Le previsioni dell’Istat sull’economia italiana nel 2017 e 2018 hanno confermato quelle del governo sulla crescita del Pil nel 2017: +1,5%. Per il 2018 lo scostamento è di un decimale: +1,5% per il governo e +1,4% per l’Istat. Continueranno, probabilmente, le polemiche riguardo al fatto che l’Italia sia l’ultimo o penultimo Paese per crescita nell’Unione europea, iniziate la scorsa settimana dopo il botta e risposta tra Commissione europea e il premier italiano Paolo Gentiloni.
Così come sono prevedibili dibattiti attorno alle previsioni di occupazione (+1,2% in termini di unità di lavoro nel 2017 e +1,1% nel 2018) e al tasso di disoccupazione, che scenderà rispettivamente 11,2% e 10,9% nei due anni. Chi dirà che è un segnale positivo, perché non è più una ripresa senza occupazione e chi dirà che il dato sulla disoccupazione sarà ancora altissimo e lontano dalla media europea.
Tuttavia il dato su cui vale la pena concentrarsi è quello degli investimenti, una voce che durante gli anni di crisi è scesa bruscamente per quanto riguarda sia la componente privata che quella pubblica. Secondo l’Istat nel 2017 gli investimenti fissi lordi cresceranno del 3%, «alimentati dal proseguimento della fase di crescita della spesa in impianti, macchinari e armamenti e, con minore intensità, dalla ripresa del ciclo delle costruzioni». La svolta, continua l’istituto, c’è stata nel secondo trimestre del 2017, «quando il processo di accumulazione di capitale è tornato ad assumere un’intonazione positiva (+0,9% su base congiunturale) dopo la temporanea flessione dei primi tre mesi dell’anno (-2,0%)». La ripresa degli investimenti «è stata sostenuta dalla spesa in macchine e attrezzature (+2,9% rispetto al primo trimestre) che ha controbilanciato il rallentamento di tutte le altre componenti».
L’altra indicazione dell’Istat è che la dinamica positiva degli investimenti non dovrebbe fermarsi nel 2017 ma proseguire e rafforzarsi nel 2018, quando la crescita prevista è del 3,3 per cento. Tra i fattori ci sono il «miglioramento delle condizioni sul mercato del credito associate al proseguimento della politica monetaria espansiva nell’area euro» e il «clima di fiducia positivo tra gli operatori». Ma in particolare viene citato il Piano Industria 4.0 (iperammortamento su macchinari tipici dell’industria 4.0 e software, superammortamento, incentivi alla R&S). Dalle stime dell’Istat l’effetto non dovrebbe limitarsi al 2017 ma estendersi al 2018 (oltre non è dato sapere da queste previsioni).
La produttività stagnante italiana blocca la crescita economica e alla lunga anche i salari. Uno dei modi per farla crescere è incrementare il livello tecnologico delle imprese. Per questo i dati positivi dell’Istat sugli investimenti nel 2017 e 2018 sono positivi. Serve però anche altro e cioè molta più concorrenza
Se vale la pena citare il dato sugli investimenti è perché è legato a uno dei maggiori problemi dell’economia italiana, la produttività stagnante. La produttività del lavoro in Italia nell‘ultimo ventennio ha avuto una crescita minima (+0,3%), un quinto di Germania e Francia e la metà della Spagna. Come ha scritto lo scorso febbraio la “Relazione per paese relativa all’Italia 2017” della Commissione europea, «il persistere di bassi livelli di crescita della produttività continua a essere la prima fonte degli squilibri macroeconomici dell’Italia poiché rallenta il ritmo della riduzione del debito e fiacca la competitività esterna». Questo è però solo un primo problema, perché, continua il documento, «la debole dinamica della produttività nuoce alla competitività e frena la crescita del Pil, il che incide sulla dinamica del rapporto debito pubblico/Pil». Poca produttività, bloccando la crescita, blocca alla lunga anche i salari. È quindi un male per tutti.
Tra le misure di produttività, una delle più significative è la produttività totale dei fattori. Misura gli effetti del progresso tecnico e di altri fattori propulsivi della crescita, tra cui le innovazioni nel processo produttivo, i miglioramenti nell’organizzazione del lavoro e delle tecniche
manageriali, i miglioramenti nell’esperienza e nel livello di istruzione raggiunto dalla forza lavoro. Come riporta l’ultimo report dell’Istat sulle misure di produttività, altri fattori sono il miglioramento nella qualità dei beni d’investimento, l’andamento del ciclo economico, le economie di scala, le esternalità, la riallocazione dei fattori produttivi, nonché eventuali errori di misurazione del prodotto e dei fattori produttivi.Gli investimenti in macchinari innovativi sono quindi parte della soluzione. Un’altra parte viene dalla qualità della forza lavoro e del management. Una spinta viene dalla formazione (a tal proposito la legge di Bilancio prevede degli incentivi per attività formative legate all’Industria 4.0, sebbene ridotti rispetto alla prima versione). Una seconda dalla concorrenza.
«Il persistere di bassi livelli di crescita della produttività continua a essere la prima fonte degli squilibri macroeconomici dell’Italia»
Sul fronte della concorrenza, vale la pena guardare gli indici Istat sula produttività nelle diverse parti dell’economia. A scendere negli ultimi anni sono stati soprattutto i servizi e in particolare le attività professionali, scientifiche e tecniche (l’indice scende a quota 90, dieci punti in meno rispetto al 2010). Hanno tirato verso il basso la media avvocati, commercialisti, architetti, ingegneri, ossia le professioni che negli anni hanno fatto battaglie per limitare misure concorrenziali come l’abolizione delle tariffe minime e la pubblicità degli studi professionali. Nel manifatturiero invece ci sono stati incrementi nella produttività del lavoro (indice pari a 107), così come tra le attività agricole (105,8). Ma tra le piccole imprese, come prevedibile, è minore.
Secondo le stime della Commissione europea, nel 2017 e 2018 la produttività del lavoro in Italia dovrebbe crescere solo moderatamente , ben al di sotto del tasso di crescita previsto per la zona euro. La Relazione dice che qualche passo avanti è stato fatto, su mercato del lavoro, settore bancario, istruzione, pa e sistema giudiziario. I vantaggi si vedranno però solo nel medio periodo. L’importante è avere chiara quale sia la direzione da seguire.