La reazione dell’Europa all’indipendenza della Catalogna

Già prima dell’incerta dichiarazione di Puidgemont di martedì scorso, la maggioranza dei leader europei aveva appoggiato il Governo di Madrid. Da Merkel a Macron fino alla premier polacca Szydlo

LLUIS GENE / AFP

Catalogna vs Madrid: che ruolo per l’Ue?

Lo scontro politico tra Spagna e Catalogna è sulle prime pagine dei giornali di tutta Europa. Politici, opinionisti e analisti stanno condividendo il loro punto di vista sulla crisi costituzionale spagnola.

Le posizioni politiche in Europa

Già prima dell’“incerta dichiarazione d’indipendenza” di martedì scorso, una maggioranza di leader europei aveva appoggiato il Governo di Madrid. Un paio di settimane fa, il primo ministro polacco Beata Szydlo ha dichiarato apertamente “che non intende interferire con le problematiche interne della Spagna”. Allo stesso modo, il Presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, “ha ribadito come l’integrità degli stati nazionali sia una garanzia per la stabilità per tutta l’Unione”. L’uscente ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schæuble, ha affermato che “il rispetto dello stato di diritto e dell’ordine costituzionale” rappresentano il fondamento di qualsiasi democrazia.

Altri rappresentanti istituzionali si sono schierati apertamente soltanto il giorno della dichiarazione di indipendenza da parte del Presidente catalano, Puigdemont. Il ministro francese agli Affari europei, Nathalie Loiseau, ha attaccato le autorità catalane e ha affermato che Parigi non è pronta a riconoscere “dichiarazioni unilaterali”. Del resto anche Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno appoggiato Madrid.

Nonostante ciò, nel corso delle scorse settimane, alcuni cittadini europei e movimenti politici minori hanno supportato la causa catalana. Un articolo della testata tedesca conservatrice, Frankfurter Allgemeine Zeitung, ha evidenziato le connessioni che intercorrono tra i politici locali della Francia meridionale e il movimento d’indipendenza catalano.

Dal canto suo, il Consiglio d’Europa ha annunciato di essere pronto ad avviare un’indagine sugli atti di violenza perpetrati dalla polizia in Catalogna il giorno del referendum. Le azioni delle forze di sicurezza nazionali ha provocato proteste in tutta Europa, anche se principalmente sui social network.

Nel frattempo, da Bruxelles, i rappresentanti dell’UE hanno cercato soprattutto di calmare le acque.

Il leader del Partito popolare europeo (Ppe), Manfred Weber, ha messo in guardia rispetto alle conseguenze della crisi catalana e ha tracciato un parallelo con l’escalation che ha segnato le negoziazioni sul bailout con la Grecia nel 2015. Martedì, il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha chiesto a Carles Puigdemont di non dichiarare l’indipendenza.

Tuttavia, in linea generale, Bruxelles sta cercando di incentivare un dialogo tra Madrid e Barcellona. Secondo molti analisti però, la posizione dell’Ue nella crisi costituzionale spagnola sembra titubante. Ma come dovrebbe intervenire l’Ue nel conflitto diplomatico? Dovrebbe soltanto mediare tra le parti? O ci sono altre soluzioni all’orizzonte?

Il dibattito intellettuale

Simon Toubeau, sul TheConversation, traccia un parallelismo tra la crisi catalana e altri conflitti territoriali violenti che si sono verificati nel Vecchio Continente. Toubeau cita ad esempio i conflitti che hanno coinvolto l’Irlanda del Nord, Cipro e la Bosnia Erzegovina.

Secondo Toubeau, l’Unione europea deve mediare tra le autorità nazionali e regionali. Ma ammette che serve una certa dose di “creatività”. Toubeau invita innanzitutto il Parlamento europeo ad adottare una risoluzione che condanni la situazione attuale. Per avere un effetto concreto la risoluzione dovrebbe però essere necessariamente sostenuta da tutte le istituzioni e i leader europei. A quel punto, specifica Toubeau, l’Ue potrebbe presentarsi “legittimamente” come “mediatore imparziale”.

Ma l’analista francese sottolinea che esiste una condizione fondamentale che deve essere rispettata affinché il processo delineato possa mettersi in moto: non ci deve essere alcuna “dichiarazione d’indipendenza unilaterale” da parte di Barcellona. Peccato che sia proprio ciò che è avvenuto martedì scorso.

Dalle pagine di SocialEurope, l’ex ministro per le finanze greco, Yanis Varoufakis, afferma che la crisi costituzionale spagnola potrebbe diventare un’”occasione” per l’Ue di riconfigurare la governance democratica delle istituzioni regionali, nazionali ed europee”.

Varoufakis sostiene che “la Catalogna rappresenta un caso di studio perfetto per evidenziare il dilemma dell’Ue degli ultimi anni”: sostenere uno Stato autoritario o legittimare spinte identitarie e comunitariste? L’Unione deve uscire da questa dicotomia e muovere passi concreti verso un’organizzazione democratica ampia e una nuova concettualizzazione della sovranità. Quello che serve è una rifondazione dell’attuale struttura di governance. Quel che serve sono spazi di autonomia fiscale per le autorità esecutive regionali e ai consigli comunali.

In un articolo pubblicato sul TheGuardian prima della dichiarazione di Puigdemont, Gerry Adams, leader della forza politica irlandese, Sinn Fein, sostiene che le comunità internazionali non possono continuare a ignorare la crisi in corso con il rischio di aggravarla.

Sulla falsa riga di Toubeau, anche Adams identifica un parallelismo con episodi della storia europea del secolo scorso. Secondo il leader, sebbene il Governo catalano sia aperto a discutere la questione, Madrid sembra voler tagliare, in maniera brutale, tutte le linee di comunicazione – Adams menziona la minaccia da parte del Governo di attivare l’opzione “nucleare” dell’Art. 155.

L’atteggiamento di Madrid negherebbe le precondizioni necessarie alla risoluzione del conflitto. Il politico avvalora la sua tesi con prove storiche provenienti dal Processo di pace nordirlandese. Adams sostiene che, in quel caso, non si ottenne nessun progresso concreto fino a quando la Gran Bretagna non smise di ignorare le rivendicazioni dell’altra parte minoritaria. Solo dopo una presa d’atto da parte di Westminster, gli Usa e l’Ue poterono intervenire in modo costruttivo.

Su Die Welt, Sascha Lehnartz ripercorre la storia della Catalogna e analizza il processo che ha portato la regione spagnola a diventare un luogo “fuori dal comune” in Spagna e in Europa. Sebbene Lehnartz non appoggi il movimento indipendentista, riesce a spiegare perché le spinte indipendentiste siano prominenti a Barcellona.

Per quanto riguarda il ruolo dell’Ue, la giornalista sostiene che esistono buone ragioni per non interferire nella crisi spagnola. D’altra parte, esisterebbe un grande rischio che le rivendicazioni d’indipendenza si diffondano in tutta Europa. Lehnartz menziona i movimenti politici in Scozia e Nord Italia.

E’ una posizione condivisa anche dalla politologa Sabine Riedel, intervistata dal quotidiano economico, Handelsblatt. Secondo l’intellettuale tedesco, l’Europa ha bisogno di una nuova “cultura del disaccordo” per risolvere conflitti diplomatici di questa entità. Secondo Riedel, sarebbe utile costruire “canali istituzionali” specifici che permettano ai rappresentanti istituzionali spagnoli di apprendere da altri contesti nazionali. Inoltre, Riedel sostiene che l’Ue debba combattere con vigore le ideologie indipendentiste nel Continente.

Su Carnegie Europe, Richard Youngs esprime una visione equilibrata, ma non meno rilevante sul conflitto tra Spagna e Catalogna. Youngs spiega che l’Ue ha sempre prioritizzato le azioni politiche e civili in difesa dello “stato di diritto”, rispetto a quelle che, a fasi alterne, hanno invocato la dimensione partecipativa della democrazia. Ciò è dovuto, essenzialmente, al fatto che l’Unione sia ancora e, prima di ogni altra cosa, un insieme di stati nazionali. Lo stesso principio spiega perché l’Ue abbia, finora, espresso opinioni moderate sul conflitto. Tuttavia, Youngs sostiene che, a questo punto, Bruxelles debba offrire qualcosa di più concreto che favorire il dialogo. In altre parole, servono proposte concrete per una ristrutturazione del governo spagnolo. L’autore analizza brevemente il concetto di “confederalismo democratico”, delineato come una nuova forma di struttura di governance politica. Quest’ultima potrebbe fortificare lo stato di diritto, senza rischiare un sovvertimento dell’ordine attuale.

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