Sergio Romano: “La Corea del Nord vuole diventare inattaccabile (e non ha tutti i torti)”

Il politologo ed ex ambasciatore commenta le mosse di Kim Jong Un: La strategia di Pyongyang è chiara, vuole contare in Estremo Oriente, e vuole difendersi. Gli Stati Uniti non sono intenzionati a de-nuclearizzare il pianeta. Vogliono, anzi, mantenere il monopolio

Il 29 novembre, nella notte italiana, la Nord Corea ha annunciato di avere sperimentato con successo un missile balistico intercontinentale (il vettore Hwasong-15) in grado di colpire con un ordigno nucleare tutto il territorio americano, dalle Hawaii fino a New York. “Siamo una potenza nucleare”, dichiara Pyongyang. La reazione degli Stati Uniti non si è fatta attendere, con il presidente Trump che ha affermato: “ce ne occuperemo”, anche se non è chiaro in che termini. Ora che lo “Stato eremita” è probabilmente in grado di portare attacchi atomici, se non contro gli Usa contro i suoi alleati nel Pacifico, qualsiasi azione dev’essere valutata con grande attenzione. “Il piano della Nord Corea è di diventare inattaccabile”, ci dice l’ex ambasciatore e giornalista – e grande esperto di politica estera – Sergio Romano. “E si possono facilmente comprendere le ragioni di questa strategia”.

Il nucleare di Pyongyang è dunque puramente difensivo? Non ci sono rischi che, una volta ottenute le armi atomiche, Kim Jong Un le voglia usare?I rischi esistono sempre, se la situazione scappa di mano. Ma la strategia di Pyongyang è chiara, non vuole fare la stessa fine dell’Iraq nel 2003, quando il regime di Saddam fu attaccato perché accusato, peraltro ingiustamente, di avere armi di distruzione di massa. Se le avesse avute, non sarebbe stato attaccato. La Nord Corea ha semplicemente imparato la lezione.

Esiste un “fattore Trump” in questa accelerazione della Nord Corea verso il nucleare?
La dirigenza nord coreana, e Kim in primis, devono aver pensato che il rischio di subire un attacco fosse maggiore con Trump rispetto che con Obama. Hanno quindi dato un colpo di acceleratore al programma nucleare. Con questa accelerazione hanno inoltre “sensibilizzato” le opinioni pubbliche e alcuni Paesi – Russia e Cina soprattutto – sul rischio di una guerra, facendone emergere la contrarietà. È stato un calcolo razionale dei rischi e in fondo possiamo dire sia anche condivisibile.

La strategia di Pyongyang è chiara, non vuole fare la stessa fine dell’Iraq nel 2003

In che senso?
Gli Stati Uniti non sono intenzionati a de-nuclearizzare il pianeta, vogliono anzi mantenere il monopolio – o almeno un oligopolio – sulle armi atomiche. Obama aveva dichiarato alla fine della sua presidenza di voler procedere sulla strada della de-nuclearizzazione, ma con Trump possiamo dire che un piano che vada in questa direzione non c’è.

Allargando lo sguardo dalla Nord Corea, come possiamo immaginare questa questione impatti sul “Grande Gioco” che vede Cina e Usa avviati a un confronto sempre più serrato in quell’angolo di Pacifico?
Sono due questioni separate. Sull’interesse americano a impedire l’espansionismo cinese in Asia sarebbero d’accordo anche Obama e Trump, ma poi bisogna vedere con che mezzi si persegue lo stesso fine. Obama aveva la strategia del “pivot to Asia” e con il Trans Pacific Partnership (TPP), che escludeva la Cina, mirava a mettere in difficoltà Pechino.

Trump invece?
Trump ha sempre attaccato la Cina durante la sua campagna elettorale, ma cancellando il TPP ha fatto un grosso favore a Pechino. Se anche lui condivide l’obiettivo di limitare il rischio di un’espansione cinese, non è chiaro come intenda perseguirlo in concreto. E qui ci ricolleghiamo alla Nord Corea: gli Usa hanno un presidente che parla ma non fa. Kim Jong Un ha probabilmente deciso di approfittarne per vedere le carte in mano a Trump.

Parlando di Cina, anche Pechino non è contenta di una Nord Corea che diventi potenza nucleare
Certamente. Ma sarebbe ancor meno contenta di avere una Corea unificata, e Paese satellite degli Usa, al proprio confine. Diciamo che hanno dovuto scegliere tra due mali e hanno scelto il minore. Poi si stanno barcamenando in questa situazione difficile, ad esempio con le sanzioni a Pyongyang sulla cui efficacia c’è tuttavia da riflettere, considerato che la Nord Corea dipende – specie per gli approvvigionamenti alimentari – dal potente vicino. Quello tra Pechino e Pyongyang è un compromesso in divenire.

Cosa ci possiamo aspettare allora nel prossimo futuro?
La Nord Corea ha una politica razionale e giustificabile, per cui vuole diventare una potenza nucleare. Lo abbiamo permesso a India, Pakistan, Israele e via dicendo, non è assurdo che lo vogliano anche loro. Se non hanno già raggiunto questo status – alcune cose le sappiamo, altre sono segrete, può essere che sul fronte della miniaturizzazione delle testate debbano fare ancora alcuni necessari progressi – poco gli manca.

A quel punto? Possiamo aspettarci una “normalizzazione” dei rapporti?

Difficile. L’Occidente non può ammettere ufficialmente che la Nord Corea sia legittimamente entrata nel circolo delle potenze nucleari, perché si correrebbe il rischio che altri quattro-cinque Stati vogliano emularla. Probabilmente ancora per un po’ continuerà il teatrino per cui noi li tratteremo come uno Stato-canaglia e loro manterranno toni accesi e propagandistici. Specie finché sarà presidente Trump.

La Nord Corea ha una politica razionale e giustificabile, per cui vuole diventare una potenza nucleare. Lo abbiamo permesso a India, Pakistan, Israele e via dicendo, non è assurdo che lo vogliano anche loro

In che modo?
Trump è prigioniero del suo personaggio di “uomo forte”. Questo lo rende aggressivo e imprevedibile. Fortunatamente possiamo contare sulla serietà della Cina, che nell’ultimo congresso del Partito comunista ha delineato obiettivi raggiungibili e l’attenzione di Pechino sarà probabilmente concentrata sul conseguimento di quelli.

Ma una Nord Corea che abbia ufficialmente raggiunto il rango di potenza nucleare che scenari aprirebbe?
Conseguenze ci saranno. Ad esempio il Giappone potrebbe volere l’atomica come deterrente. Finora ha potuto contare sulla protezione fornita dagli Stati Uniti, ma nel futuro potrebbe non essere più così. Magari non subito, ma nei prossimi anni.

Washington sembra dunque guardata con minor fiducia dai suoi alleati e con minor timore dai suoi avversari. Stiamo insomma assistendo a un indebolimento relativo degli Usa, rispetto agli altri Paesi?
Secondo me sì. Hanno fatto due guerre inutili e le hanno perse, in Iraq e Afghanistan. Qualche conseguenza era inevitabile.

E Trump? Di nuovo è un fattore?
Sì. Non può nemmeno contare sui suoi collaboratori, il Segretario di Stato Rex Tillerson gli ha dato più o meno chiaramente dell’idiota, “moron” in inglese, e si è sempre rifiutato di smentire. Non può contare nemmeno sul suo partito. Lui è un presidente anti-sistema, è contro la tradizionale collaborazione bipartisan tra democratici e repubblicani su certi temi. La sua presidenza ha reso l’America un Paese zoppo e difficilmente prevedibile.