Crisi d’identità e calo di ascolti, ecco come sta affondando la Rai

Scelte poco avvedute e programmi riciclati da Mediaset: la Rai è definitivamente entrata in una crisi che non riguarda solo lo share

Cronache di una serata televisiva, quella della domenica appena trascorsa (di cui ragioniamo oggi anche perché i dati di ascolto sono arrivati ieri dopo le 17.00 anziché alle 10.00 come d’abitudine. E ci fermiamo qui, perché avere sempre in mente i complotti fa male alla salute).

Dunque domenica, dicevamo. Ecco cosa propone il menù della prima serata televisiva.

Va in onda una fiction di grande successo e di robusto impegno (Rosy Abate, spin-off dell’amatissima serie Squadra Antimafia) che vince la gara degli ascolti (più del 20% di share) e del gradimento. Sulla carta uno splendido prodotto per la Rai: però a trasmetterla è stato Canale 5.

Va in onda un aggressivo e provocatorio programma d’inchiesta non privo di momenti più leggeri di puro intrattenimento come Le Iene: ottimi risultati di ascolto (oltre l’11 %) per un “contenitore” che avrebbe fatto la sua degnissima figura su una rete di servizio pubblico. Peccato che l’ha creato, sostenuto e messo in video sin dalla prima puntata Italia 1, quindi Mediaset.

Va in onda un nuovo talk serale con uno dei volti storici della Rai, che da anni accompagna i pomeriggi domenicali degli italiani sulla rete ammiraglia di viale Mazzini. È quel Massimo Giletti che porta casa un lusinghiero 8,9 di share, che vale oro per il solo fatto di arrivarci nel palinsesto de La7. Già La7, mica la Rai.

Nel frattempo Fabio Fazio su Rai Uno fa un 14% con un programma certo non brutto né stupido, ma sicuramente poco in linea con il vero pubblico di quella rete (e vedremo se Giletti finirà per avvicinarsi ancor di più negli ascolti, personalmente accetto scommesse). Insomma una débâcle televisiva di rare proporzioni, basti pensare che la somma degli ascolti di Rai 1 e Rai 3 non arriva ai numeri di Canale 5.

La Rai sta messa così, in una crisi che è d’identità prima ancora che di ascolti. Per carità, ne ha vissute tante e supererà anche questa. Però non è con un’alzata di spalle che si può ragionare di questa situazione, anche perché la Rai è di tutti.

La situazione a me pare figlia di un vizio tutto italiano e tutto incastrato nelle contraddizioni della nostra classe dirigente attuale, dove domina un centro sinistra (diciamo un PD) alla ricerca di sé stesso, sballottato dalla critiche e dai magri riscontri elettorali.

La Rai sta messa così, in una crisi che è d’identità prima ancora che di ascolti. Per carità, ne ha vissute tante e supererà anche questa. Però non è con un’alzata di spalle che si può ragionare di questa situazione, anche perché la Rai è di tutti.

Il vizio è quello di prendere persone in gamba e sistematicamente metterle al posto sbagliato, quasi come per raptus o per capriccio.

Cos’è se non questo, solo a titolo di esempio, la scelta di togliere Moretti (anno 2014) da Trenitalia (di cui sa tutto) per metterlo a capo di Leonardo-Finmeccanica?

Lo stesso dicasi per la scelta di Antonio Campo Dall’Orto, uomo intelligente e curioso, creativo e d’esperienza, ma totalmente non adeguato per un posto di comando rognoso e faticoso come quello di direttore generale della Rai. Oggi i frutti di quella scelta sbagliata si vedono tutti e sono proprio figli di questa stagione: quella delle persone giuste al posto sbagliato. Adesso al vertice della Rai c’è Mario Orfeo, giornalista eccellente e direttore tra i migliori della sua generazione, tanto è vero che ha fatto bene in tutti i posti dove ha lavorato. È lì da pochi mesi e avrà tempo di dimostrare quello che vale.

Però la vicenda Giletti certo non è un successo d’immagine e, ormai, sta diventando anche un regalo di ascolti alla concorrenza. Lo stesso dicasi per la gestione della posizione di Milena Gabanelli, professionista scomoda ma di cui il servizio pubblico non ha motivo di fare a meno.

In cambio c’è un Fabio Fazio su Rai 1.

Scelta che, a mio modesto avviso, i più avveduti direttori generali del passato non avrebbero fatto, poiché finisce per indebolire Rai 3 senza rafforzare l’ammiraglia. Qualcuno dovrà metterci la testa a viale Mazzini.

Il tempo passa, i telespettatori usano il telecomando e gli investitori compulsano nervosamente i dati di ascolto.

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