SocialdemocraticiBuoni propositi per il 2018: ridurre le disuguaglianze per salvare la globalizzazione (e la democrazia)

Mentre aumenta la ricchezza nel mondo si amplia sempre più il divario tra ricchi e poveri: da qui nascono (e si alimentano a vicenda) migrazioni e rivolte contro le élite

Economia e politica si condizionano a vicenda come dimostrano gli effetti della globalizzazione. Una delle sue distorsioni più pesanti è l’accentuata disuguaglianza, più che tra gli Stati anche all’interno dei singoli Paesi. Secondo il World Inequality Report, stilato da più di cento ricercatori di circa 70 nazioni, l’1% più ricco della popolazione ha concentrato il 27% delle entrate globali maturate tra il 1980 e il 2016. Le aree dove le differenze economiche tra gli abitanti sono più marcate risultano essere India, Russia e Cina. Questi dati sono stati riportati dal Guardian, secondo il quale gli ultimi decenni hanno visto come risposta a questo scenario, politiche di privatizzazione, deregolamentazione e austerità, con conseguenze che non si sono fatte attendere. Il sostegno ai cosiddetti partiti anti-sistema non era così elevato addirittura dagli anni ’30, mentre le formazioni politiche tradizionali o si sono concentrate su posizioni più estreme dello spettro politico oppure si sono sostanzialmente indebolite.

Anche secondo il Credit Suisse c’è un’accentuata disparità tra la parte più ricca della popolazione globale, peraltro molto esigua, e il resto. Secondo il suo Global Wealth Report, richiamato dal World Economic Forum, l’1% detiene quasi la metà della ricchezza domestica. Grazie all’euro ci sono 620 mila milionari in più in Francia, Germania, Italia e Spagna, sebbene la maggior parte sia concentrata negli Stati Uniti. Purtroppo stando alle stime, la percentuale di coloro che possiedono meno di 10 mila dollari, pari al 70% della popolazione globale che ammonta a circa 3,5 miliardi di persone, si ridurrà solo del 4%. Le proiezioni non sembrano incoraggianti, visto che tra le altre cose, nell’ultimo periodo l’America Latina, l’area asiatica che si affaccia sull’Oceano Pacifico e l’Africa hanno visto peggiorare le proprie condizioni. Viene evidenziato inoltre un altro dato che fa riflettere, ovvero che ad essere maggiormente penalizzati dalla disuguaglianza economica sono i giovani e in particolare i millennial.

Si sta verificando un paradosso: gli Stati in via di sviluppo vedono migliorare le proprie condizioni ma altrove l’aumento della disuguaglianza sta facendo impoverire la classe media. A sua volta questo fenomeno ha delle conseguenze politiche che possono tradursi in distacco nei confronti della cosa pubblica, sostegno ai partiti ostili alle élite tradizionali, tendenze di tipo nazionalistico

Se dovessimo appuntare quali sono le questioni urgenti dell’agenda politica, disuguaglianza economica e prospettive per i giovani sarebbero tra le prime. Pur non essendo stato governato o gestito in maniera efficace, la globalizzazione non è un fenomeno negativo. Molti concordano nel dire ad esempio, che grazie ad esso le differenze tra molti Paesi si sono ridotte, dove persistono tuttavia esse costituiscono la molla delle migrazioni di carattere economico.

Renata Targetti Lenti su La voce.info ha spiegato che molti lavoratori cambiano residenza non solo per avere un’occupazione, ma per averne una più remunerativa o qualificata. Chi invece non ha competenze specifiche si muove comunque e le rotte sono di solito Messico, America Latina e Asia verso gli Stati Uniti, oppure Medio Oriente o Africa settentrionale verso l’Europa. Secondo la docente è la diversa entità del reddito a spiegare questo genere di spostamenti. Non potendole eliminare, cosa può fare la politica per attenuare le disparità economiche all’interno dei singoli Stati? Secondo Targetti Lenti, il divario tra classi sociali è così ampio che le politiche redistributive non sarebbero sufficienti, né nella forma di imposte, né in quella di trasferimenti monetari. A questo va aggiunto un altro particolare, ovvero l’indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori nei Paesi ricchi, da quando alcuni processi produttivi sono stati delocalizzati. In sostanza si sta verificando un paradosso, gli Stati in via di sviluppo vedono migliorare le proprie condizioni ma altrove l’aumento della disuguaglianza sta facendo impoverire la classe media. A sua volta questo fenomeno ha delle conseguenze politiche che possono tradursi in distacco nei confronti della cosa pubblica, sostegno ai partiti ostili alle élite tradizionali, tendenze di tipo nazionalistico e così via. Come si può ridurre il gap tra ricchi e poveri? È una domanda complessa ma ipotizzare delle ricette o delle soluzioni può servire a due scopi: gestire in maniera efficace la globalizzazione e tutelare lo stato di salute delle nostre democrazie.

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