Cosa hanno in comune l’Unione Europea, la globalizzazione e le innovazioni tecnologiche? Tutte e tre hanno alla base un processo di integrazione, ricercata e voluta in alcuni casi, fonte di preoccupazione in altri; percepita a volte come qualcosa di positivo, oppure spesso come forza celere e inarrestabile nei confronti della quale non siamo del tutto pronti. Partiamo dall’Ue.
Qui l’integrazione è stata voluta dagli Stati che ne fanno parte ma con intensità e finalità differenti.
Nell’ambito di Future of Europe Project con cui il Financial Times ha avviato una conversazione sul futuro europeo tra esperti e studenti di alcune università, lo scorso 22 novembre Julian Lang faceva una considerazione molto condivisibile.
Le riforme politiche e strutturali sono importanti ma non bisogna sottovalutare i nuovi media. Pochi sono presumibilmente gli operai che hanno il tempo o il desiderio di conoscere i documenti dei burocrati europei e di certo non possono essere solo statistiche e dati a unire le persone e farle sentire parte di un progetto comune.
Fondamentale è anche il modo in cui le Istituzioni comunitarie comunicano all’esterno la loro attività. Secondo Lang le formazioni populiste e i partiti di estrema destra sono stati in grado di coinvolgere persone prima indifferenti e disilluse. Questo non è accaduto solo per motivi meramente politici ma perché hanno utilizzato in maniera più efficace le strategie di marketing e dei social media. Coinvolgere in rete infatti,e poi probabilmente anche offline, è un modo per favorire la partecipazione, il voto e per unire le persone, creando comunità che si riconoscono sulla base di elementi comuni. Lang sostiene che per diffondere il proprio messaggio l’Ue dovrebbe fare molto affidamento ai nuovi media. In effetti questa sarebbe anche una strategia utile a favorire una maggiore integrazione.
Pochi sono presumibilmente gli operai che hanno il tempo o il desiderio di conoscere i documenti dei burocrati europei e di certo non possono essere solo statistiche e dati a unire le persone e farle sentire parte di un progetto comune
Quest’ultima parola riecheggia anche quando parliamo di globalizzazione.
Al contrario dell’Ue, la globalizzazione può essere vista come una scelta quasi inevitabile e non per questo sempre accettata di buon grado. Mentre per l’Unione Europea l’integrazione è frutto di negoziati, compromessi e decisioni che possono variare nel tempo, la globalizzazione invece è per certi aspetti un processo che subiamo per restare al passo con i tempi e infatti chi ad esempio le attribuisce una non equa distribuzione delle risorse e della ricchezza, non vuole accettarla con favore.Il World Economic Forum ha riportato uno studio di YouGov di un anno fa su come viene percepito in diciannove Paesi questo fenomeno, che va dal commercio internazionale fino all’impatto dell’immigrazione. Un parere molto favorevole è stato riscontrato nelle Filippine, in India e in Indonesia, ovvero in economie emergenti, mentre dove lo sviluppo è di vecchia data, le percentuali sono state diverse. Il 40% degli Americani ad esempio vede la globalizzazione positivamente, ma il 27 % in chiave negativa e il 33% non sa cosa rispondere.
Se quest’ultima tuttavia è ancora in parte una scelta, come dimostrano le tendenze che strizzano l’occhio al nazionalismo e al protezionismo, le innovazioni tecnologiche non possono essere né fermate né ignorate. Il web permette a tutti in via teorica di poter sapere cosa accade in altri luoghi anche distanti migliaia di km e di poter dialogare. Siamo tutti connessi e interconnessi. Anche la tecnologia quindi implica processi di integrazione. La rete sta davvero sostituendo lo Stato in funzioni che vanno dai servizi sociali, alla mobilità come sostiene Michele Mezza su Pagina 99 nell’articolo “La forza debole dei partiti smartphone”? Probabilmente lo sapremo negli anni ma quello che notiamo è che il Web almeno nelle intenzioni era nato per collegare, unire, per favorire dunque processi di integrazione. Poi abbiamo scoperto invece che alcuni fattori possono favorire tendenze alla polarizzazione e alla contrapposizione, dunque processi antitetici a forze capaci di aggregare.
Quanto siamo consapevoli dei fenomeni che accadono intorno a noi? Farlo serve a ridimensionare alcune preoccupazioni, ad approfondire quello che c’è ancora da capire. Dubitare della globalizzazione o dei processi di integrazione politica probabilmente è poco efficace, più conveniente è cercare di comprendere questi eventi, interrogarsi su come gestirli e capire quanta discrezionalità hanno soggetti politici e sociali nell’orientarne la direzione. Un discorso analogo vale per il web, prima di bollarlo come buono o cattivo dovremmo innanzitutto capirne i meccanismi.
Mettere tutto in discussione equivale a mettere in discussione l’intento che ne è alla base, ovvero quella stessa integrazione della cui bontà dovremmo essere certi.