Ancora pochi giorni e il 30 novembre a Milano, nell’area dell’ex Fiera, aprirà un nuovo commerciale. Sarà però diverso dai tanti che hanno aperto i battenti in Italia negli ultimi vent’anni (il loro numero ha ormai superato i mille). Si tratterà di un centro commerciale di tipo urbano, come quelli che da un decennio si sono moltiplicati tra Francia, Regno Unito ed Europa Centrale. Ora tra Milano, Roma, Verona e Bolzano stanno trovando cittadinanza anche nel nostro Paese.
Lo “Shopping District” milanese si troverà al centro di un nuovo quartiere, quello di CityLife, in mezzo ai tre nuovi grattacieli firmati da Hadid, Libeskind e Isozaki. Sarà in parte sotterraneo, in parte all’esterno, in parte racchiuso attorno a una piazza. E sarà attaccato a una fermata della metropolitana, mentre i parcheggi saranno sotterranei. Ospiterà negozi (poco meno di 80), molta ristorazione (circa 20 punti vendita) e vari servizi alla persona, come centri estetici e medici. Quella che una volta si chiamava àncora alimentare, quando ancora era l’ipermercato a catalizzare i flussi verso gli shopping center, sarà un supermercato “gourmet” da 1.200 mq, gestito da una Carrefour in cerca di riscatto di immagine dopo anni di risultati opachi in Italia.
Ciò che conta, nomi a parte, è che lo Shopping District di CityLife sarà il volto di un nuovo tipo di struttura commerciale, integrata nel tessuto urbano e non più messa in periferia o in contesti extra-urbani. I nuovi spazi che nascono non sono solo commerciali ma anche residenziali e direzionali, con spazi pubblici e in genere una quota rilevante di verde pubblico. La tendenza è stata ben descritta in una pubblicazione recente, Retail Trends, curata dallo studio legale Cocuzza & Associati, con forte specializzazione sul retail. Così nel volume descrive il progetto Shopping District City Life Marco Pellizzari, direttore generale dello sviluppo di Sonae Sierra Italy, società che si occuperà dell’asset e property management del centro in partnership con Generali Real Estate. «Il trend che stiamo registrando evidenzia un cambiamento nelle abitudini di vita e nei comportamenti di acquisto delle persone nelle metropoli, con un ritorno verso la città (back to city) e a un commercio integrato ad altre funzioni urbane, accessibile con un trasporto pubblico».
La pubblicazione ribadisce il concetto in diversi passaggi. Uno dei più chiari è quello affidato a Luca Maganuco, managing director di Multi Italy, una società che si occupa di gestione, sviluppo e proprietà di centri commerciali in Europa e Turchia: «Lo sviluppo di nuove strutture commerciali in Italia sarà legato sempre più a progetti di riqualificazione di aree extra industriali che si trovano oramai integrate nel centro storico della città piuttosto che integrato in location extra urbane. Ci saranno ovviamente delle eccezioni nel caso di shopping mall a carattere regionale come Il Centro di Arese (Milano) che, vista la dimensione e i flussi, non possono essere sviluppati in città. L’opportunità che i retailer hanno in questi contesti urbani è da un lato di estendere l’orario di funzione dei loro servizi e dall’altro di distribuire in maniera più bilanciata i flussi tra settimana e weekend».
Lo Shopping District di CityLife sarà il volto di un nuovo tipo di struttura commerciale, integrata nel tessuto urbano e non più messa in periferia o in contesti extra-urbani. In Europa si sono moltiplicati da un decennio tra Francia, Regno Unito ed Europa Centrale. Ora tra Milano, Roma, Verona e Bolzano stanno trovando cittadinanza anche nel nostro Paese
Il centro in centro città, a Bolzano, Roma, Verona
Il progetto milanese sarà seguito a breve da concetti simili. A Bolzano un nuovo shopping mall – WaltherPark – sorgerà in pienissimo centro, nell’area compresa tra la stazione, piazza Verdi e il cuore della città, piazza Walther. Anch’esso avrà 100 negozi ma ospiterà anche 150 appartamenti, un albergo da cento camere, uffici e spazi pubblici (della Provincia Autonoma di Bolzano), un centro anziani, una sala convegni e una serie di strutture dedicate ai giovani e al tempo libero. Gli spazi a uso pubblico sono stati aumentati dopo il dibattito pubblico che ha portato a un referendum, approvato dai cittadini. Il progetto è dell’archistar David Chipperfield e per la realizzazione del complesso gli sviluppatori di Signa stanno acquistando immobili da privati da una decina d’anni. La società sviluppatrice ha realizzato un centro analogo a Innsbruck, il Kaufhaus Tyrol, nella centralissima piazza Maria Teresa d’Austria. A Bolzano le demolizioni inizieranno nei primi mesi del 2018 e l’apertura è prevista nel 2021.
A Bolzano il WaltherPark sarà realizzato in un’area centralissima. La società sviluppatrice sta acquistando immobili da un decennio. Le demolizioni inizieranno nei primi mesi del 2018, l’apertura è prevista nel 2021
Prima ancora sarà la volta di Roma. Nel marzo del 2018 aprirà i battenti l’Aura – Valle Aurelia Mall, a soli 800 metri in linea d’area dal Vaticano. Sarà anch’esso un centro polifunzionale, con 21.000 metri quadri di superficie di vendita. Si troverà a pochi passi dalle mura vaticane, a cavallo fra i quartieri Aurelio e Trionfale. Le contestazioni in passato non sono mancate, principalmente perché alcune opere pubbliche inizialmente previste, come la piscina, sono state ridotte di numero. Come si legge sul sito del progetto, «è un progetto privato che si inserisce in un programma di recupero urbano in via di sviluppo a ridosso del cosiddetto Monte Ciocci dove è previsto tra l’altro il superamento di carenze urbanistiche come il completamento e la riorganizzazione dei servizi di livello essenziale – strade, parcheggi, fognature e illuminazione pubblica – e la realizzazione di spazi per lo svago e servizi per la comunità. Il progetto prevede anche la valorizzazione della fornace Veschi che viene ristrutturata e destinata ad attività culturali, come ricordo tangibile della storica Valle dell’inferno». Lo sviluppatore del progetto è Cds Holding, Forum Real Estate Management è asset manager, la gestione è affidata a Savills Larry Smith. Sulla vivace pagina Facebook del progetto sta documentando da tempo l’avanzamento dei lavori e rispondendo alle contestazioni o allo scetticismo dei cittadini, principalmente sulla vivibilità dell’area una volta che l’area sarà stata aperta.
A Verona, invece, lo scorso 30 marzo è stato inaugurato il centro Adigeo, da 130 negozi. Realizzato da Ece in collaborazione con lo sviluppatore di strutture commerciali CDS Holding, non sorge nel centro della città ma nella parte sud, in un’area che un tempo ospitava i capannoni (poi abbandonati) delle Officine Adige. È stata quindi un’opera di riqualificazione, risanamento e rigenerazione del tessuto urbano.
Nel marzo del 2018 aprirà i battenti l’Aura – Valle Aurelia Mall, a soli 800 metri in linea d’area dal Vaticano
L’inizio di un nuovo corso
Tutti gli esperti consultati da Linkiesta concordano che siamo solo all’inizio di un processo. Secondo Luca Zanderighi, professore di marketing e innovazione all’Università Statale di Milano, «certamente c’è una tendenza in atto, non è un fatto di quattro episodi isolati. Le ragioni – aggiunge – sono diverse. C’è intanto un motivo demografico: c’è un processo di invecchiamento delle persone, che preferiscono centri più raggiungibili. In secondo luogo ci sono sempre più tentativi di contenere il consumo di suolo e recuperare aree e contenitori dismessi. Quella dei centri commerciali urbani sarà una tendenza sempre più diffusa». Zanderighi, con il professore di Urbanistica del Politecnico di Milano Luca Tamini ha approfondito questo fenomeno in un volume da poco pubblicato e dedicato al delicato rapporto tra città e centri commerciali, “Dismissioni Commerciali e resilienza- Nuove politiche di rigenerazione urbana” (Egea, 2018, 164 pagine).
«Sono realtà molto diffuse a livello europeo, molto meno in Italia», commenta a Linkiesta Simone Burasanis, responsabile leasing di Rustioni & Partners, società che sta promuovendo la commercializzazione del Walther Park di Bolzano. «La ragione del ritardo italiano è che c’è stata storicamente una difficoltà a ottenere le autorizzazioni a costruire. Il centro commerciale è sempre stato visto dalle autorità preposte alle autorizzazioni come da ubicare in luoghi esterni alla cerchia cittadina. Inoltre non è mai stato facile trovare terreni e aree così vaste da realizzare questo tipo di strutture». Se le cose stanno cambiando, aggiunge, è perché «anche in Italia abbiamo esaurito il filone dei centri commerciali esterni. La pipeline dei nuovi progetti è quasi ferma. Gli sviluppatori e i clienti finali vogliono qualcosa che non è ancora stato prodotto». Per funzionare, tuttavia, «devono essere non solo molto più comode, ma devono avere un appeal molto maggiore dei centri commerciali tradizionali, sia come offerta di ristorazione sia per le caratteristiche estetiche. La verità è che ora c’è una concorrenza spietata dell’online. I centri commerciali si salvano se sanno differenziarsi. Quelli costruiti in città si differenziano di più, sono molto costosi ma portano una maggiore fidelizzazione della clientela».
Anche secondo Corrado Vismara, Managing Director di Savills Larry Smith, la società che sta commercializzando il centro Aura – Valle Aurelia di Roma, sono occasioni che si aspettavano da tempo. «I developer di centri commerciali sono da sempre interessati a scegliere location strategiche per i loro progetti ed i contesti urbani generalmente sarebbero preferibili a quelli extraurbani – spiega -. Purtroppo nella fase espansiva delle nostre città l’urbanistica non ha colto la grande opportunità di utilizzare i centri commerciali come elemento infrastrutturale fondamentale di crescita; questo e’ avvenuto anche a causa del veto verso la grande distribuzione che e’ una delle componenti rilevanti (non unica) del centro commerciale. Le recenti normative che limitano l’uso di aree verdi dovrebbero in futuro favorire lo sviluppo di progetti in contesti piu urbani quali siti industriali dismessi, caserme o edifici pubblici». Al tema di queste riqualificazioni l’associazione nazionale dei centri commerciali, Cncc, ha dedicato il convegno Deep Renovation, lo scorso aprile.
«La verità è che ora c’è una concorrenza spietata dell’online. I centri commerciali si salvano se sanno differenziarsi. Quelli costruiti in città si differenziano di più, sono molto costosi ma portano una maggiore fidelizzazione della clientela».
Il boom europeo dei centri commerciali in città
Quello che sta arrivando ora in Italia è però solo un riverbero di una tendenza che si è andata sviluppando in Europa nell’ultimo decennio. Spiega Tiziana Bardi, ingegnere dello Studiobardi/cad38, con uffici a Milano, Liguria e Parigi: «Sicuramente c’è una tendenza da almeno dieci anni in Europa a favore di queste strutture. Sono centri che non sono solo commerciali ma multifunzionali. Hanno uffici, palestre, centri medici e altri servizi. Possono rivelarsi dei punti di forza del tessuto urbano». L’elenco di strutture è piuttosto lungo. Solo in Francia i più noti sono il progetto “Confluence” a Lione (vasto progetto di riqualificazione di un quartiere, con abitazioni, uffici, un centro commerciale che si estende su 150 ettari, un museo, un’area sportiva); il centro commerciale Beaugrenelle di Parigi, nella zona centrale di Grenelle (XV arrondissement, il più popoloso della capitale francese), una struttura presa a modello per il livello del design degli interni e per le boutique di alta gamma che ospita. A Parigi si segnalano anche i centri de La Defense e il risistemato Des Halles. Altri casi simili sono il “Meriadeck” a Bordeaux, un polo iper-centrale, l’area dei dock di Marsiglia, il Cap 3000 di Nizza. Ci sono stati anche dei progetti che hanno trovato difficoltà, urbanistiche e commerciali, aggiunge Tiziana Bardi, come l’area con centro commerciale Millenaire di Parigi, perché «la riconversione della zona della città in cui si trova non è stata efficace, dato che sono rimaste aree psicologicamente difficili da raggiungere».
Nell’Europa Centrale si contano invece il progetto Zote Tarasy, nel centro di Varsavia e il Palladium nel centro di Praga. A Mosca un progetto visionario a cura di Adg Group sta trasformando 39 ex cinema di epoca sovietica in zone commerciali.
Numerosissimi sono i centri commerciali realizzati in contesti urbani riqualificati in Francia, da Lione a Parigi, da Bordeaux a Nizza. È però stato il Regno Unito il Paese che ha visto il maggior numero di operazioni negli ultimi 20 anni. Le più note sono state a Birmingham, Liverpool, Leeds, Glasgow, Bristol e Manchester. Sono strutture che hanno contribuito al rilancio dell’attrattività di queste città
È però stato il Regno Unito il Paese che ha visto il maggior numero di operazioni negli ultimi 20 anni. La rivista di settore Across li ha messi in fila in un articolo dedicato alle opportunità e difficoltà di questi centri: realizzazioni ci sono state a Birmingham, Liverpool, Leeds, Glasgow, Bristol e Manchester. La tesi è forte, ossia che queste strutture abbiano contribuito al rilancio dell’attrattività di queste città. È il caso di Birmingham, dove la realizzazione del polo “Birmingham’s Building”, da 121mila mq, realizzata nel 2003 «ha attratto più di 35 milioni di visitatori annuali ed è stata la scintilla per il rinascimento della città», sottolinea la rivista.
Il caso di Liverpool One è stato attentamente studiato nel volume di Luca Tamini e Luca Zanderighi. Nella difficile opera di riqualificazione dell’area retrostante il porto, è stato cruciale il rapporto con la cittadinanza, attraverso il Liverpool City Council. Questo rapporto permise di superare l’idea di un unico shopping mall e di garantire la vitalità all’area centrale attraverso l’integrazione con gli esercizi esistenti. Per raggiungere questo obiettivo era necessario puntare su un progetto in cui l’attore pubblico fosse proprietario dei suoli e così potesse partecipare attivamente al progetto di nuove funzioni commerciali che si integrassero con quelle preesistenti, sottolineano gli autori. «Liverpool One ha avuto un effetto simile (a quello Birmingham -sull’omonima città – sottolinea l’analisi di Accross -. Sviluppato da Grosvenor e aperto nel 2009, questo progetto a funzione mista da 230mila mq ha trasformato un intero quartiere nel cuore di Liverpool. Il 56% dello spazio è retail, aggiungendo valore all’intrattenimento, agli uffici e agli appartamenti. Il progetto ha riportato le attività commerciali indietro in città, aiutandola a salire dal 14esimo al quarto posto nella classifica del retail urbano del Regno Unito».
«Se pensiamo a Milano, è tutt’ora in atto una grande trasformazione nell’area extra territoriale della città. C’è stata un’evasione della spesa da Milano. Oggi anche nelle politiche urbanistiche di Milano c’è la tendenza a riportare il commercio in zone urbane»
Un rapporto difficile con la città
Proprio la volontà di far tornare in città i flussi commerciali spostatisi negli anni in periferia è una delle chiavi di lettura che si possono dare per il ritorno in città dei centri commerciali. Spiega Luca Tamini, Politecnico di Milano: «Se pensiamo a Milano, è tutt’ora in atto una grande trasformazione nell’area extra territoriale della città. A Segrate (dove sorgerà il super-centro di Westfield, ndr), a Sesto San Giovanni (con un progetto commerciale nell’area ex-Falk, ndr), ad Arese (dove Il Centro ha totalizzato la quota record di 13 milioni di visitatori in un anno e 600 milioni di euro di fatturato, ndr), a Locate Triulzi (sede di Scalo Milano, ndr) c’è stata un’evasione della spesa da Milano. Oggi anche nelle politiche urbanistiche di Milano c’è la tendenza a riportare il commercio in zone urbane. Ne è un esempio tutta l’area di piazza Cordusio (dove arriveranno tra gli altri Uniqlo e Starbucks, ndr). Il Comune sta anche progettando una premialità per il commercio in contenitori urbani».
Di certo il rapporto con i commercianti dei centri storici è molto complicato, quando si tratta di centri commerciali urbani, «molto più che per i progetti tradizionali», sottolinea Burasanis, parlando del progetto di Bolzano. «È più che necessario che si crei un dibattito pubblico, come da tradizione in Francia e Regno Unito – rimarca Zanderighi -. Noi purtroppo non abbiamo una grande tradizione. Si potrebbe fare di più. Invece questi interventi vanno accompagnati dalla raccolta di consenso». Nel caso dello shopping center Arndale, nel centro di Manchester, ad esempio, una quota non marginale degli spazi commerciali è stata lasciata a negozianti locali, anche con una forte connotazione etnica.
«CityLife fa un po’ paura. I commercianti di corso Vercelli, via Piero Della Francesca, McMahon sono spaventati. Perché è un bel polo che potrà avere un impatto sulle zone vicine. Per questo è necessario attrezzare un percorso»
I punti chiave, per Tiziana Bardi, sono due. Il primo è che l’accettazione sarà molto maggiore se il nuovo polo commerciale-direzionale sarà visto come una ricucitura di una frattura della città, per esempio il recupero di un’area dismessa, di uno scalo ferroviario o di una fiera. Se invece sarà identificato solo come speculazione finanziaria ci saranno le barricate. Il secondo punto è che l’amministrazione comunale deve agevolare il rapporto con il territorio. Come? «Deve agevolare la creazione di una promenade che leghi il centro commerciale con il territorio. Ci deve essere un circuito, ci devono essere più poli tra cui le persone circolano. E il circuito non deve essere spoglio: servono illuminazione, negozi, non ci devono essere buchi, ci deve essere un “vis-à-vis” commerciale o d’interesse. Questa è la bacchetta magica che i comuni hanno a disposizione».
È quello, invoca l’ingegnere, che si dovrebbe realizzare anche a Milano. Dove, aggiunge, «CityLife fa un po’ paura. I commercianti di corso Vercelli, via Piero Della Francesca, McMahon sono spaventati. Perché è un bel polo che potrà avere un impatto sulle zone vicine. Per questo è necessario attrezzare un percorso. La gente che va a CityLife se ha modo di fare una camminata, può proseguire facilmente verso via Piero Della Francesca, attraverso via Domodossola. È una strada che va tentata, anche se bisogna sapere che serve almeno qualche anno per consolidare le abitudini».
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