Un grande centro commerciale extraurbano. Un centro logistico. Uno stadio da usare la domenica. Blocchi residenziali. Un grattacielo per finanziare le opere pubbliche e il verde. Sarebbero state tutte possibili soluzioni per l’area che ha ospitato l’Expo di Milano, soprattutto se non fosse stata presa la decisione di comprare i terreni dai privati e riportarli in mano a soggetti pubblici. Quelle funzioni sono il destino che attende le aree dismesse, in Italia, quando va bene; quando va male rimangono semplicemente abbandonate per anni o decenni.
Partire da queste immagini sgradevoli è uno dei modi a cui approcciarsi alla presentazione della proposta di masterplan, avvenuta martedì 28 novembre a Rho, a Cascina Triulzi, uno degli edifici usati durante l’esposizione. Il progetto va in un’altra direzione, che non era affatto scontata.
Per ricordarselo occorre fare un passo indietro ai giorni dell’Expo quando, a esposizione già in corso, si viveva una grande confusione su quello che sarebbe arrivato in seguito. Dopo nebulose proposte su una destinazione scientifica e di ricerca agroalimentare del parco, fu solo nel novembre 2015 che, con un’anticipazione sul Corriere della Sera, il governo cominciò a parlare di Human Technopole e di polo dedicato alle tecnologie umane applicate alla qualità della vita. In seguito i passaggi hanno previsto, attorno allo Human Technopole, l’arrivo delle facoltà scientifiche dell’Università Statale e dell’Ospedale Galeazzi. Sono poi seguite le linee guida per l’area, nel settembre 2016, e la manifestazione di interesse dell’Università Statale stessa. Dei primi giorni di novembre era stata la notizia dell’aggiudicazione della gara per il soggetto privato che avrebbe affiancato Arexpo nella definizione del masterplan e poi avrebbe gestito circa la metà delle superfici immobiliari, pari a 250mila metri quadrati, per un periodo di 99 anni. Vincitrice è stata l’australiana Lendlease, che ha una dozzina di progetti simili pubblici-privati in giro per il mondo (tra cui parte dell’ex villaggio olimpico di Londra) e che si è impegnata a versare l’equivalente di 671 milioni di euro ai valori attuali, che con l’inflazione prevedibile oggi si tradurranno in 2 miliardi di euro.
In questi mesi abbiamo capito che ci sono e ci saranno ancora molte problematiche legate all’area. Oggi si chiamano soprattutto incertezza sul trasferimento dell’Università Statale; contenzioni tra la società Arexpo e i privati ex proprietari dei terreni, soprattutto per l’attribuzione dei costi delle bonifiche; precarietà della stessa società Arexpo, la società partecipata da ministero dell’Economia (39%), Regione Lombardia (21%), Comune di Milano (21%), Fondazione Fiera Milano (16%) che ha dovuto ricorrere a un finanziamento extra del Mef stesso e a un prestito di Intesa Sanpaolo. I malumori non sono mancati e hanno riguardato, da parte della comunità scientifica, soprattutto la modalità di assegnazione della gestione dello Human Technopole all’Istituto Italiano di Tecnologia, senza gara. Ancora da risolvere è il nodo del futuro di Città Studi, una volta che l’Università Statale si sarà trasferita. I cittadini hanno organizzato delle fiaccolate perché temono lo svuotamento del quartiere e il calo del valore degli immobili. Tra gli studenti c’è preoccupazione per i tempi di spostamento verso Rho e per la diminuzione degli spazi rispetto a quelli attuali. Un controllo scrupoloso sulle modalità di assegnazione degli appalti e di conduzione dei lavori sarà indispensabile, visti i precedenti di Expo stessa. Le istituzioni lo sanno e “diffidenza” percepita è stata tra le parole che più sono state pronunciate durante la presentazione a Cascina Triulzi dai rappresentanti di Arexpo.
Sarà indispensabile il controllo sulla correttezza degli appalti e sull’uso dei fondi pubblici. Ma il masterplan si fonda su una serie di parole chiave e su una visione di lungo periodo che farà bene a Milano
La proposta di masterplan (che poi dovrà essere approvata a metà del 2018) del 28 novembre ha però dato una visione che si basa su un’altra serie di parole chiave che ben si accordano alla rinnovata fiducia che Milano ha saputo riguadagnare negli ultimi anni. Alcune di queste parole sono “scienza e tecnologia” e “giovani”. Se ne potrebbero aggiungere altre, raccogliendole tra le molte che sono state pronunciate nei vari interventi: “necessità di un rapporto stretto tra pubblico e privato dove il pubblico detta le priorità”, “necessità – anche da parte del gestore privato degli spazi – di identificare i meccanismi di interazione delle comunità”, “necessità di attingere a servizi sul territorio”, “flessibilità e apertura alle proposte della società civile”. Ancora: “visione di lungo termine”, “mobilità innovativa, elettrica e autonoma”, “benessere delle città che si crea quando ci si prende cura degli spazi pubblici”, “verde che assume funzione ecologica e sociale”, “spazi anche privati dedicati – al piano terreno – a funzione pubblica”.
Quanto di queste parole si tradurrà in realtà non è oggi chiaro e “la strada è lunga”, per citare il presidente di Arexpo, Giovanni Azzone. La proposta di masterplan dà però diverse indicazioni. I tre soggetti pubblici saranno posizionati nell’area a nord dell’attuale Decumano, la lunga via centrale attorno a cui si disponevano i padiglioni del’esposizione. Lo Human Technopole, finanziato dallo Stato con 1,5 miliardi di euro in anni, ospiterà 1.500 ricercatori in 7 centri e tre spazi per servizi; tre sono edifici già esistenti, tra cui Palazzo Italia. Comincerà le prime limitate attività (sul tema del Big Data) nel gennaio 2018. Sceglierà il direttore tra le 44 candidature arrivate entro il febbraio 2018. Avrà un secondo allargamento alla fine del 2018 e sarà pienamente operativo nel 2024. L’Ospedale Galeazzi, che avrà anche una funzione di ricerca, scientifica, si estenderà su 50 mila metri quadrati, per 16 piani. L’Università Statale potrà contare su 98mila metri quadrati dedicati a laboratori e didattica e su altri spazi per le funzioni accessorie, come gli impianti sportivi, l’incubatore per startup e l’ortobotanico. Ci sarà anche un campus per i suoi 18mila studenti. Il rettore della Statale, Gianluca Vago, al margine dell’incontro non ha nascosto che ci siano ancora difficoltà di tipo finanziario. L’ateneo deve trovare i finanziamenti per lo spostamento. La cifra complessiva è di 350-380 milioni, di cui circa 138 arriveranno dal governo, 120 dovrebbero arrivare dalla vendita del patrimonio immobiliare e circa 130 l’ateneo da un mutuo con le banche. Secondo Vago l’obiettivo è di trovare una soluzione alle esigenze finanziarie entro il gennaio 2018. Se tutto andasse per il verso giusto, l’arrivo degli studenti sarà nel 2022-2023. La notizia positiva del masterplan, aggiunge, è che gli spazi per le funzioni accessorie sono superiori a quelle previste precedentemente.
L’area sud sarà invece occupata dai fabbricati delle aziende private, che saranno soprattutto del settore farmaceutico e biotech. Secondo quanto comunicato ieri ci sarebbe l’interesse di circa 50 aziende, di cui molte straniere. Tra i nomi circolati nei giorni scorsi ci sono quelli di Novartis, Bayer, Glaxo, Bosch, Abb, Celgene, Ibm Watson. Bisognerà capire se rimarranno tutte dopo l’assegnazione dell’Agenzia europea del farmaco ad Amsterdam e non a Milano.
Tra gli altri edifici ci sono residenze per 24mila mq, 9mila mq di residenze per anziani di alto livello, 30mila mq di social housing. Le residenze per studenti saranno pari a 54mila mq, gli spazi commerciali saranno pari a 16mila mq, hotel per 7mila metri quadrati. Dal rendering i palazzi appaiono piuttosto alti, di almeno una decina di piani ciascuno.
In mezzo l’attuale Decumano sarà trasformato in un parco lineare di 10 ettari. Come si vede dai rendering, sarà la somma di tante piccole isole di verde, con delle stradine che vi passeranno in mezzo. Una prima ipotesi, scartata, prevedeva aiule confinate nei recinti delle aziende private. L’idea è stata in seguito cambiata e il concetto è stato spiegato dall’architetto Carlo Ratti, che attraverso il suo studio ha contribuito a definire il masterplan: «Il parco sarà un’estensione degli uffici, un luogo dove incontrarsi per lavorare». Essendo un parco che sorgerà sopra la piastra in cemento del Decumano, la domanda che sorge è se potranno essere piantati alberi ad alto fusto.
L’attuale Decumano sarà trasformato in un parco lineare di 10 ettari. Sarà la somma di tante piccole isole di verde, con delle stradine che vi passeranno in mezzo. In totale ci sono 460mila metri quadri di parchi, 20mila più di quanto previsto inizialmente
Il parco lineare sarà affiancato da altro verde. In totale si parla di 460mila metri quadri di parchi, 20mila più di quanto previsto inizialmente. Andreas Kipar, Ceo di Land Italia, la società che ha curato il verde, ha spiegato che il principio è quello di un parco unitario articolato su diverse tematiche. Una scelta che ha lo scopo di dare un ordine in cui orientarsi e che dovrebbe aiutare la longevità stessa del parco, che va vista su scala “centenaria”. Ci saranno 3,5 ettari di un Viale degli eventi (lungo l’ex cardo), sei ettari parco del cibo e della salute (polo scolastico e orto didattico), 7 ettari del parco dello sport (campi da gioco, pista di atletica e skate park), 2,3 ettari dell’ortobotanico, 3,7 ettari parco attrezzato di connessione a nord, con percorso ciclopedonale. In totale si mantengono alberature e si aggiungono 3mila alberi. Saranno assicurate, ha detto Kipar, delle “strisce di impollinazione”. Ci saranno quattromila metri quadrati di specchi d’acqua, in continuità con uno dei tratti principali dell’area dell’esposizione unversale.
Tra le altre caratteristiche c’è il concetto di common ground, secondo cui ogni piano terreno, anche dei fabbricati privati, avrà una funzione pubblica. L’idea alla base, ha spiegato l’architetto Carlo Ratti, è che «oggi possiamo lavorare ovunque. Andiamo al lavoro principalmente per incontrare persone, le idee nascono dalla “serendipity” di scambi con persone diversi».
L’architetto ha anche inserito tra i cinque cardini del masterplan il fatto che la «piattaforma di progettazione degli interventi sarà aperta e flessibile, non calata dall’alto». La distribuzione delle vie e degli spazi sarà ispirata a tre caratteristiche dell’urbanistica milanese: quella concentrica medievale, quella dei grandi viali ottocenteschi e quella destrutturata delle nuove aree come CityLife.
L’impostazione della mobilità sarà già orientata a un’era in cui le auto saranno non solo elettriche ma anche driverless. Tra le caratteristiche innovative c’è inoltre il concetto di common ground, secondo cui ogni piano terreno, anche dei fabbricati privati, avrà una funzione pubblica
Particolarmente suggestiva è l’impostazione della mobilità già orientata a un’era in cui le auto saranno non solo elettriche ma anche driverless. Per lavorare su questo aspetto, ha aggiunto Ratti, sono in corso contatti con le autorità di Singapore, le più avanzate nella sperimentazione dei veicoli autonomi.
Le varie istituzioni pubbliche, Governo, Regione, Comune, hanno tenuto a mostrarsi unitarie, tenendo “lo spirito dell’Ema”. La bocciatura di Milano a favore di Amsterdam brucia ancora e il fantasma dell’agenzia europea del farmaco è stato evocato più volte. Come ha detto in chiusura il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, «dobbiamo uscire dalla sindrome dello sconfitto, questo è un progetto che vale più dell’Ema stessa».