Le elezioni svoltesi in Repubblica Ceca lo scorso weekend sono particolarmente difficili da leggere dall’estero perché chi sia il populista non è per nulla ovvio. E nemmeno chi sia di destra o di sinistra. L’economia ceca va a gonfie vele. Viaggia sospinta dal vento del suo vicino: l’economia più forte d’Europa, la locomotiva tedesca.
Il settore industriale non è stato smantellato: anzi, ha beneficiato dell’offshoring dalla stessa Germania, grazie all’alta produttività degli operai specializzati cechi e al loro costo contenuto rispetto al vicino occidentale. In Repubblica Ceca si assemblano molte auto di marche europee, anche tedesche e francesi, oltre alla Skoda, nota marca nazionale adesso in mano al gruppo Volkswagen. C’è anche molta industria pesante e qui hanno sede diversi Headquarters per l’Europa Orientale di gruppi internazionali, anche se Praga è più ad ovest di Vienna e le terre ceche fanno parte della Mitteleuropa più che dell’Est. Il lavoro non manca: è il Paese europeo con la disoccupazione più bassa al 3.3%: praticamente c’è piena occupazione. Lo Stato nel 2016 ha avuto un surplus di 61.7 miliardi di corone, circa 2 miliardi di euro, il risultato migliore di sempre. Risultato ottenuto a cambi fissi contro euro. Da allora la Banca Centrale, preoccupata soprattutto dalla salita dei prezzi degli immobili, sta cercando di far salire la valuta per evitare surriscaldamento ed inflazione.
Il ministro delle finanze a fine 2016 era Andrej Babiš, allora al governo con i socialdemocratici e i moderati cristiano democratici. Già questo basta per far capire che chi lo dipinge come un populista stile Trump probabilmente sbaglia almeno in parte: Babiš ha già provato di essere un buon ministro e lo ha fatto con i più tradizionali degli alleati. Inoltre non è nemmeno detto che sia di destra: si è battuto per la semplificazione della burocrazia e per la diminuzione del peso della Stato sulle imprese, certamente anche per convenienza personale dato che è a capo di un gruppo da 4 miliardi di dollari centrato sul settore agricolo, ma a beneficio dei produttori di ricchezza e quindi del bene comune.
Il capo del partito Ano (che significa sì in ceco) è però stato indagato per aver distratto fondi UE a favore delle sue aziende: in un Paese con una stampa genuinamente libera e in un annodi elezioni gli alleati per questo lo hanno costretto alle dimissioni. E lui ha corso da solo, sbaragliandoli tutti. E lo ha fatto giocando la carta del populista e quella del politico istituzionale allo stesso tempo: ha detto alla gente quello che si voleva sentir dire, senza sottilizzare se gli argomenti fossero di destra o di sinistra, ma ha anche utilizzato il suo buon operato da ministro.
L’argomento populista e xenofobo, invece, l’ha utilizzato Tomio Okamura, leader di un partito dalla piattaforma anti immigrati che ha conseguito il 10% dei voti. La contraddizione in termini del partito xenofobo con leader di padre straniero (giapponese) non è sfuggita agli intellettuali praghesi, che nei loro caffè lo hanno soprannominato Pitomio (pitomej in ceco significa scemocco). Eppure il 10% dei cechi l’ha ritenuto più credibile dei partiti tradizionali.
Molti di coloro che vivono lontani da Praga si chiedono come sia possibile che argomenti populisti attecchiscano con una situazione economica così rosea. Da una parte ci sono comunque strati della popolazione che rimangono indietro anche in presenza di un boom economico; dall’altra ci sono i numerosi episodi di corruzione, sospetta o provata, che hanno visto protagonisti politici dei partiti tradizionali: sia socialdemocratici che di destra moderata (l’ODS).
Molti di coloro che vivono lontani da Praga si chiedono come sia possibile che argomenti populisti attecchiscano con una situazione economica così rosea. Ci sono essenzialmente due ordini di motivi per cui questo avviene: da una parte ci sono comunque strati della popolazione che rimangono indietro anche in presenza di un boom economico; dall’altra ci sono i numerosi episodi di corruzione, sospetta o provata, che hanno visto protagonisti politici dei partiti tradizionali: sia socialdemocratici che di destra moderata (l’ODS).
Per comprendere chi rimane indietro e cosa motivi la sua rabbia pensate all’Italia e rovesciatela: l’Italia è un Paese in cui la generazioni precedenti agli attuali quarantenni hanno depredato il Paese e creato un sistema di regole che obbliga almeno le due generazioni successive a pagare per le promesse che essi hanno fatto a sé stessi. In Repubblica Ceca, per motivi diversi, avviene esattamente il contrario: i ‘vecchi’, trovatisi a metà del guado tra sistema comunista e democrazia liberale, hanno versato contributi per tutta la vita e si trovano con pensioni non in grado di dar loro la necessaria indipendenza economica. Chiariamo che per lo più si tratta di gente onesta e che ha sempre lavorato senza risparmiarsi: hanno solo avuto la sfortuna di trovarsi in mezzo ad un fenomeno storico epocale. Certamente questa situazione è più conduttiva alla crescita economica di quella italiana, come è ovvio anche dai numeri, ma resta comunque una parte scontenta. Aggiungiamo che nel Paese ci sono strati di popolazione che, a torto o a ragione, sono considerati parassitari, particolarmente l’etnia Rom, che ha un altissimo tasso di dipendenza dallo Stato. A questo si aggiunge la richiesta europea di accettare migranti anche prima chi sia stabilito se questi siano rifugiati. Questo strato di popolazione si sente tradito e non accetta che parte della proprio tasse venga utilizzato, invece che per garantire loro un’esistenza dignitosa, per pagare chi non vuol lavorare o peggio gente che viene da fuori e che non ha mai contribuito al sistema.
Il primo errore della politica tradizionale è stato proprio non ascoltare questo tipo di istanze, che viste dal punto di vista della vecchia generazione sono perfettamente logiche. Anche alcuni strati della popolazione giovane non se la passano benissimo: gli stipendi nella pubblica amministrazione sono molto bassi anche per figure specializzate, con un salario da insegnante più basso del 50% di quello di un magazziniere della nuova sede che Amazon sta costruendo vicino a Praga. Si può dar torto agli insegnanti che si sentono presi in giro? Ovviamente è difficile trovare un insegnante di scienze o matematica a meno che non lo si paghi ben più del salario ufficiale, ma questo le scuole pubbliche non lo possono fare.
Poi c’è la corruzione: molti politici dei partiti tradizionali di destra e di sinistra, raggiunta la pensione, hanno comprato casa all’Argentario e vengono in Toscana alla guida delle loro Ferrari targate Praga. In Repubblica Ceca la stampa non ha nessun timore reverenziale verso la politica e questo viene riportato sui giornali; e la rabbia monta. In questo contesto si spiega come i partiti tradizionali siano stati completamente falcidiati.
Adesso resta l’interrogativo più importante: da che parte penderà la Repubblica Ceca? Una parte della classe politica, capeggiata dal presidente Zeman, è vicina a Pechino più che a Mosca. Babiš sembra non pendere da quella parte, dato che è a favore dell’Unione Europea, ma chissà adesso cosa farà. Resta il fatto che la vasta maggioranza dei cechi non vede di buon occhio Mosca, per ovvi trascorsi storici, e nemmeno Berlino, per lo stesso motivo, ma sembra riluttante ad allontanarsi da Bruxelles in un momento in cui la Russia si sta armando ed effettua una politica estera sempre più assertiva.
Le elezioni presidenziali sono vicine. In Repubblica Ceca il Presidente viene eletto direttamente dal popolo. Anche se la funzione è soprattutto di rappresentanza, il mandato popolare comunque conferisce un certo peso all’inquilino del Castello di Praga. Le alleanze che Babiš sceglierà avranno un occhio anche al castello: se il miliardario scegliesse di appoggiare una seconda candidatura di Zeman aumenterebbe l’influenza della Cina in Europa, per lo più in un Paese ricco di risorse minerarie, compreso il litio che serve ad alimentare telefoni e auto elettriche.