Arabia Saudita, lo Stato Islamico che piace a tutti (non solo a Putin)

Putin riceve in pompa magna re Salman. Ma tutti i leader occidentali, da Obama a Theresa May, hanno già pagato pegno all’Arabia Saudita (che finanzia l’Isis). Ci sono in ballo petrolio e armi

Niente, non c’è niente da fare. L’Arabia Saudita puoi criticarla, disprezzarla, persino combatterla. Ma da lì devi comunque passare. Alla fin fine il Paese più finto del mondo, inventato dagli inglesi (nella battaglia di Sabilla, quella che nel 1929 sancì la vittoria fiale di Ibn Saud sui beduini ribelli, l’apporto decisivo lo diedero i mezzi corazzati e i bombardieri inglesi) e costruito dagli americani, è diventato uno snodo fondamentale della politica e dell’economia internazionale. L’Isis può agonizzare serenamente: uno Stato islamico c’è già e per di più piace a tutti.

Lo si è visto proprio in queste ore, con la visita di re Salman a Mosca, la prima di un sovrano saudita in Russia, nonostante fosse stata proprio l’Urss, nel 1926, il primo Paese al mondo a riconoscere la legittimità del potere di Ibn Saud, a sua volta padre di Salman. Vladimir Putin ha accolto con tutti gli onori il vecchio re, che di fatto ha già ceduto i poteri al figlio Muhammad, e con lui ha siglato un patto che peserà sull’economia mondiale dei prossimi anni. Russia e Arabia Saudita hanno infatti convenuto di prolungare l’accordo raggiunto l’anno scorso per tagliare la produzione di petrolio e far così risalire i prezzi, mantenendoli più vicini alla quota di sicurezza di 60 dollari che non a quella di sprofondo, per altro più volte toccata, di 45. Certo, l’accordo è “firmato” dall’Opec e da altri 11 Pesi esterni all’organizzazione. Ma se sono contenti due dei principali produttori al mondo, gli altri saranno felici e contenti di allinearsi.

Il paese più finto del mondo, inventato dagli inglesi e costruito dagli americani, è diventato uno snodo fondamentale della politica e dell’economia internazionale

Lo sbarco di re Salman nel freddo moscovita è anche un riconoscimento per Putin, che dai sauditi, grandi sponsor dei terroristi che volevano abbattere il presidente siriano Bashar al-Assad, dovrebbe essere detestato. In realtà anche a Riad riconoscono che il ruolo del Cremlino in Medio Oriente non può più essere ignorato. Sia nella versione militare come in Siria, dove l’intervento russo ha cambiato le sorti della guerra. Sia in quella politico-diplomatica, per la vicinanza all’Iran e per la capacità di gestire con astuzia quest’amicizia complicata, come l’accordo del 2015 sul nucleare, siglato anche dagli Usa di Barack Obama e dalla Ue, dimostra a sufficienza.

Quindi giù firme sui contratti nei saloni stuccati oro del Cremlino, con il permesso accordato ai russi di mettere un piedino nel sancta sanctorum della ricchezza saudita: la compagnia petrolifera di Stato Aramco, che l’anno prossimo dovrebbe mettere sul mercato il 5% delle proprie azioni. Si dice da tempo che Rosneft, il braccio petrolifero della politica estera russa, sarebbe in prima fila per acquisire parte di quella quota. Per ora Sibur, gigante russo della petrolchimica, e il Fondo di investimento statale russo hanno firmato una dichiarazione d’intenti per delle joint venture con Aramco nel settore della raffinazione. Per ora, domani chissà.

L’unico altro Paese che l’Arabia Saudita tratta con questo rispetto è Israele, con cui peraltro non ha mai avuto nemmeno uno straccio di relazione diplomatica. Per tutti gli altri il rapporto con l’Arabia Saudita si risolve allo stesso modo: correre a piatire contratti e investimenti. Barack Obama, quando andava a Riad, faceva anticamera, re e principi non andavano nemmeno ad accoglierlo all’aeroporto. Sventolavano un po’ di miliardi e tanto bastava

L’unico altro Paese che l’Arabia Saudita tratta con questo rispetto è Israele, con cui peraltro non ha mai avuto nemmeno uno straccio di relazione diplomatica. Ma Israele è una potenza, condivide l’ostilità saudita nei confronti dell’Iran, ha sviluppato un notevolissimo settore high tech e potrebbe convogliare sul regno, impegnato con il progetto di riforma dell’economia intitolato Saudi Vision 2030, investimenti preziosi.
Dal canto suo, l’Arabia Saudita potrebbe rivelarsi preziosa, per Israele, nella risoluzione della questione palestinese. Perché se i Saud li mollassero, i palestinesi sarebbero davvero finiti. Altro che due Stati, farebbero fatica persino a trovare un cortile. Così, ai primi di settembre, il principe ereditario Mohammad bin-Salman, vero uomo forte del regno, si è recato in visita in Israele. E gli uni e gli altri hanno trovato modo di farlo sapere in giro.

Per tutti gli altri il rapporto con l’Arabia Saudita si risolve allo stesso modo: correre a piatire contratti e investimenti. Gli Usa non fanno eccezione. Barack Obama, quando andava a Riad, faceva anticamera, re e principi non andavano nemmeno ad accoglierlo all’aeroporto. Sventolavano un po’ di miliardi e tanto bastava. Obama vendette 63 miliardi di dollari armi ai sauditi nel 2010. Donald Trump, che tante ne aveva dette sui sauditi come ispiratori dell’11 settembre durante la campagna elettorale, ha fatto in fretta retro marcia. L’Arabia Saudita è diventata alleata indispensabile, soprattutto dopo che re Salman gli ha sganciato un assegno da 140 miliardi di dollari per le solite armi.

Theresa May, la premier del Regno Unito, nell’affanno del post Brexit che le ha fatto promettere agli inglesi di aumentare del 37% entro il 2030 il commercio con i primi 10 partner commerciali non Ue, è andata supplice in Arabia Saudita

Sul resto del mondo si potrebbe stendere un velo pietoso. Theresa May, la premier del Regno Unito, nell’affanno del post Brexit che le ha fatto promettere agli inglesi di aumentare del 37% entro il 2030 il commercio con i primi 10 partner commerciali non Ue, è andata supplice in Arabia Saudita.
Tanto supplice da aver impedito la pubblicazione di un rapporto governativo sui legami tra il regno dei Saud e le organizzazioni islamiste che operano (e spesso colpiscono) nel Regno Unito. Del resto, ci sono 30 mila inglesi che vivono e lavorano in Arabia Saudita e l’industria inglese degli armamenti riceve dai sauditi il 65% degli ordinativi. Che volete che faccia, la povera May?

La Francia? Non parliamone. Nel 2015 il presidente Hollande andò due volte in visita ufficiale di Stato in Arabia Saudita, e per tre volte ci andò il primo ministro Valls. Alla terza visita, Valls portò con sé 200 industriali francesi e allegramente siglò contratti (anche per armi) per oltre 10 miliardi di euro. Su quei contratti campeggiava la firma dell’allora ministro francese dell’Economia e dell’Industria, un signore di nome Emmanuel Macron che poi ha preso il posto di Hollande. Ops!

L’Italia nel 2014 ha raggiunto con i sauditi un interscambio commerciale di nove miliardi di euro e per i nostri aeroporti transitano le bombe che i sauditi usano per colpire i civili nello Yemen

L’Italia nel 2014 ha raggiunto con i sauditi un interscambio commerciale di nove miliardi di euro e per i nostri aeroporti transitano le bombe che i sauditi usano per colpire i civili nello Yemen. E poi c’è la Ue, certo. Qualche tempo fa, dopo aver ricevuto il ministro degli Esteri del Qatar in rotta con l’Arabia Saudita, Federica Mogherini, responsabile per la politica estera e di sicurezza, disse che l’Europa ha sempre avuto ottimi rapporti con Arabia Saudita e Qatar e tiene molto a continuare ad averli.
Per cui, davvero: ma chi gliel’ha fatto fare ai sauditi di spendere tutto questi soldi nel Califfato di Al Baghdadi? Lo Stato islamico, quello dove tagliano la mano ai ladri e la testa agli apostati, c’è già, è ricco, prospero e stimato. Amato forse, a giudicare dagli strilli di gioia con cui è stata accolta la notizie che le donne saudite potranno addirittura guidare l’automobile. Ha un re, una bella capitale, tanti grattacieli ed è uno dei centri del mondo, mica quella roba da straccioni di Raqqa. C’è già e si chiama Arabia Saudita

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