Lenticchie, il vero simbolo portafortuna dell’anno che verrà

Il biblico Esaù vendette la primogenitura per averne un piatto. I poeti romani ne celebravano le qualità culinarie e cosmetiche, ma i medici rinascimentali le credevano causa di incubi e malinconia. Per qualcuno porta soldi, per altri è un presagio di morte. Elogio della piccola, gustosa, lenticchia

Se il primo dell’anno vi svegliate di cattivo umore, la causa potrebbe essere il cenone della vigilia. Lo suggeriva già nel XVI secolo l’illustre medico e botanico rinascimentale Castore Durante. «Quelli che usano troppo spesso le lenticchie, cascano ne i mali malinconici». Pubblicato nel 1585, il suo Herbario Novo mette in guardia dal consumo di questi piccoli legumi. Il veglione di San Silvestro è andato in bianco? La spiegazione potrebbe essere ancora una volta nel piatto. Cibarsi di lenticchie, spiega ancora Durante, «estingue gli appetiti venerei e il seme genitale. E per questo è molto conveniente a coloro che vogliono vivere castamente». Tonde, gustose, meglio se accompagnate a un bel cotechino. Oggi auspicio di prosperità economica, solo pochi secoli fa erano guardate con sospetto. Nel 1544 anche Pietro Andrea Mattioli consigliava di evitarne il pasto. Umanista e medico alla corte di Ferdinando I, era letteralmente terrorizzato da questo alimento: «Fanno sognar le Lenticchie cose tremende, e paurose. E sono nocive al capo, ai nervi ed al polmone». Responsabili, nella migliore delle ipotesi, anche di quel fastidioso appesantimento che talvolta si avverte al mattino. «Le Lenticchie usate frequentemente ne’ cibi ingrossano la vista, sono malagevoli da digerire, nuocono allo stomaco, e gonfianlo insiememente colle budella. Mangiate col guscio ristagnano il corpo».

Per fortuna non è stato sempre così. In Italia, e non solo, le lenticchie restano uno dei cibi più antichi e apprezzati. Secoli prima degli schizzinosi erboristi rinascimentali già se ne cibavano i nostri antenati preistorici. Sicuramente erano di largo consumo nell’Egitto dei faraoni. I semi della pianta, ricchi di ferro e proteine, erano amati da greci e romani. Il valore nutritivo delle lenticchie è stato celebrato da Plinio e dal medico ellenico Galeno due secoli prima di Cristo. Persino Apicio, forse il più grande cuoco latino, ne cita alcune varianti. Noto per i suoi banchetti, nel De re coquinaria lo chef dell’antica Roma dispensa alcune interessanti ricette a base di lenticula. Un alimento e non solo. Nella Città Eterna la lenticchia era quasi una mania: se Ovidio ne decanta le qualità cosmetiche per la pelle delle donne, persino Catone il Censore le cita nel suo De agri cultura.

Nel 1544 Pietro Andrea Mattioli, umanista e medico alla corte di Ferdinando I, era letteralmente terrorizzato dalle lenticchie: «Fanno sognar cose tremende, e paurose. E sono nocive al capo, ai nervi ed al polmone». Responsabili, nella migliore delle ipotesi, anche di quel fastidioso appesantimento che talvolta si avverte al mattino. «Le Lenticchie usate frequentemente ne’ cibi ingrossano la vista, sono malagevoli da digerire, nuocono allo stomaco, e gonfianlo insiememente colle budella»

Dio e lenticchie. La storia del piccolo legume tocca da vicino anche la religione. L’obelisco di granito rosso che oggi domina piazza San Pietro è arrivato nella Capitale grazie a migliaia di preziosi semini. Fu l’imperatore Caligola a decidere di trasportare il manufatto marmoreo dalle foci del Nilo a Roma. Era il 37 dopo Cristo. Per assicurare il pesantissimo carico, furono versati nelle stive di una nave appositamente costruita quintali di lenticchie egiziane. Persino l’Antico Testamento dedica un passaggio a questo alimento. «Una volta – recita la Genesi – Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie. Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: “Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito”». Un pasto frugale, ma costosissimo. Tanto che in cambio del piatto Giacobbe riuscì a ottenere il diritto di primogenitura. L’episodio sacro ha colpito anche Pellegrino Artusi, forse il più noto gastronomo italiano. Nel suo celebre manuale di cucina, pubblicato nel 1891, l’autore ricorda la biblica minestra. «Se Esaù vendè la primogenitura per un piatto di lenticchie – si legge – bisogna dire che il loro uso, come alimento, è antichissimo, e che egli o n’era ghiotto all’eccesso o soffriva di bulimia». Artusi non nasconde il suo gusto per questi legumi. «A me – scrive ancora – sembra che il sapore delle lenticchie sia più delicato di quello dei fagiuoli in genere e che, quanto a minaccia di bombardite, esse sieno meno pericolose dei fagiuoli comuni».

Verdi, rosa, corallo, marroni. Piccole e grandi. Le coltivazioni italiane contano decine di eccellenze. Dop e presidi slow food tutelano i prodotti di Castelluccio di Norcia e le piccole e saporite lenticchie di Santo Stefano di Sessanio. Tra le più apprezzate si ricordano quelle di Onano, che in passato venivano consumate direttamente alla corte papale, e le gialle di Altamura. Da Colfiorito a Ventotene, la tradizione non è però soltanto nostra. La pianta è in genere coltivata in tutto il pianeta, secondo le stime della Fao se ne producono 5 milioni di tonnellate l’anno. Soprattutto in India, Canada e Turchia. Intanto la lenticchia è entrata di diritto nel nostra cultura. Oggi simbolo di prosperità e denaro, è diventata un alimento obbligato del cenone di San Silvestro. Magari accompagnata da zampone o cotechino, a seconda della tradizione locale. Altrove, chissà perché, le piccole leguminose sono un segno nefasto. In alcune culture sono simbolo del lutto. Nel II secolo lo stesso Artemidoro le inserì nella sua opera sull’interpretazione dei sogni, attribuendone un presagio funereo. Paradossi leguminosi. Se la somiglianza con le monete ne garantisce l’attuale fortuna, nei secoli scorsi le lenticchie erano metafora di povertà. Cibo nutriente, ma umile. Bandito dalle tavole più nobili nell’Italia medievale, largamente consumato nelle mense popolari. Così ricco di ferro da essere considerato il principale sostituto della carne. Alla faccia di chi, ancora oggi, considera sconveniente vendersi per un piatto di lenticchie.

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