Cinque stelle, tanti voti ma nessuna rivoluzione

I grillini hanno scardinato la politica italiana, in pochi anni sono diventati i protagonisti della scena. Ma c’è il rischio di una rivoluzione a metà. Per ora non riescono a intaccare l’astensionismo. E la scelta di non avere alleati mette in seri dubbi le reali possibilità di andare al governo

Giù il cappello, i Cinque Stelle sono un fenomeno politico di assoluto rispetto. In pochi anni i grillini sono riusciti a scardinare il sistema, calamitando gli elettori e accreditandosi come il primo movimento italiano. Si può essere a favore o contro, ma questa è la realtà. Eppure il sogno pentastellato rischia di rimanere tale. Dopo aver conquistato la scena, il M5S potrebbe non raggiungere mai l’unico obiettivo che darebbe un vero significato a questa storia: il governo del Paese. Le ultime elezioni in Sicilia offrono lo spunto per evidenziare i tanti limiti del progetto. I Cinque stelle sono una realtà antisistema incapace di motivare i delusi della politica, che continuano a ingrossare le fila dell’astensionismo. Costretta a conquistare i voti degli altri partiti, ma impreparata a mobilitare chi ha perso ogni speranza. Sono un fenomeno che nonostante le attese di molti non si è ancora sgonfiato, anzi. Ma forse è vicino al limite massimo del consenso cui può aspirare. Soprattutto, sono un movimento che rischia di immolare ogni ambizione sull’altare dei propri principi. Non sarà sfuggito nemmeno alla Casaleggio associati che la nuova legge elettorale premia le coalizioni e tende a marginalizzare chi non può, o non vuole, stringere alleanze in Parlamento.

Un partito di lotta, ma non di governo. E intendiamoci, non è detto che per i Cinque Stelle sia per forza un male. Negli ultimi anni molti commentatori hanno insinuato malevoli il dubbio: vuoi vedere che alla fine a Grillo e soci conviene rimanere all’opposizione? Ritagliarsi uno spazio da protagonisti, urlare, stare sulle barricate, ma senza mai prendersi la responsabilità di governo…. Cattiverie, forse. Del resto è anche sbagliato lanciarsi in anatemi difficilmente dimostrabili. Chi può dire che i Cinque Stelle non vinceranno mai? A Roma e Torino, per dire, hanno già vinto. Certo, le condizioni di partenza erano parecchio favorevoli. Probabilmente uniche. Nella Capitale i pentastellati correvano praticamente da soli. La destra divisa in più candidati e reduce da una pessima esperienza amministrativa. Il centrosinistra appena uscito da una situazione paradossale, con il sindaco Ignazio Marino sfiduciato dal suo stesso partito. E su tutta la classe politica locale il fango dell’inchiesta su Mafia Capitale. Eppure adesso proprio le difficoltà incontrate in Campidoglio rischiano di zavorrare le aspirazioni governative dei grillini. Basta vedere quello che è successo domenica ad Ostia, dove una parte degli elettori che avevano votato per Virginia Raggi ha voltato le spalle ai Cinque Stelle.

I Cinque Stelle sembrano incapaci di intaccare l’astensionismo. Per un partito che vuole rappresentare una radicale alternativa al modello esistente non è un problema da poco. Si sono presentati al Paese come la principale realtà anti sistema, la scelta obbligata per chiunque fosse stanco dei vecchi partiti. Ma chi si era rifugiato nell’astensionismo oggi continua a non votare. La prima scelta di chi diffida della politica resta il disinteresse

Intendiamoci, i risultati elettorali dei Cinque stelle sono clamorosi. Nel giro di pochi anni i grillini sono cresciuti fino a diventare, lo dicono i sondaggi, il primo movimento del Paese. È un’esperienza che sarà studiata nei libri di storia. Molti si attendevano un rapido declino e invece anche al termine della prima legislatura in Parlamento le percentuali continuano a crescere. Alle regionali siciliane i pentastellati hanno sfiorato il 27 per cento dei consensi, conquistando 20 seggi. Il candidato Giancarlo Cancelleri è arrivato addirittura al 34,7 per cento. Riuscendo ad attirare, con ogni probabilità, anche una parte degli elettori che avevano scelto una lista di centrosinistra (ma attenzione, alle Politiche il voto disgiunto non sarà previsto). In Sicilia i grillini hanno preso duecentomila voti più di Forza Italia, che si attesta al 16,4 per cento. E almeno 250mila preferenze più del Pd, che ottenendo il 13 per cento è stato clamorosamente doppiato. Eppure, dati alla mano, la loro è una vittoria di Pirro. A prevalere è stata la coalizione berlusconiana, il governatore dell’isola sarà Nello Musumeci. È il destino che ritorna. Nonostante la crescita, c’è sempre qualcuno più avanti: ieri il centrosinistra, ora il centrodestra. E la preoccupazione, già sottolineata da qualche analista, è che ormai i Cinque stelle abbiano quasi raggiunto il livello massimo dei consensi.

Giù il cappello, i Cinque Stelle sono un fenomeno politico di assoluto rispetto. In pochi anni i grillini sono riusciti a scardinare il sistema, calamitando gli elettori e accreditandosi come il primo movimento italiano. Eppure il sogno pentastellato rischia di rimanere tale

Intanto emerge un secondo limite: l’incapacità di intaccare l’astensionismo. Per un partito che vuole rappresentare una radicale alternativa al modello esistente non è un problema da poco. I Cinque stelle si sono presentati al Paese come la principale realtà anti sistema, la scelta obbligata per chiunque fosse stanco dei vecchi partiti. Ma chi si era rifugiato nell’astensionismo oggi continua a non votare. In Sicilia domenica scorsa l’affluenza alle urne si è attestata al 47 per cento. Ormai si presenta alle urne meno di un elettore su due. La spiegazione? I delusi non sono stati convinti, la prima scelta di chi diffida della politica resta il disinteresse. Il fallimento e il limite del progetto M5s, in un certo senso, è tutto qua. Molto diversa dalla realtà nazionale, la contesa siciliana offre altri spunti di riflessione. Ad esempio le Regionali hanno dimostrato che neppure una campagna elettorale martellante può spostare gli equilibri in campo. Per settimane i principali leader del movimento hanno battuto l’isola. Insieme a Cancelleri si sono spesi in prima persona Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio, volti noti e riconosciuti. Alla fine è arrivato anche Beppe Grillo. Il motivo è evidente: la Sicilia era la grande scommessa dei pentastellati. Una vittoria alle Regionali, parole loro, avrebbe fatto da traino alla scalata di Palazzo Chigi. E invece niente da fare, il risultato ha premiato gli avversari. A questo punto è facile immaginare che neppure un nuovo Tsunami tour – il lungo viaggio nelle piazze italiane che accompagnò il successo del 2013 – potrà orientare l’esito delle Politiche.

E poi c’è l’ultimo dato. Il più evidente. La legge elettorale da poco approvata in Parlamento danneggia soprattutto i Cinque Stelle. Il Rosatellum spinge alle coalizioni. Difficile, se non impossibile, vincere senza alleati. Per i grillini che hanno sempre negato ogni trattativa con gli altri partiti è una questione centrale. L’assetto tripolare della politica italiana difficilmente permetterà a qualcuno di prevalere, accordi e intese si faranno dopo il voto. Ecco perché, almeno nelle intenzioni della vigilia, i Cinque stelle sembrano fuori dai giochi. «Precludendosi accordi – scriveva l’altro giorno Sabino Cassese sul Corriere – si autoescludono. La “conventio ad excludendum” rivolta una volta al Partito comunista, diventa ora autoemarginazione». Nulla di irrimediabile in realtà. Una sintonia post elettorale con la Lega di Matteo Salvini potrebbe cambiare drasticamente lo scenario. Magari anche solo una trattativa con il Carroccio su singoli aspetti del programma. Eppure, almeno per ora, i Cinque stelle giurano di non voler dialogare con nessuno…

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