1088 miliardi di euro di risparmi che dormono nei conti correnti. Una cifra impressionante – sono dati Bankitalia del 2015 – pari a più della metà del prodotto interno lordo italiano: “È l’effetto della crisi (…) un Paese che si arrocca e si blocca (…) la spiegazione della stagnazione infinita dalla quale non siamo ancora usciti”, scrive Stefano Cingolani su Il Foglio. E non ha torto, se si guarda a cosa ne fanno, gli italiani, di quei risparmi, che nel complesso – vale la pena ricordarlo – valgono circa 4000 miliardi, più o meno due volte e mezzo il Pil. Dice Consob, infatti, che dal 2007 al 2015 è scesa sia la ricchezza detenuta in azioni, sia quella legata a Bot e Btp. Su, invece, depositi bancari e postali che rappresentano ormai circa un terzo della ricchezza mobiliare italiana, in rapida ascesa rispetto a dieci anni fa.
Effetto materasso, lo chiamano gli esperti, ed è una definizione piuttosto calzante. Perché a quanto pare il problema oggi è dove mettere i soldi, anziché a tenerli a prendere la polvere nei caveau – si fa per dire, non esistono più i caveau – delle banche. E se c’è una certezza in questo caos è che tenere gran parte dei nostri soldi in luoghi apparentemente sicuri (come il conto corrente o depositi bancari) non può che nuocere alla nostra ricchezza finanziaria.
Effetto materasso, lo chiamano gli esperti, ed è una definizione piuttosto calzante. E se c’è una certezza in questo caos è che tenere gran parte dei nostri soldi in luoghi apparentemente sicuri (come il conto corrente o depositi bancari) non può che nuocere alla nostra ricchezza finanziaria
Tanto tempo fa c’erano i buoni postali, ad esempio. È una storia antica, questa, nata ai tempi di Quintino Sella, nel 1875 e che negli anni ruggenti del boom aveva raggiunto rendimenti da urlo. Oggi i rendimenti dei buoni fruttiferi postali si possono vedere soltanto con l’ausilio di un microscopio. Stessa sorte per i titoli di Stato, schiacciati dalla crisi del 2011 e dal Quantitative Easing. Dimenticate l’esercito dei Bot People, insomma: i Btp nelle mani delle famiglie rappresentano infatti solo il 3% dei risparmi. Ancora meno appetibili – per le note vicende toscane e venete – sono i bond degli istituti di credito: non è un caso che tra il 2012 e il 2016 le obbligazioni bancarie detenute dalle famiglie italiane si siano ridotte di ben 212 miliardi.
Del mattone, caro vecchio bene rifugio, meglio non parlarne: secondo una ricerca dell’Ufficio Studi di Tecnocasa – non certo una realtà che ha interesse a promuoverne il crollo – tra il 2008 e il 2016 il valore degli immobili è sceso del 37%. E se siete tra quelli che pensano di averla vista più lunga degli altri, investendo in diamanti – 2 miliardi negli ultimi quindici anni, 800 milioni dei quali solo negli ultimi due – sappiate che dopo anni di crescita dei prezzi senza alcun rapporto coi valori di mercato, la bolla è esplosa e oggi si trovano in mano pietre meravigliose, ma che valgono la metà.
Cosa rimane, allora? Il variegatissimo mondo dei prodotti gestiti – che ha raggiunto il 34,5% del totale, superando in volata le attività liquide. Questo risultato è anche frutto delle innovazioni introdotte nel settore finanziario – il cosiddetto FinTech – che usano le nuove tecnologie per semplificare, o addirittura rendere ludico, il processo di risparmio e investimento. App come Gimme5 di AcomeA SGR, ad esempio, che permettono di scegliere se e quanto risparmiare in totale libertà e senza vincoli, facendo dei semplici clic sull’app. A fine mese Gimme5 calcolerà la somma accantonata, che potrà essere investita in uno dei fondi consigliati e gestiti da AcomeA. Sarà il futuro a far ripartire il risparmio italiano?