Prendiamo una società fondata nel 1973 da quattro amici a una manciata di chilometri dalle spiagge di Cattolica. Una società che di mestiere fabbrica macchinari per altre aziende, in un settore, quello del packaging, dove la concorrenza internazionale negli ultimi anni è esplosa, lungo un asse che parte dalla Turchia e arriva fino alla Cina. Come si può assicurare un presente e un futuro a questa impresa? La risposta è una sola: imponendosi di alzare l’asticella della qualità. Fare cose difficili, farle usando tutto quello che la tecnologia permette. Lanciarsi a tutta velocità in una corsa dove i circuiti sono globali. Siamo a pochi chilometri anche da Tavullia, patria di Valentino Rossi, e quindi la missione sembra meno impossibile.
È il percorso che ha intrapreso già da alcuni anni la Omag di Gradara (Pesaro Urbino), attiva nel settore del packaging. Il suo fatturato, che nel 2015 si fermava a 9 milioni di euro, nel 2016 era salito a 12. Le previsioni per quest’anno sono di toccare quota 16. Il tutto senza acquisizioni ma con una crescita organica. Per capire come sia possibile siamo andati a fare una puntata nell’azienda, nell’ambito degli incontri con le imprese che Linkiesta sta effettuando in partnership con Messe Frankfurt, in vista del Forum Meccatronica che si terrà il 26 settembre ad Ancona.
Ad accoglierci c’è Roberto Filippucci, membro del Cda e Automation & Systems Manager di Omag Pack. La società, ci racconta, è nata nel 1973 da quattro amici (di cui uno suo padre, Bruno Filippucci), da sempre specializzati nel settore del packaging. Le immagini d’epoca sul sito della società raccontano di uno scantinato a Gabicce Mare, poi di piccole vittorie, come l’ordine di quattro macchinari per confezionare le famose caramelle “Saila Menta”. Negli anni l’officina si sposta e si ingrandisce. Per arrivare ai numeri degli ultimi anni dobbiamo però parlare di altro, cioè di farmaceutica e di industria 4.0.
I clienti del settore della farmaceutica garantiscono il 50% del fatturato della società. La quota è in crescita, a discapito dell’alimentare, il settore coperto tradizionalmente. Fare le cose difficili vuol dire principalmente avere a che fare con gli standard di sicurezza che questo ambito richiede. Dove la sicurezza è il primo asset la “compliance”, ossia il rispetto delle regole fin nei minimi dettagli è altrettanto centrale. Tutto questo si traduce in un mare di documenti da redigere e di dispositivi di verifica da applicare alle macchine: firme digitali, un sistema di log-in che permette di identificare qualunque operatore faccia andare la macchina, la possibilità di concentrare in un unico punto i dati prodotti dai macchinari, tutti interconnessi. «Quello del farmaceutico è un mercato più esigente di quello alimentare sotto l’aspetto formale – commenta Filippucci -. Si può competere solo se si hanno dei contenuti tecnologici importanti. È questa competenza che ci ha permesso di staccarci dai competitor presenti sul mercato».
Come si può competere in un settore, quello del packaging, dove la concorrenza internazionale negli ultimi anni è esplosa, lungo un asse che parte dalla Turchia e arriva fino alla Cina? La risposta è una sola: imponendosi di alzare l’asticella della qualità. Fare cose difficili, farle usando tutto quello che la tecnologia permette. Lanciarsi a tutta velocità in una corsa dove i circuiti sono globali
L’avanzamento tecnologico si concretizza su diversi fronti. I motori ora sono tutti “brushless” e gestiti da un motion controller – una tecnologia che solo 10 anni fa era di frontiera. Il sistema di sensoristica permette una manutenzione predittiva che, assieme al controllo al distanza, è uno dei capisaldi dell’Industria 4.0. Poi ci sono gli “optional”, quegli elementi che, come per le auto vendute al grande pubblico, sollecitano l’interesse dei clienti. Filippucci rende l’idea con un esempio, quello dei sistemi di realtà aumentata, visibili attraverso normali smartphone o tablet, che consentono di aprire virtualmente gli sportelli e “vedere” tutti i componenti prima di smontare una macchina. Un sistema innovativo è stato presentato a maggio all’Interpack, la fiera di Dusseldorf, un’altra dimostrazione che la produzione fisica e la componente software viaggiano ormai in parallelo anche in società dal netto profilo manifatturiero.
Non ha fatto male, aggiunge Filippucci, la spinta del Piano Industria 4.0 e dei suoi incentivi all’acquisto di macchinari e alla ricerca e sviluppo. «Noi abbiamo beneficiato del piano sia direttamente sia indirettamente, tramite gli incentivi ottenuti dai nostri clienti. Per una volta la burocrazia richiesta è stata limitata e i costi per le pratiche non hanno annullato i benefici». L’azienda ha fatto ricorso all’iperammortamento per acquistare un “magazzino verticale”. A vederlo è come un grande silos: al suo interno sono caricati tutti i componenti per costruire i macchinari. Ogni volta che una nuova macchina va montata, dal “silos” scendono tutti i pezzi, contati al bullone. Il tempo si taglia, l’efficienza aumenta. E i posti di lavoro? La Omag li ha aumentati di oltre una trentina (da meno di 40 a 70) negli ultimi cinque anni. Durante la visita erano in corso le selezioni per un ruolo nell’ufficio automazione e software. Una figura non facile da trovare, assicura Filippucci. Segno ulteriore che la priorità del manifatturiero italiana, oggi, non è baloccarsi sui rischi occupazionali ma accelerare sulla formazione delle figure professionali legate all’Industria 4.0.
Il tempo si taglia, l’efficienza aumenta. E i posti di lavoro? La Omag li ha aumentati di oltre una trentina (da meno di 40 a 70) negli ultimi cinque anni. Durante la visita erano in corso le selezioni per un ruolo nell’ufficio automazione e software. Una figura non facile da trovare