In difesa del maschio bianco etero (che dopotutto non è il male assoluto)

Il patriarca bianco è il reietto dei salotti intellettuali, considerato sessista, xenofobo e fascista. Se ci interessasse di più ai problemi pratici, e meno alle questioni simboliche, forse si recupererebbe un po’ di senso della concretezza

In difesa del patriarca bianco. Perché, un po’ come il cinghiale bianco cantato da Battiato, è in via d’estinzione. Penso al maschio eterosessuale, carnivoro, che beve whisky e fuma, impermeabile all’etnochic, al burger di quinoa equosolidale, non appartenente a nessuna particolare minoranza: non gay, non ggiovane, né donna, né migrante, né maoista, situazionista, trotzkista, vegetariano o antispecista perché lui, solido nel tempo delle identità liquide, è l’aedo del tempo del fu. Quando eri sinistra perché stavi con gli operai, non perché discettavi di letteratura post coloniale alla prima dell’ultimo capolavoro del sommo regista uzbeko zoroastriano.

Il patriarca bianco è il reietto dei salotti intellettuali, accusato di ogni nefandezza: sessista, xenofobo e fascista, secondo il bolso argumentum ad hitlerum nel quale il politically correct lo ricaccia. Pure se lui, il patriarca, si definiva un borghese o, magari, addirittura socialista: in quest’ultimo caso la colpa è di non appartenere alla “vera sinistra”, una iattura in attesa che Tomaso Montani, il Brancaccio, i Girotondini e i benecomunisti lo liberino dal suo limbo, deliberando finalmente cosa sia questa fantomatica “vera sinistra”.

Mentre alcuni propongono di cancellare il nome di Woodrow Wilson dall’università perché razzista, altri il Columbus day, altri ancora di depennare Locke e Aristotele dai corsi universitari per sostituirli con il nuovo bilancino Cencelli della Rive Gauche “un nero, un asiatico, un indio, un gay, una donna”, il patriarca bianco affonda, zavorrato dal “fardello dell’Uomo bianco”. Quando arrivano le elezioni, i segretari di partito cercano i “paradigmi”: la donna, il giovane, il musulmano buono e non integralista. Dopo millenni di egemonia, non c’è più spazio per il quarantenne maschio eterosessuale caucasico borghese. Lui sì, che se l’è cercata!

Mentre alcuni propongono di cancellare il nome di Woodrow Wilson dall’università perché razzista, altri il Columbus day, altri ancora di depennare Locke e Aristotele dai corsi universitari per sostituirli con il nuovo bilancino Cencelli della Rive Gauche “un nero, un asiatico, un indio, un gay, una donna”, il patriarca bianco affonda, zavorrato dal “fardello dell’Uomo bianco”

Ecco che al patriarca, abbandonato dalla sinistra, non resta che diventare realmente fascista e xenofobo e votare Trump. E poco importa che alla sua genia appartengano Marx, Engels, Bakunin, Lenin e i giusnaturalisti; sono questi cattivissimi borghesi occidentali, infatti, ad aver inventato tutte le soggettività rivoluzionarie, femminismo e terzomondismo inclusi. Il patriarca deve scomparire. Così, nonostante la democrazia si basi su di lui, sul borghese medio, non quello piccolo piccolo di Pietro Germi, la damnatio memoriae lo colpisce. E, in fin dei conti, lo stanno colpendo così bene che anche la noiosa classe media sta scomparendo: e con essa la democrazia, che sui borghesi si è sempre retta, con buona pace di quelli che, per far fuori gli odiati borghesi, favoriscono proprio quelle torsioni autoritarie che volevano prevenire.

Com’è stato possibile? Compagni, cosa abbiamo sbagliato? Dalla sinistra delle fabbriche alla sinistra degli aperitivi, è stata una corsa di sola andata verso un inferno lastricato di buone intenzioni.

Perché la sinistra ha sostituito il materialismo storico con il manichesimo: all’analisi dei processi storici, per la quale non puoi leggere Aristotele attraverso l’unico parametro contemporaneo del se fosse stato o meno un sincero femminista, la sinistra ha sostituito una infantile divisione del mondo in buoni e cattivi. Ai primi, ovviamente, appartengono tutte le minoranze afflitte dal patriarca bianco. Perché la sinistra insegue, ancora una volta, un’utopia pronta a trasformarsi in distopia.

Mentre il realista riconosce che “l’uomo è un legno storto”, per dirla con Kant, il distopico pensa che il borghese sia ontologicamente cattivo mentre gli altri siano i buoni

Mentre il realista riconosce che “l’uomo è un legno storto”, per dirla con Kant, il distopico pensa che il borghese sia ontologicamente cattivo mentre gli altri siano i buoni. E poco importa che si tratti di una ideologia, inventata da un altro patriarca bianco, Rousseau, quando parlava del buon selvaggio. Perché, infine, alla dimensione giuridica dei diritti socio economici, certa sinistra ha preferito le libertà civili, ma a spese dei primi. Corrispondendo matrimoni gay, multiculturalismo e altri importanti diritti mentre si liberalizzava il lavoro e si tagliava il Welfare. Così, le giustissime battaglie contro le perversioni della cultura borghese e patriarcale e quelle ugualmente importanti a favore dei diritti civili sono diventate la foglia di fico dietro la quale si nascondeva la incapacità della sinistra di cambiare realmente i rapporti economici o di governare i mercati, ai quali ci si abbandonava seguendo le sirene delle Terze Vie di Blair e Clinton.

​Il mio elogio del patriarca, dunque, non è a difesa della cultura patriarcale, tutt’altro. Ma è in polemica con questa strategia del capro espiatorio, cucita addosso alla cultura borghese occidentale, certo capace più di altre – che se avessero potuto, l’avrebbero fatto volentieri -, di dominare il mondo, ma anche di costruire un pensiero realmente rivoluzionario ed emancipatorio per l’Umanità tutta. E si cambia il mondo guardando la luna dei rapporti di produzione, non il dito delle forme di rappresentazione del sé, dalle identità di genere a quelle etniche.

Ci è convenuto, dunque, ostracizzare il patriarca bianco?

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