Molti sostengono che se i cittadini riponessero maggiore fiducia nelle Istituzioni e in generale nelle categorie considerate soggetti intermediari, la disinformazione etichettata con il ben noto anglicismo fake news sarebbe un fenomeno assai meno minaccioso. La nuova sfida pare dunque essere quella di riuscire a ritrovare la predisposizione al dialogo e all’ascolto e il graduale abbandono di quell’approccio aprioristico e prevenuto che caratterizza ogni tema oggetto di dibattito pubblico. In breve, è necessario trovare un antidoto alla sfiducia.
Nemmeno la politica ne è immune. Prima di ipotizzare soluzioni bisogna capire la situazione. Qual è dunque il rapporto tra cittadini e cosa pubblica? Si tratta di indifferenza, diffidenza, insoddisfazione o altro ancora?
Qualche indicazione può arrivare dal tasso di partecipazione. Su Il Foglio dello scorso 14 novembre Sabino Cassese ha operato una distinzione tra partecipazione passiva, come quella che si manifesta con l’associazionismo, e attiva, che comprende l’esercizio del diritto di voto. La prima è alta, la seconda relativamente bassa. Cassese ha infatti affermato: “la non partecipazione prima del diritto di voto, la crisi dei partiti, il ritrarsi nell’individualismo, il malessere dell’associazionismo politico. Qui sta il vero tallone d’Achille delle moderne democrazie”. A sua volta poi, la tanto paventata crisi delle democrazie occidentali trae la sua ragion d’essere nella fragilità di quelle rappresentative, riconducibile a sua volta a vari fattori. Molte materie sono disciplinate da strutture non elettive di carattere peraltro non nazionale. Ancora, i sistemi politici producono governi di coalizione dove le singole istanze perdono di consistenza e in cui per l’elettorato non è affatto facile individuare le differenze tra i partiti che ne fanno parte e dove gli accordi sul programma sembrano compromessi al ribasso per le proprie richieste.
«La non partecipazione prima del diritto di voto, la crisi dei partiti, il ritrarsi nell’individualismo, il malessere dell’associazionismo politico. Qui sta il vero tallone d’Achille delle moderne democrazie».
La democrazia rappresentativa resta ancora il sistema migliore secondo i più. Almeno questo è quanto emerge da uno studio condotto dal Pew Research Center la scorsa primavera, secondo cui per il 78% delle persone in giro per il mondo essa è del tutto positiva e per il 33% molto positiva. Tuttavia l’opinione pubblica si divide sull’eventualità di affidare il governo del proprio Paese a esperti piuttosto che ai propri rappresentanti (il 49% la ritiene una buona alternativa) e sulla democrazia rappresentativa stessa sussistono differenze tra i vari Stati. Per ridarle linfa occorre favorire fiducia e partecipazione.
Tornando in Italia, l’Ufficio Studi Italiani Coop ha pubblicato recentemente un’infografica ripresa anche dal Sole 24 Ore, in cui si mettono a confronto dei dati molto interessanti relativi al nostro Paese nel 2016 con quelli del 2006. Gli aspetti esaminati sono sette e riguardano tutti la partecipazione. Gli Italiani che si informano di politica tutti i giorni sono il 30,8% contro il 33,1% di dieci anni prima; meno del 9% sono coloro che parlano di politica nelle conversazioni quotidiane. Il 17,7% è la percentuale che rappresenta quelli che ascoltano i dibattiti politici, una fetta molto piccola della popolazione partecipa a comizi o a cortei, meno dell’1 % svolge attività di volontariato per i partiti. Inoltre se nel 2006 il 3% dei nostri connazionali faceva donazioni ai partiti, adesso la percentuale si è dimezzata. Le mappe elaborate permettono di vedere i diversi indici nelle varie Regioni, così scopriamo ad esempio che toscani, umbri e veneti sono i più aggiornati, al contrario dei pugliesi, dei calabresi e dei campani che risultano essere anche i meno interessati ai dibattiti politici e così via.
Per difendere le democrazie rappresentative occorre dunque favorire la fiducia nelle Istituzioni e nei corpi intermedi. Per alimentare quest’ultima è necessario a sua volta aumentare le occasioni di partecipazione. Eppure questo non basta se quella stessa partecipazione resta teorica, sulla carta, ovvero se non trasmette alle persone l’idea di poter apportare concretamente un contributo senza limitarsi a essere spettatori. Andare a votare è solo una fase, quella più significativa di un coinvolgimento che dovrebbe essere costante.