Rieccoli, sono tornati. Protagonisti dei tempi lontani, di qualcuno di loro ci si era persino dimenticati. Nonostante l’anagrafe e la voglia di cambiamento degli italiani, diversi leader politici sono riusciti a riconquistare la scena. Capaci di invertire il destino grazie a fortuna, circostanze favorevoli e in alcuni casi doti personali straordinarie. Il primo nome che salta alla mente è scontato: Silvio Berlusconi. Da quasi venticinque anni l’ex premier detta regole e tempi nel centrodestra. Alla faccia del nuovismo imperante, il Cavaliere è tornato in campagna elettorale. A 81 anni sembra ancora quello di un tempo: interviste sui giornali, apparizioni in tv, presentazioni di libri, sentenze sul gioco del Milan. Ogni battuta di Berlusconi suggerisce un titolo in prima pagina, malgrado le note vicende giudiziarie gli impediscano di ricandidarsi. Il testa a testa con la Lega di Matteo Salvini per la guida della coalizione è serrato, ma secondo i sondaggi il leader di Forza Italia è in costante rimonta e ha buone possibilità di essere ancora una volta il dominus del centrodestra. Male che vada – è la previsione degli osservatori più maliziosi – per lui c’è sempre la possibilità di un esecutivo di larghe intese con il Pd. Il Cav, insomma, può vincere in almeno due scenari elettorali diversi grazie a una capacità che ancora gli riconoscono tutti: in campagna elettorale sposta voti, tanti voti. Una longevità che ha permesso a Berlusconi, insieme al suo carisma e alla sua ricchezza, di non essere rottamato dai suoi. Non ci sono riusciti nemmeno quelli che se ne erano andati dalla corte di Arcore e ora, nell’imminenza del voto, sono tornati col cappello in mano.
E che dire del primo, vero, sfidante di Berlusconi, l’unico in grado di batterlo per due volte alle elezioni? Romano Prodi, 78 anni, rimarrà ancora fuori dal Parlamento. Impegnato nella sua attività di conferenziere, ecco un altro leader che sembrava ormai relegato nei libri di storia. Due esperienze da premier alle spalle, un mandato da presidente della commissione europea, un fallito tentativo di scalata al Quirinale proprio all’inizio di questa legislatura sembravano aver esaurito il ruolo attivo del professore bolognese. Invece è tornato sotto i riflettori nelle stesse settimane in cui Berlusconi ha ricominciato a salire nei sondaggi. Non un ruolo di responsabilità diretta, per Prodi. Che però viene consultato come un oracolo da un centrosinistra che sembra aver perso la rotta. Per provare a rimettere insieme le anime di quello che era stato l’Ulivo, tutti hanno avuto bisogno di una parola del professore. Da Matteo Renzi a Pierluigi Bersani a Giuliano Pisapia. Ma nessuno, alla fine, è riuscito ad arruolare Prodi – che continua però a tessere relazioni – alla sua causa.
Il primo segretario del Pd è fuori da tempo dal Parlamento, ma il suo sostegno pubblico è ambito. Veltroni non si è trasferito in Africa dopo la sconfitta del 2008, come aveva promesso, ma firma libri e film. E interviene nel dibattito politico in maniera chirurgica: i suoi appelli alla responsabilità del centrosinistra sono ormai un genere giornalistico. Che sia la grande riserva da riportare in campo nel 2018?
Nei piani di chi lavora alla sostituzione di Renzi alla guida del Pd – nel caso di una pesante sconfitta alle elezioni di primavera – il nome dell’ex premier resta collegato alla fase di rifondazione del centrosinistra. Insieme a un ruolo (più realistico) di chi è stato il suo vice a Palazzo Chigi nella prima stagione dell’Ulivo: Walter Veltroni. Il primo segretario del Pd è fuori da tempo dal Parlamento, ma il suo sostegno pubblico è ambito. Veltroni non si è trasferito in Africa dopo la sconfitta del 2008, come aveva promesso, ma firma libri e film. E interviene nel dibattito politico in maniera chirurgica: i suoi appelli alla responsabilità del centrosinistra sono ormai un genere giornalistico, con interviste di una pagina al Corriere, Repubblica o in tv da Fabio Fazio ogni qualche settimana. Che sia la grande riserva da riportare in campo nel 2018?
A sinistra del Pd, questo ruolo è stato invece chiaramente rivendicato da Massimo D’Alema, che cinque anni fa aveva deciso di non ricandidarsi alla Camera. Erano tempi difficili, sul Partito Democratico soffiavano i primi venti della rottamazione. Quasi per rivalsa, l’ex premier si era volutamente allontanato dalle vicende politiche nazionali, senza mai nascondere il fastidio per il nuovo clima politico. In questi anni D’Alema si è dedicato soprattutto agli impegni internazionali, a partire dal ruolo di presidente della Foundation for European Studies (Feps), l’organizzazione delle fondazioni dei partiti che aderiscono al Pse. Conclusa la parentesi, si è ripreso la scena nazionale. Negli ultimi mesi l’ex premier è stato protagonista della sofferta scissione dal Pd, dando vita al movimento demoprogressista con Bersani e Speranza e, di recente, al partito di Liberi e Uguali con la leadership di Pietro Grasso. Lontano da Renzi. D’Alema, dopo cinque anni di pausa, sembra volerci mettere la faccia fino in fondo: è pronto a riprendersi il suo seggio in Parlamento, dopo essere stato eletto alla Camera per sette legislature, sempre in Puglia: «Se i miei elettori me lo chiedono, sono pronto a ricandidarmi». Lo farà probabilmente anche un altro ex di lusso, Antonio Bassolino, già sindaco di Napoli e già presidente della Regione Campania, probabile candidato a un seggio proprio per Liberi e Uguali.
Bando alla rottamazione, dunque. Davanti alle liste elettorali che si andranno a completare a gennaio, il nuovismo scopre tutti i suoi limiti. In cinque anni tutto è sembrato cambiare per non cambiare niente. Come spiegare altrimenti il ritorno dell’Udeur?
Tornando sul fronte Pd, intende rientrare in Parlamento anche un altro protagonista degli ultimi anni, l’ex segretario dei Ds e già sindaco di Torino, Piero Fassino. Anche lui, all’inizio della legislatura, sembrava oscurato dalla rottamazione renziana. Ma in questi mesi è stato proprio Renzi a riportarlo al centro della scena, affidandogli l’incarico più complicato: tessere la tela con i possibili alleati di governo per formare una coalizione di centrosinistra sufficientemente ampia. Emissario dei vertici dem, Fassino si è speso in prima persona in un compito quasi proibitivo e, alla fine, largamente insoddisfacente. Perché Pisapia ha deciso di fare un passo indietro, Grasso ha confermato la corsa solitaria e persino i centristi di Alternativa Popolare si sono spaccati. Una battaglia che almeno ha avuto il merito di tenere sul campo Fassino.
Bando alla rottamazione, dunque. Davanti alle liste elettorali che si andranno a completare a gennaio, il nuovismo scopre tutti i suoi limiti. In cinque anni tutto è sembrato cambiare per non cambiare niente. Come spiegare altrimenti il ritorno dell’Udeur? Pochi giorni fa a Napoli l’ex ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ha tenuto a battesimo (con Paolo Cirino Pomicino, un altro ritorno?) la rinascita del suo movimento politico. Quasi una rivincita, quella di Mastella. «Riprendiamo questa storia – ha annunciato – che era stata interrotta attraverso umiliazioni e un po’ di ingiusto cinismo». Insieme all’Udc, all’ombra dello Scudo Crociato, Mastella si schiererà ancora una volta nel centrodestra. Alle elezioni di primavera sarà alleato di Berlusconi, anche se non è ancora chiaro se lui si candiderà in prima persona. Per ora l’ex ministro rimane sindaco di Benevento. Il suo ex alleato Pier Ferdinando Casini, invece, sarà dall’altra parte. Prima alleato ripudiato da Berlusconi, poi sostenitore acceso di Renzi, l’ex presidente della Camera post-democristiano sarà in coalizione col Pd. E punta al suo decimo mandato parlamentare. La sua prima volta alla Camera fu nel 1983: ora è una colonna del disegno elettorale renziano.