«Noi realizziamo i vostri sogni». Era uno slogan del Milan vincente di qualche anno fa diretto ai cugini dell’Inter versione zero titoli. Ora che entrambe le sponde di Milano si preparano al primo derby a proprietà cinese, a pronunciare quella frase sono proprio i governanti e i rappresentanti di una delle società più grandi al mondo, la State Grid Corporation of China (330 miliardi di dollari di fatturato). Il sogno era quello europeo, di sfruttare gli infiniti spazi del deserto del Sahara per produrre energia elettrica da impianti fotovoltaici, destinata ad arrivare in Europa. Quel progetto, a forte impulso tedesco e chiamato Desertec, è naufragato da molti anni sotto i colpi prima delle crisi politiche seguite alle primavere arabe sia del calo della domanda di energia in Europa a causa della crisi. Ora l’idea viene rispolverata da Pechino ma in un’ottica completamente diversa: non la produzione per l’Europa ma per il mondo intero, compresa una buona fetta delle 3 miliardi di persone che oggi ha un accesso discontinuo all’elettricità. Un obiettivo semplicemente impossibile fino a poco tempo fa, visto che i sistemi attuali di trasmissione di energia hanno grandi dispersioni e non sono connessi a livello globale. Ora però le cose stanno cambiando.
Immaginate, per capire che cosa hanno in mente a Pechino, che oltre ai parchi solari nel Sahara ci siano vaste estensioni di parchi eolici nelle zone ventose dell’Artico e in moltre altre zone non abitate del pianeta, compresa l’Antartide. Immaginate una nuova rete di trasmissione dell’energia ad altissima capacità e bassa dispersione, capace di connettere tutto il mondo, compresi i suoi angoli più remoti. Immaginate che questo permetta di rendere finalmente possibile uno sviluppo rapido delle fonti di energia rinnovabile, perché non ci sarebbero più i problemi derivanti dalla discontinuità della produzione di elettricità da sole e vento. Immaginate che tutto questo porti entro il 2050 a produrre il 90% dell’elettricità con fonti rinnovabili a livello mondiale. Immaginate, infine, che ciò comporti investimenti globali per la cifra astronomica di 50mila miliardi di dollari in 30 anni.
Immaginate, per capire che cosa hanno in mente a Pechino, parchi solari nel Sahara e parchi eolici nelle zone ventose dell’Artico e Antartide. Immaginate una nuova rete di trasmissione dell’energia capace di connettere tutto il mondo. Immaginate che tutto questo porti entro il 2050 a produrre il 90% dell’elettricità con fonti rinnovabili a livello mondiale e investimenti globali per 50mila miliardi di dollari in 30 anni
Quando nel 2010 la State Grid Corporation of China cominciò a tratteggiare nei suoi documenti strategici questi scenari, l‘interesse che suscitò fu tutto sommato limitato, perché si trattava di poco più di suggestioni. Da allora, però, molta acqua è passata sotto i ponti: nel 2015 la visione è stata presentata all’assemblea generale delle Nazioni Unite dal presidente cinese Xi Jinping. Un anno dopo da Pechino su impulso di State Grid è stata creata un’organizzazione apposita, chiamata Geidco, ossia Global Energy Interconnection Development and Cooperation Organization. Il suo vice-presidente è il premio Nobel per la fisica Steven Chu, già ministro dell’Energia nella prima amministrazione Obama. A oggi vi hanno aderito 265 imprese di 22 Paesi (tra cui Abb, Siemens, Terna, Politecnico di Torino). È stato elaborato un piano, con una roadmap che si pone obiettivi al 2020, 2030 e 2050. Nel frattempo i primi investimenti per diverse centinaia di milioni di dollari per progetto sono iniziati, in Cina, ma anche in India, Stati Uniti e Sudamerica.
La tecnologia si sta sviluppando rapidamente e questo già permette di ragionare sulle conseguenze con cui fare i conti una volta che il progetto fosse effettivamente messo in atto. Conseguenze geopolitiche, perché l’interconnessione si affianca allo sviluppo infrastrutturale del progetto One Belt One Road (o Nuova Via della Seta); ma anche industriali, perché in parallelo corre anche il piano per far conquistare alla Cina una posizione egemone nella produzione di auto, attraverso lo sviluppo di auto elettriche (con buona pace di Sergio Marchionne e della sua diffidenza sul tema). E gestionali e amministrative, perché nello scenario che si va delineando il ruolo delle società municipalizzate è destinato a ridimensionarsi, soprattutto se avranno successo le sperimentazioni di distribuzione basata sulla tecnologia delle blockchain.
Il punto di partenza di ogni ragionamento è quello della tecnologia. Sono tre i pilastri del progetto: le linee supercritiche a corrente continua (Ultra High Voltage Direct Current, o Uhv-Dc); lo stoccaggio dell’energia prodotta da fonti rinnovabili; e la distribuzione locale dell’elettricità tramite smart grid, ossia reti intelligenti. Le reti Uhv-Dc sono la chiave di tutto. Rispetto alle linee a corrente alternata il potenziale elettrico è maggiore e le perdite minori. Oggi le linee ad altissima tensione, in Italia, arrivano a 380 Kv (kilovolt) e la dispersione è tra il 6 e l’8 per cento. Una linea di ultima generazione a corrente continua hanno un potenziale di 800-1.100 Kv e assicurano la trasmissione su distanze fino a 2.300 chilometri fino con perdite inferiori al 5 per cento. «Perché non rimanga sulla carta, il progetto deve poggiarsi su delle reti innovative che abbiano grande velocità, grande capacità di trasporto e basse perdite. Le nuove reti supercritiche assicurano questo e hanno altri due vantaggi: occupano meno spazio delle linee tradizionali e non hanno un campo magnetico, per cui non determinano inquinamento elettromagnetico come le linee tradizionali», spiega a Linkiesta Corrado Clini, ex ministro dell’Ambiente italiano e docente di Scienze ambientali all’università Tsinghua di Pechino. Clini fa parte di un advisory board di una decina di esperti che stanno presentando il progetto nel mondo: vi fanno parte il responsabile delle smart grid della francese Edf, il presidente dello statunitense Edison Electric Institute (Usa), il capo-negoziatore per la Cina sul tema dei cambiamenti climatici e accademici tra Cina e Giappone.
La tecnologia delle reti supercritiche è stata sperimentata in varie parti del mondo, compresi gli Stati Uniti (tra Oklahoma e Tennessee) e Brasile (sempre su iniziativa cinese). In Italia è di questo tipo la nuova connessione tra Sardegna e Italia, inaugurata cinque anni fa. La Cina ha deciso di farle divenire centrali dopo una grave crisi energetica del 2005 e perché ha grandi bacini idroelettrici e le principali aree estrattive del carbone in zone lontane dai grandi centri della costa. A oggi questi impianti sono sottoutilizzati, ma stanno permettendo alla Cina di essere all’avanguardia, assieme all’India, nel settore. Il programma in corso prevede investimenti per 90 miliardi di dollari per 13 linee Uhv-Dc, di cui 9 già in fase di realizzazione. Le difficoltà tecniche sono grandi, soprattutto per la dispersione che si ha nella fase di passaggio dalla corrente continua a quella alternata.
Le conseguenze? Saranno geopolitiche, perché l’interconnessione si affianca allo sviluppo della Nuova Via della Seta); ma anche industriali, perché in parallelo corre il piano per far conquistare alla Cina una posizione egemone nella produzione di auto, attraverso lo sviluppo di auto elettriche. E gestionali e amministrative, perché il ruolo delle società municipalizzate è destinato a ridimensionarsi
Il secondo punto chiave del ragionamento riguarda la decarbonizzazione dell’economia del pianeta. L’obiettivo al 2020 è limitato, perché consiste sostanzialmente nel programmare e rafforzare le interconnessioni delle reti supercritiche nei singoli Paesi, anche attraverso progetti pilota dimostrativi, oltre che nell’individuare siti, infrastrutture e logistica a livello globale. Nel 2030 le cose cambiano, perché l’obiettivo è che le tecnologie pulite coprano almeno un terzo della domanda globale di energia, mentre la produzione di elettricità da fonti rinnovabili dovrebbe coprire il 50% della produzione totale. Nel 2050 la road map del Geidco prevede di assicurare l’80% del clean replacement della domanda globale di energia e il 90% dell’elettricità con le fonti rinnovabili.
C’è infine la questione geopolitica, perché questo impulso politico è un altro passo della “soft power policy”, per supportare il ruolo globale della Cina attraverso la cooperazione internazionale. Un tassello di questa politica è il rilancio della Via della Seta, che, come sottolineato su Linkiesta, è un modo per dare un’impronta “cinese” alla globalizzazione ed esportare la capacità produttiva cinese nei Paesi attraversati, anche a costo di dare una sterzata rispetto allo storico principio di non ingerenza negli affari interni dei Paesi sovrani. Al di là delle difficoltà tecniche, il grande ostacolo oggi per il progetto di quello che è stato chiamato “l’internet dell’energia” è il clima teso che si è creato tra Cina e Stati Uniti negli ultimi anni e che potrebbe avere un salto di qualità con l’amministrazione Trump (che per ora non ha fatto passi concreti).
Al di là delle difficoltà tecniche, il grande ostacolo oggi per il progetto di quello che è stato chiamato “l’internet dell’energia” è il clima teso che si è creato tra Cina e Stati Uniti
Nel progetto del Sahara si uniscono i puntini di varie linee tracciate da Pechino: l’approdo in Africa sempre più in forze, per il supporto agli investimenti e l’accesso alle materie prime; lo sviluppo dell’auto elettrica; ma anche l’ingresso in società strategiche occidentali. Tra queste figura a pieno titolo anche il 35% acquisito da State Grid of China in Cdp Reti, la quale controlla poco meno del 30% di Terna, la società della distribuzione dell’energia in Italia. Il dettaglio non è da poco, perché Terna dovrà decidere se finanziare la rete fondamentale per far partire il progetto nel Sahara, quella tra Tunisia e Italia. Il costo stimato è di 600 milioni per 250 chilometri di rete.
La rete è stata inserita nel piano quinquennale di Terna in fase di studio, ma la società per ora punta a finanziarla con fondi europei. «Il progetto è entrato nel piano di sviluppo italiano e della Ue formalmente, adesso si è candidato a diventare un progetto di interesse comune e stiamo raccogliendo dichiarazioni formali di approvazione da altri operatori europei che ci aiutino ad ottenere risorse per fare il progetto», ha spiegato lo scorso febbraio l’ex ad di Terna Matteo Del Fante. «La rete supercritica con la Tunisia renderebbe necessario un ammodernamento anche del resto della rete italiana, per rendere l’Italia un hub dell’energia europea in un’ottica di interconnessione globale», commenta Clini. «L’Italia può dare molto su questo fronte. Ha una tradizione e un’esperienza, attraverso le sue aziende, che dovrebbe valorizzare. Per la sua posizione geografica e per il suo ruolo industriale, dovrebbe assumere una paternità politica di questo progetto. Il premier Gentiloni ha fatto bene a partecipare al Forum sulla Via della Seta a Pechino, ma ora bisogna cogliere le opportunità che si aprono. La Cina in questi anni ha dimostrato una grande attenzione e grandi attese verso l’Italia. La nostra risposta è stata però spesso frammentaria e contradditoria».
Tra gli investimenti cinesi in Occidente figura il 35% acquisito da State Grid of China in Cdp Reti, la quale controlla poco meno del 30% di Terna, la società della distribuzione dell’energia in Italia. Il dettaglio non è da poco, perché Terna dovrà decidere se finanziare la rete fondamentale per far partire il progetto nel Sahara, quella tra Tunisia e Italia. Il costo stimato è di 600 milioni per 250 chilometri di rete