Va bene: Trump è sporco, brutto e cattivo. Contenti? Ora possiamo parlare in modo oggettivo di Hillary Clinton? Possiamo dire che l’ex first lady, ex senatrice di New York, ex segretario di Stato, ex candidata democratica alle scorse presidenziali, non è la miglior politica del mondo? Possiamo fare un bilancio dei suoi 70 anni – il 26 ottobre – tra compromessi verso il basso, giravolte, errori strategici e politici? Al di là di come la pensiate su The Donald, Hillary Clinton è una delle ragioni principali per cui la democrazia americana è in questa situazione. L’incapacità politica e negoziale, il legame con l’establishment, l’arrivismo e la volontà di compiacere. Il fatto che davanti a lei ci fosse uno dei candidati più politicamente scorretti e ignoranti della storia, ha fatto passare in secondo piano tutti i suoi fallimenti politici.
Ci sono una serie di miti mediatici alimentati involontariamente o meno che hanno creato l’immagine di martire, la chance persa dall’America e dall’Occidente per entrare nel futuro. Tutte credenze che Clinton presentando il suo libro di memorie What happened (Cos’è successo) in giro per gli Stati Uniti, continua ad alimentare. Togliete le stupide considerazioni sessiste sul suo conto, le interferenze russe e l’inchiesta sulle sue mail private ricevute quando era segretario di Stato riaperta dall’ex direttore del Fbi James Comey a due settimane dalle elezioni. Togliete tutti questi alibi e sotto la patina del politicamente corretto troverete la vera Hillary: una politica modesta. Non il male assoluto ma nemmeno all’altezza dell’immagine che abbiamo creato in questi anni e alimentato con la speranza di non far vincere Trump.
Partiamo dalla prima favola che ci siamo raccontati: Clinton ha perso le elezioni per colpa degli hacker russi mandati da Putin. Falso. Primo perché ha avuto quasi tre milioni di voti in più di Trump (2.868.519 a essere precisi). E con un sistema elettorale diverso avrebbe vinto le elezioni. Quindi se gli hacker russi hanno operato, l’hanno fatto male. Secondo perché il fallimento della sua campagna elettorale è stato proprio quello di sottovalutare il sistema elettorale statunitense. Clinton ha condotto una campagna elettorale arrogante. annaspando contro due candidati a cui nessuno avrebbe dato una chance. Ha sottovalutato l’ansia di cambiamento dei millennials e ha subito la rincorsa di Bernie Sanders. Dopo aver vinto a fatica le primarie democratiche non ha quasi messo piede negli Stati decisivi come il Michigan e Wisconsin, convinta che per vincere bastasse essere donna, democratica e non chiamarsi Donald Trump.
E non perché Clinton sia corrotta come sostiene Trump. Non ci sono prove. Ma qualsiasi promessa di cambiamento di Hillary è risultata inverosimile agli elettori. Come poteva risultare credibile l’idea di regolare la finanza di Wall Strett di una candidata che nel solo 2013 ha ricevuto più di due milioni di dollari per delle conferenze dedicate a società come Goldman Sachs? Chiariamo: non c’è nulla di male. È normale che un politico di esperienza sia invitato e pagato ad eventi del genere. Ma di solito si fa dopo aver terminato la propria vita in politica. Non prima di candidarsi alla più importante carica del mondo. Possiamo giurare sulla sua credibilità, ma il conflitto d’interesse è troppo forte. Non solo durante la campagna elettorale ha sempre rifiutato di pubblicare il testo dei discorsi per questioni di trasparenza, ma ha avuto anche l’arroganza di rispondere al giornalista della CNN che le chiedeva perché si era fatta pagare così tanto: «Perché era quello che offrivano». Uno dei tanti errori di comunicazione che l’hanno fatta perdere.
In quattro anni di mandato come segretario di Stato non c’è un accordo, un trattato, un segno significativo del suo passaggio. Clinton è stato un segretario cauto, mediocre. Si è comportata come un alto diplomatico più che come un politico di razza. Il dato rimane: nei dossier dove si è impegnata di più (Libia e conflitto israelo palestinese) non ha ottenuto nulla. suo successore, John Kerry, anche lui esperto di fallimenti elettorali ha chiuso il trattato nucleare con l’Iran (il patto dei 5+1) e l’accordo sul clima di Parigi. Invece dove ha mostrato più polso ha creato danni politici che scontiamo ancora oggi. Uno su tutti il fallimento completo sulla Libia.
Barack Obama l’ha definita «La candidata più qualificata per ricoprire il ruolo di presidente». Visti gli altri, un imprenditore milionario e un senatore del Vermont, non aveva tutti i torti. Ma un conto è aver accumulato esperienza, un conto è aver governato bene. L’esperienza conta fino a un certo punto. Lo stesso Obama era stato solo senatore dell’Illinois per quattro anni dal 2004 al 2008. Clinton dal 1992 in un modo o nell’altro ha avuto a che fare con la Casa Bianca e il Congresso, ma quando ha avuto una posizione di responsabilità non è andata benissimo.
«È stata uno dei peggiori segretari di Stato di sempre» ha detto Donald Trump. Forse, sicuramente non il migliore. Intendiamoci: il segretario di stato dipende dal presidente degli Stati Uniti, quindi i suoi fallimenti politici sono in parte dovuti anche alle (non) decisioni prese da Barack Obama. Ma il problema è quello che non ha fatto. In quattro anni di mandato non c’è un accordo, un trattato, un segno significativo del suo passaggio. Clinton è stato un segretario cauto, mediocre. Si è comportata come un alto diplomatico più che come un politico di razza. I suoi sostenitori dicono che Clinton abbia lavorato con il poco spazio concesso da un timoroso Obama, ricostruendo la credibilità degli Usa dopo le guerre in Afghanistan e in Iraq. I detrattori sostengono che non abbia fatto nulla di controverso per non rovinarsi la campagna elettorale per le presidenziali. Il dato rimane: nei dossier dove si è impegnata di più (Libia e conflitto israelo palestinese) non ha ottenuto nulla. Non è mica da questi particolari che si giudica un segretario di Stato. Ma il coraggio e la fantasia politica per risolvere i problemi sul tavolo neanche l’ombra. Per dire, il suo successore John Kerry, anche lui esperto di fallimenti elettorali (nel 2004 perse contro George W. Bush), ha chiuso il trattato nucleare con l’Iran (il patto dei 5+1) e l’accordo sul clima di Parigi. Clinton, invece, dove ha mostrato più polso ha creato danni politici che scontiamo ancora oggi. Uno su tutti il fallimento completo sulla Libia. Ha appoggiato l’attacco della Nato nel 2011 su iniziativa francese che ha portato alla morte di Gheddafi e la guerra civile che continua ancora oggi. Basterebbe questo a stroncare la carriera di chiunque. Senza contare tutto lo scandalo legato alle migliaia di mail mandate e ricevute nell’indirizzo email privato di Clinton invece che da quello isituzionale che usano tutti i segretari di Stato.
Anche da senatrice per lo stato di New York dal 2001 al 2009 non è passata alla storia come grande politica. In otto anni non c’è una sola legge che porti il suo nome. Nel 2002 ha votato per permettere allora presidente George W. Bush di dichiarare guerra all’Iraq di Saddam Hussein. Un voto controverso usato dallo stesso Obama durante le primarie democratiche del 2008 per screditarla. E non è l’unico voto o dichiarazione ambigua di Clinton. Per esempio nel corso degli anni ha cambiato molte volte posizione sui matrimoni gay. Da sempre a favore delle unioni civili, non ha sempre avuto la stessa opinione sui same sex marriage. Come racconta il sito Politifact, nel gennaio 2000 Hillary Clinton prima ha detto che la vera unione è quella tra uomo e donna, poi nel 2006 ha promesso alla comunità gay di appoggiare una legge per approvare il matrimonio omosessuale nello stato di New York. L’anno dopo ha dichiarato di opporsi ai matrimoni gay pur sostenendo le unioni civili. Nel 2013, quando annunciò la sua candidatura disse di essere a favore delle unioni omosessuali. Sì, anche a noi è venuto il mal di testa. È vero che solo gli stupidi non cambiano mai idea, ma così velocemente più di un attitudine al dubbio sembra arrivismo politico.
Il programma comico statunitense Saturday Night live ha sempre preso in giro la sua voglia di compiacere l’elettorato con discorsi calibrati dagli spin doctor a seconda delle comunità a cui si rivolgeva. Anche per questo gli americani non si fidano di lei. Hillary ha il complesso di dover piacere a tutti. Ospite di Breakfast Club programma radiofonico newyorkese cult della comunità afroamericana, alla domanda «Qual è l’oggetto che tieni sempre nella tua borsa?», ha risposto «Hot sauce», salsa piccante. Ora, lasciamo perdere i gusti culinari degli americani. Clinton ha scelto uno degli alimenti simbolo dello stereotipo afroamericano per compiacere gli ascoltatori. Più o meno come se Renzi in campagna elettorale a Trento dicesse di portare sempre con sé dei canederli nel suo zaino. E quando uno dei conduttori ha fatto notare il goffo tentativo di ingraziarsi la comunità nera, Clinton ha risposto «Ok, sta funzionando?». Il vero politico è quello che si adatta al suo uditorio, ma qui siamo alla macchietta culturale. Normale che la comunità nera non si fidasse di lei. Clinton nel 1996 aveva definito i giovani afroamericani finiti nelle gang criminali dei «superpredatori» senza coscienza o empatia da «bring to the heels» una versione più cruda del nostro portare finalmente all’ordine». Bloomberg ha notato anche il marcato cambio d’accento di Clinton nel corso degli anni. Passato dall’accento del sud est quando il marito era governatore dell’Arkansas fino a quello newyorkese.
Insomma Hillary Clinton compie 70 anni e non c’è nulla da festeggiare. Ci chiediamo perché nessuno creda più ai giornali, perché la gente voti i populisti, perché un personaggio come Donald Trump sia diventato presidente degli Stati Uniti d’America. La risposta, se c’è, non si trova nel libro di memorie What happened, né nella retorica pro Hillary di questi anni. Tanti auguri a noi che dobbiamo vivere con le conseguenze del suo fallimento politico.