti fra la lealtà a Maroni e l’allergia alle istituzioni europee. «Milano può e deve essere candidata come sede dell’agenzia europea del farmaco, il governo non può trasformare questa grande opportunità in un’occasione persa» ha detto anche la senatrice Ida Germontani, del gruppo ‘Idea’. Proprio a Palazzo Madama è maturato in queste settimane il pressing a sostegno della candidatura milanese. Giovedì scorso il Senato ha approvato a larghissima maggioranza quattro diverse mozioni per spingere il progetto. A sentire i parlamentari, si tratta di una questione nazionale. Come dice Emilia Grazia De Biasi, esponente Pd e presidente della commissione Sanità: «Se vince Milano, vince l’Italia. E credo che questo debba renderci orgogliosi e uniti».

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