Tutto lo spazio politico che poteva occupare, lo ha occupato. La Pontida di Matteo Salvini ha messo agli atti il nuovo corso della Lega Nord. Che è diventata, appunto, il partito di Salvini. Non un cambio di nome, non un cambio di popolo: queste sono cose che appassionano i giornali e difficilmente sono realizzabili in una forza politica che ha una storia più che trentennale. La Lega sarà piuttosto in questi mesi la macchina al servizio del leader, deciso a proporsi come candidato premier alle elezioni Politiche del 2018, sfruttando a suo vantaggio il sequestro preventivo dei conti correnti vissuto come un’ingiustizia.
Salvini ha occupato tutto lo spazio a destra di Silvio Berlusconi, ma senza andare contro Berlusconi. Per esempio, il leader leghista non ha pronunciato una sola parola sull’uscita dall’euro o contro la cancelliera tedesca Angela Merkel, tabù in un’alleanza con l’uomo del Ppe in Italia che sembra ormai scontata. Sul resto, invece, Salvini ha dilagato, scandendo uno dopo l’altro le sue posizioni securitarie, quelle che puntualmente gli valgono l’applauso dei sostenitori e l’accusa di estremismo dei tanti avversari esterni. Il leader della Lega vuole cancellare le leggi Mancino e Fiano, che puniscono per esempio l’apologia del fascismo. Vuole dare “mano libera” alle forze dell’ordine perché non sia intralciato il loro lavoro di “pulizia” delle città. Vuole cancellare l’obbligo dei vaccini, incentivare le nascite di bambini italiani e fermare l’arrivo di famiglie straniere. In fondo, vuole cancellare tutte le riforme fatte dai governi di cui non ha fatto parte e introdurne alcune che in passato non hanno mai avuto fortuna: per esempio l’elezione diretta dei magistrati.
Fatto fuori Umberto Bossi, che per la prima volta non ha parlato a Pontida (se ne andrà dalla sua creatura politica?), ufficialmente perché di fronte all’emergenza giudiziaria doveva parlare uno solo, Salvini non guarderà in faccia a nessuno. Tranne che, appunto, a Berlusconi. Tutte le ambizioni del segretario leghista dipendono infatti ora da un’alleanza che è più ampia di quel fronte sovranista che per mesi sembrava essere l’unica soluzione per il centrodestra italiano. A Salvini non può infatti bastare, se vuole avere una chance di governo nel 2018, l’aver imposto l’agenda politica ai potenziali alleati (e non solo): con l’attuale sistema elettorale, anche facesse il pieno dei voti, dovrà trattare.
In pochi, fuori dalla Lega, scommettono che possa essere lui “il prossimo presidente del Consiglio” (sua definizione dal palco di Pontida) in caso di maggioranza di centrodestra. Più probabile che sia un uomo di Berlusconi, se non Berlusconi stesso (alla luce di eventuali sviluppi giudiziari). Oppure un leghista di pasta diversa, se il Carroccio e non Forza Italia sarà il primo partito della coalizione: bisogna tenere d’occhio Roberto Maroni e Luca Zaia, il risultato dei loro referendum consultivi per l’autonomia della Lombardia e del Veneto (il 22 ottobre) potrebbe rivitalizzare una Lega meno barricadera e più vicina all’obiettivo storico indicato nel suo statuto: quello di essere il sindacato del nord, né troppo di destra né troppo di sinistra. Per il momento, Salvini sembra essersi giocato tutte le sue carte. Ma alla fine saranno i voti, quelli veri presi nelle urne, a dare il verdetto (ci sarà, per esempio, una maggioranza in Parlamento?). E, in questo, il leader leghista si è spesso mostrato un fuoriclasse.
@ilbrontolo