La Catalogna è un guaio per gli Stati nazione (e pure per l’Unione Europea)

La questione catalana si pone sempre di più come pietra d’inciampo sul già fragile processo di integrazione europea. Riemergono spinte autonomiste antiche, diffuse, e che fanno molto piacere ai nemici dell’Europa

La vittoria degli indipendentisti della Catalogna è il requiem degli Stati nazione, ma potrebbe esserlo anche dell’Unione europea. I catalanisti, benché formati da partiti di centro destra e sinistra, che poco hanno in comune, hanno ora la maggioranza assoluta e faranno sicuramente ripartire il procés, cioè il percorso indipendentista che, per i seguaci di Puigdemont, era già un fatto compiuto.

Certo, quel referendum non trovava legittimità giuridica nell’ordinamento spagnolo. Ma la sovranità popolare crea le leggi; quando la maggioranza dei cittadini vota per l’indipendenza, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio potere costituente che prevale sull’ordinamento previgente. Rajoy ha perso e il prossimo passo potrebbe essere la nascita di una Repubblica autonoma di Catalogna. Nonostante il pressapochismo e velleitarismo di una élite catalana indipendentista pronta a far fare un salto nel buio alla propria nazione, da dove già sono fuggite le principali aziende, per inseguire i propri sogni di gloria. Va comunque detto che Rajoy non ha gestito adeguatamente la faccenda e avrebbe, forse, potuto coinvolgere la Ue subito e prima, utilizzandola come potere mediatore.

Una Catalogna indipendente ed esterna alla Ue non potrebbe non indebolire la stessa Unione, a incominciare dal rischio concreto che Barcellona si leghi a doppio filo a chi non può che essere contento che l’Europa si disintegri: la Russia. Per tacere del dato che la Catalogna potrebbe diventare un vero e proprio paradiso del riciclaggio e degli affari illegali

I catalani erano federalisti, infatti, e avevano uno Statuto negoziato ai tempi di Zapatero, che Rajoy ha voluto superare: ma i muro contro muro hanno solo portato acqua al mulino degli indipendentisti. E ora che arriva un nuovo, inequivocabile, segnale per l’indipendenza, Madrid cosa farà? In attesa delle mosse della Moncloa è adesso Bruxelles che deve guidare la faccenda. O, almeno, ce lo auguriamo. La secessione della Catalogna sarebbe un guaio per l’intera Unione europea; per questo, la situazione deve essere affrontata anche a livello comunitario. La Catalogna, come nuovo Stato, non farebbe parte della Ue e, allo stato attuale, non vi sono le condizioni affinché possa aderirvi: per entrare nel club europeo serve l’unanimità degli altri Stati ed è ovvio che Francia, Italia e lo stesso Belgio non darebbero il loro via libera, alle prese con i propri indipendentismi.

Ma una Catalogna indipendente ed esterna alla Ue non potrebbe non indebolire la stessa Unione, a incominciare dal rischio concreto che Barcellona si leghi a doppio filo a chi non può che essere contento che l’Europa si disintegri: la Russia. Per tacere del dato che la Catalogna potrebbe diventare un vero e proprio paradiso del riciclaggio e degli affari illegali. Già oggi la Costa Brava è il domicilio di varie mafie italiane e straniere: un nuovo Stato, fragile dal punto di vista economico e fiscale, diventerebbe terra di conquista della malavita. Eppure, se la Ue favorisse un ingresso della Catalogna nell’Unione, darebbe la stura a tutti i nazionalismi in giro per il vecchio continente: uno scenario lose-lose.

L’unica alternativa plausibile potrebbe essere negoziare a livello europeo una nuova e più ampia autonomia per Barcellona, all’interno di una Spagna unica. Una ulteriore e più ambiziosa opzione potrebbe essere virare verso una nuova Unione, composta di macro regioni che sorgono dalle ceneri del sistema westfaliano. Un’Unione federale con un nuovo bilancio che indennizzi tutte quelle altre aree deboli, attualmente sussidiate dagli Stati nazione, che rischiano di essere i perdenti di queste trasformazioni. Insomma, si potrebbe virare verso un’Europa composta da Lombardia, Veneto, Pomerania, Baviera, a patto che Bruxelles ridistribuisse risorse non più nazionali ma comunitarie a Calabria, Vallonia, Andalusia, Sardegna. Un’opzione molto difficile perché, ad oggi, questa trasformazione è osteggiata dalla Germania ma anche dalle piccole patrie che, essenzialmente, vogliono secedere per non pagare tasse. Per questo, occorre tenere gli occhi aperti. Il gioco catalano rischia di far saltare il tavolo per tutti.

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