Da Palermo a Roma, le polemiche della campagna elettorale siciliana arrivano fino a Montecitorio. La settimana scorsa sono state depositate alla Camera due interpellanze sull’aspirante governatore del centrosinistra Fabrizio Micari. Due atti parlamentari – presentati da alcuni esponenti del Movimento Cinque stelle ed ex grillini – che criticano duramente la candidatura del rettore palermitano. Schizzi di veleno sulla contesa sicula. Al centro del caso finisce la presunta ineleggibilità di Micari, che durante la corsa verso Palazzo d’Orleans ha deciso di non dimettersi dal vertice dell’ateneo palermitano. «Sta dimostrando un morboso attaccamento al potere» denuncia adesso la deputata Chiara Di Benedetto, che ha firmato l’interpellanza insieme ai colleghi pentastellati della commissione Cultura. Il tempo a disposizione non è molto, le elezioni regionali sono in programma domenica prossima. Quasi certamente il governo non risponderà nemmeno al tema sollevato. «Ma per noi era ugualmente importante depositare questa interpellanza. È una questione etica, non elettorale», conferma la deputata Giulia Di Vita, già Cinque Stelle palermitana, ora nel gruppo misto. È lei la firmataria dell’altro documento.
Da Palermo a Roma, le polemiche della campagna elettorale siciliana arrivano fino a Montecitorio
Nero su bianco i parlamentari puntano il dito contro una possibile condizione di ineleggibilità. Un tema in realtà tutt’altro che inedito, già emerso la scorsa estate, su cui i pareri sono evidentemente discordanti. «I dubbi relativi a tale candidatura – si legge – riguardano non solo il mantenimento della carica di rettore dell’università di Palermo, da cui lo stesso Micari ha dichiarato di non volersi dimettere, ma anche quella di presidente del consiglio di amministrazione del policlinico “Paolo Giaccone”, ente direttamente dipendente dall’università e destinatario di fondi pubblici dalla regione siciliana». I deputati ricordano le critiche sollevate qualche tempo fa da una parte dei docenti dell’ateneo, insieme ad alcuni studenti e sindacati. E citano presunte “forzature procedurali”, «messe in atto per ottenere il congedo utile ai fini della campagna elettorale: a partire dal 7 settembre 2017, infatti, lo stesso Micari avrebbe utilizzato lo strumento del congedo con assegni, prima ordinario e poi straordinario». Sono solo polemiche da contesa elettorale? Non sfugge che tra i firmatari delle interpellanze ci sono parlamentari direttamente legati al candidato M5S Giancarlo Cancelleri, il principale avversario politico del rettore. Intanto, a poche ore dalle Regionali, lo scontro si alza.
Due interpellanze criticano duramente la candidatura del rettore palermitano. Schizzi di veleno sulla contesa sicula. Al centro del caso finisce la presunta ineleggibilità di Micari, che durante la corsa verso Palazzo d’Orleans non si è dimesso dal vertice dell’ateneo palermitano
Le interpellanze confermano l’assenza di norme che sanciscono espressamente l’incompatibilità tra l’incarico di rettore e di presidente o deputato regionale. Eppure, si legge ancora, «sorge il legittimo sospetto che una figura, quale quella del rettore di una università, che mantiene la sua carica di potere apicale di una istituzione pubblica con una fortissima valenza economica sul territorio regionale possa utilizzare la sua influenza al fine di condizionare le scelte di voto di interi gruppi di persone». Il tema non è la fondatezza delle accuse, che del resto l’esecutivo difficilmente potrà chiarire in tempo utile. Eppure la vicenda racconta bene le tensioni e i veleni della partita siciliana. I deputati citano una sentenza della Corte Costituzionale, che qualche anno fa in Valle d’Aosta ha ritenuto ragionevole l’ipotesi di uno specifico caso di ineleggibilità relativamente alla figura del rettore universitario. Ma soprattuto criticano una decisione che considerano sbagliata. «Va rimarcata – si legge ancora – l’inopportunità istituzionale della candidatura, considerata quella che gli interpellanti giudicano una manifesta violazione dello statuto dell’università di Palermo, e tenuto conto del potenziale danno patrimoniale e di immagine che rischia di arrecare allo stesso ateneo».
Giulia Di Vita va oltre. Nel suo documento anche la deputata chiama in causa il presidente del Consiglio e i ministri dell’Istruzione, della Pubblica amministrazione e dell’Interno. «Il caso di Micari – scrive – rischia di costituire un pessimo esempio per per altre università statali e un pericoloso precedente». Durante gli anni di università a Palermo, ricorda la parlamentare, il candidato del centrosinistra è anche stato un suo professore. «Ho avuto il massimo rispetto per Micari, l’ho sempre stimato. Ecco perché mi aspettavo quantomeno le sue dimissioni».