C’è un limite al tasso di ipocrisia che possono sopportare gli spiriti liberi e i difensori veri della democrazia liberale. Questo limite è stato abbondantemente superato in queste ore sulla vicenda della conferma di Ignazio Visco al vertice della Banca d’Italia, in particolare dopo la maldestra mozione parlamentare che il PD ha proposto (e votato) alla Camera dei Deputati.
Nello specifico non sono vere tre affermazioni che abbiamo sentito ripetere da più parti, spesso con tromboneggiante retorica: 1) non è vero che i partiti sono estranei alla scelta del governatore, anche se la legge ne pone la nomina sull’asse Palazzo Chigi – Quirinale. I partiti hanno avuto un ruolo decisivo nell’intera storia della Repubblica (e anche prima), basti ricordare il braccio di ferro (con alternanti fortune) tra finanza cattolica e finanza laica, con la DC da una parte e gli altri dall’altra. Si pensi a Guido Carli, tanto per fare un esempio. Governatore della Banca d’Italia (per 15 anni, non so se mi spiego) ma poi anche Presidente di Confindustria, senatore eletto con la Dc e ministro del Tesoro.
Qualcuno può pensare che fosse opera del caso? 2) Non è vero che dalla nostra parti è andato tutto bene sul fronte bancario. Negli ultimi due decenni sono state commesse nefandezze a raffica, che poi sono finite sistematicamente nelle tasche degli italiani, che hanno pagato scelte dissennate di manager indegni del ruolo di gestori di un negozio di lumini cimiteriali, figuriamoci se capaci di guidare delle banche. Ma poiché servivano servi sciocchi, a questi si è fatto ricorso, con buona pace di una vigilanza (che spetta alla Banca d’Italia per legge) che che spesso è parsa distratta e comunque sempre costretta ad inseguire la realtà.
3) Non è vero quello che dice Renzi, quando afferma di essere estraneo alla mozione voluta dal suo gruppo parlamentare, anche perché se così fosse sarebbe la prova documentale che il segretario del PD non controlla il PD. Molte altre sarebbero le anomalie, ma ora occorre giungere al punto centrale di questa storia. L’iniziativa parlamentare del PD è certamente irrituale e per molti versi impropria sotto il profilo formale, che in democrazia però è anche sostanza. Sembra mescolare in modo arruffato impotenza e arroganza, in un mix che produce un cocktail dal sapore irricevibile. Al tempo stesso però ha il pregio di squarciare il velo dell’ipocrisia, come se il “rottamatore” del 2013 avesse per un momento ritrovato la sua forma migliore.
Da questo punto di vista dobbiamo essere grati a Renzi, perché obbliga tutto il sistema a fare i conti con la realtà, mettendo nero su bianco la volontà del leader del primo partito italiano anziché consegnarla alle segrete conversazioni nelle segrete stanze. Sappia però il giovane segretario del PD che a questo punto gli conviene andare fino in fondo. La nomina di Visco contro il suo parere non sarà uno strumento buono della sua campagna elettorale (della serie “io l’avevo detto”), ma sarà la prova della sua inadeguatezza sul fronte delle partite vere, quelle in cui si misura il peso politico, che è ben altra cos’è di un selfie.