**Questa rassegna segue un prima raccolta di editoriali europei sulla crisi catalana.
“Difenderemo i nostri diritti fino alla fine perchè stiamo mettendo in gioco molto più che i nostri destini personali”, ovvero, “la democrazia stessa”. Così il neo-deposto Presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, ha chiuso l’accorata lettera pubblicata su quotidiano britannico, The Guardian, il 6 novembre scorso.
Una settimana prima, il 31 ottobre, Puigdemont si era recato a Bruxelles, accompagnato da quattro ministri regionali, con un duplice scopo: sollecitare un intervento dell’Ue nella crisi con Madrid e scongiurare la (apparente) nascita di conflitti intestini alla regione catalana. Due giorni dopo, le autorità giudiziarie nazionali hanno però emesso un mandato di arresto per i cinque politici. Dopo essersi consegnati alla polizia nazionale, i politici catalani sono stati rilasciati. Allo stato attuale, sono in attesa di apparire davanti a un tribunale il 17 novembre prossimo.
Puigdemont reclama la difesa concreta degli ideali democratici comunitari da parte di Bruxelles. Il Presidente catalano ha inoltre denunciato il modus operandi “antidemocratico” del governo di Mariano Rajoy. Le testimonianze? Da un lato, il comportamento violento della forze dell’ordine nazionali il giorno del referendum illegittimo del 1 ottobre; dall’altro, il rifiuto di Madrid a dialogare con Barcellona. Un atteggiamento, quest’ultimo, che avrebbe causato il “licenziamento in blocco” del governo catalano.
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Di fronte alle accuse di sedizione e ribellione che vengono sollevate dagli organi istituzionali nella Capitale spagnola, Puigdemont sostiene che l’intero processo di indipendenza si sia svolto nella legalità e nel rispetto della “volontà popolare” catalana. Del resto il governo indipendentista di Puigdemont, eletto nel 2015, non ha mai fatto mistero dei propri obiettivi. Anche per questo, il Presidente ha commentato così le accuse di Madrid: “E’ una strana [accusa di] cospirazione, quella che riceve il voto popolare”.
Un dibattito europeo
Le dichiarazioni di Puigdemont non hanno impedito a molte testate europee di criticare il Presidente catalano per aver abbandonato la nave che affondava.
George Kassimeris, sulle pagine del The Guardian, ha commentato che Puigdemont ha perso l’occasione di ergersi a difensore ultimo della Catalogna. Con il suo comportamento, il leader catalano, avrebbe invece vanificato la lotta politica sostenuta fino a ora: “La leadership politica si sostanzia anche in forza di carattere e nella capacità di dare l’esempio”. “Fuggendo” a Bruxelles, Puigdmeont ha scartato, di fatto, la possibilità di diventare una sorta di “martire politico” di fronte al rischio di detenzione.
Il quotidiano belga, De Morgen, ha sottolineato come, a causa della mossa di Puigdemont, l’epicentro del conflitto politico catalano si sia spostato a Bruxelles.
Intanto, l’opinione pubblica europea si divide in merito all’atteggiamento ideale che le istituzioni comunitarie dovrebbero tenere nella crisi spagnola.
Su Politico, Richard Youngs afferma che Madrid è venuta meno a un confronto democratico. Allo stesso tempo, una mediazione europea debole intaccherebbe la fiducia dei catalani nell’Unione, scrive Youngs. Eppure, sulla stessa testata, Fabrice Pothier controbatte che l’efficacia dell’Ue è data dalla capacità di trovare costantemente un equilibrio tra il rispetto delle sovranità nazionali e la condivisione di questa ultima a livello comunitario. “L’Europa non può esistere senza stati nazionali forti e democratici”, sentenzia Pothier. In questo senso, dare troppa corda alle richieste catalane porterebbe a un precedente pericoloso.
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Simon Jenkins, editorialista del The Guardian, ribalta totalmente la questione. Jenkins sostiene che “la marea montante delle [rivendicazioni] identitarie [nazionaliste] è il più grande ostacolo allo sviluppo europeo”. Conseguentemente, “la Catalogna non rappresenta un semplice imprevisto, bensì un terribile avvertimento”. Il principio di autodeterminazione dei popoli è uno dei fondamenti del diritto internazionale, ricorda Jenkins. L’Europa dovrebbe intervenire nella questione catalana sulla base di questi elementi e del comportamento “antidemocratico” di Madrid. L’editorialista britannico sottolinea che la crisi catalana rappresenta ormai una questione europea. Per rendersene conto basterebbe prendere atto dell’interesse mostrato da parte di altre regioni europee alla crisis costituzionale iberica. Jenkins invoca infine un intervento da parte dell’Ue che permetta di garantire l’identità politica e il futuro dell’Unione stessa.
Su Social Europe, Fernando Betancor annuncia il “fallimento del progetto di costruzione un’identità europea”. Barcellona attende invano un sostegno da Bruxelles: l’Unione non è mai stata altro se non un club di Stati membri nazionali. Eppure, secondo Betancor, il riconoscimento ufficiale di uno Stato catalano, non danneggerebbe l’Ue, che, anzi, riuscirebbe a rimanere fedele ai propri principi. D’altronde, è un dato di fatto che Bruxelles dialoghi soltanto con il Governo spagnolo. Con una certa amarezza l’autore afferma che, in Europa, quando la situazione si fa critica, i tedeschi rimangono pur sempre tedeschi, al pari degli spagnoli e delle altre nazionalità: non c’è spazio quindi per i catalani in un’“Europa unita nella diversità”. Betancor conclude la sua riflessione con un monito: se l’Ue non è in grado di fare i conti (in maniera democratica) con le aspirazioni dei propri cittadini, questi ultimi non si sentiranno mai veramente “europei”.