Non avete capito nulla: Spelacchio è il vero simbolo del Natale

Ha un profilo Twitter, la gente si ferma per fare i selfie con lui, fa un po' ridere e un po' pena. Ma soprattutto è povero e ci fa sentire tutti migliori: non è questo lo spirito del Natale, in fondo?

Siamo sotto Natale. È brutto, spennato, storto, triste, parla in romanesco anche se è nato in val vattelappesca e non vi viene voglia di adottarlo? Diamine, siete senza cuore. Com’è? Non è abbastanza cool da farvi fare bella figura sui vostri profili? Non ha passato la prova selfie? Siete dei materialisti.

Vi piace tanto l’arte povera, e lui, Spelacchio (è il suo nome), è molto meglio di Pino Pascali. Deal with it. Pure molto meglio di Ha Schult e dei suoi manichini trash a Piazza del Popolo. Allora c’era Veltroni, che poteva trasformare i soldi in monnezza. La Raggi ha solo Spelacchio, che rende la piazza meno kolossal, che indigna i passanti con poca immaginazione, che non è cacca di piccione è solo resina che cade sul tuo impermeabile nuovo, che è il più brutto fra gli alberi brutti.

Spelacchio non sarà un Adone ma è molto simpatico, fa muovere le dita dei suoi follower su Twitter (ha più follower che rami) a suon di battute tipo “800 palle e 4mila m di luci. Mo c’ho un dolore de schiena co tutte ‘ste cazzo de palle”. Lo fanno parlare, s’immedesimano, tutti vogliono parlare come lui. Spelacchio risponde a Enrico Letta che lo critica “Grazie Enrico. Ma io sto sereno”.

Anche se è brutto. Che poi non è nemmeno vero. Non è così brutto, di notte. Siete troppo abituati a denigrare per accorgervi della sua bellezza (non interiore). I bimbi lo guardano sognanti, ci giocano e si vogliono fare le foto con lui. Loro sì che sono i veri paggetti del natale, vedono una cosa che brilla, anche piccina, e s’incantano, con o senza “oh”. Dovete guardare meglio. Lo spirito natalizio ve lo impone, anche se odiate la sindaca. Quell’alberello che di giorno sembra un pulcino bagnato, appena calano le tenebre, si trasforma in un cigno abbordabile. La mattina dopo rimani deluso ma tanto chissene del giorno. Cosa vi lamentate a fare?

Vi piace tanto l’arte povera, e lui, Spelacchio (è il suo nome), è molto meglio di Pino Pascali. Deal with it. Pure molto meglio di Ha Schult e dei suoi manichini trash a Piazza del Popolo

Le luci romane sono come tutto il resto. Sciatte e decadenti. Roma è coerente. Non c’è un cine-panettone ambientato a Roma. Non è Cortina o NY, il gotha degli addobbi opulenti, né un luogo abbastanza tropicale alla Miami. E non ha l’ansia di strafare come Milano, il figlioccio viziato e intraprendente d’Italia. E giù uno scroll di paragoni con gli alberi milanesi che urlano CIAO POVERI pieni di luci come se stessero per scoppiare con Michael Bublè in sottofondo.

Spelacchio se ne sta lì, spiantato, davanti all’altare della Patria, come fa il ditone di Cattelan in piazza Affari a Milano. Il ditone demistifica la Borsa, lui demistifica la Patria, ma senza boria d’artista e d’autore. Flaiano diceva che l’insulto più grave a Roma è “sei un fanatico”. Ecco, Spelacchio, se incontrasse il Ditone, gli direbbe “sei ‘n fanatico”.

“Milano si accorda con i privati. Roma paga coi soldi nostri (quasi 50mila euro) un albero che ci fa fare brutta figura con i turisti e che ci deprime ancora di più”, tuonano i progressisti di Roma fa schifo. Che cari, si deprimono. Sia mai. I re magi vi disprezzano. Di base l’albero sfigato a Roma ci sta tutto. C’ha i soldi, ma è sfigato.

Spelacchio s’intona perfettamente, randagio, spiantato. È lì per farti sentire apposto con la coscienza se hai comprato addobbi sottocosto

Cosa ve la prendete con lui, con il povero cristo degli alberi di Natale, che pare abbia perso i rami durante il viaggio? State perpetuando la logica del capro espiatorio, cari criticoni; persecuzione e sacrificio, e il sacrificato è lui, lo spiantato, Spelacchio. Rudolph la renna piange e prega per voi.

“Semplice e raffinato”, dice la Raggi con voce dimessa. Avrebbe potuto dire “povero e malnutrito” con una lacrimuccia, avrebbe incarnato meglio lo spirito natalizio d’antan un po’ neorealista, un po’ decrescita infelice. “A Natale impera lo spreco, noi ci opponiamo alla dominazione capitalista”, avrebbe potuto dire. “No luci. Solo opere di bene”. Ma niente. O “Facciamo fare le palline ai bambini negli orfanotrofi”. Nemmeno. L’atmosfera natalizia è di per sé carica, ed è pure un po’ malinconica, sullo sfondo, di quella malinconia che ti fa venire voglia di stare in famiglia. Spelacchio s’intona perfettamente, randagio, spiantato. È lì per farti sentire apposto con la coscienza se hai comprato addobbi sottocosto: ti lascia pensare che il tuo albero è meglio, che le tue luci sono più luminose. Che le tue palline sono più pallinose.

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