Parlamento, ultima chiamata per la cannabis terapeutica

Al Senato resta poco tempo per votare il provvedimento sull’uso medico della cannabis. Un diritto non sempre riconosciuto. Da mesi i farmaci sono introvabili e i pazienti devono interrompere le terapie. Nel decreto fiscale alcune norme per aumentare la produzione e le importazioni

Ultima chiamata. La legislatura sta per terminare e tra i tanti provvedimenti che rischiano di finire su un binario morto c’è anche la legge sulla cannabis terapeutica. La storia è nota. Dopo un lunga battaglia culturale, qualche tempo fa è stata presentata a Montecitorio una radicale riforma mirata alla legalizzazione della cannabis. Risultato del lavoro di un fronte politico trasversale, ma anche dell’impegno di decine di migliaia di cittadini che hanno sottoscritto una apposita proposta di legge popolare. Di quella norma, tuttavia, è rimasto ben poco. La scorsa estate le commissioni competenti hanno deciso di eliminare gran parte del testo. Approvate e trasmesse al Senato, oggi restano in vita solo le norme sulla cannabis terapeutica. Una legge di civiltà, seppure molto parziale rispetto al progetto originario.

Per sensibilizzare i senatori e l’opinione pubblica, un gruppo di pazienti, insieme a medici, farmacisti e le associazioni che da sempre combattono questa battaglia, si sono dati appuntamento a Palazzo Madama per chiedere l’approvazione del provvedimento. «Una, pur timida, messa a regime della regolamentazione nazionale sulla cannabis terapeutica». La questione non è secondaria. Nonostante i limiti, il testo sancisce nel nostro ordinamento il diritto dei pazienti di accedere a queste terapie. Rendendo chiaro e uniforme un sistema che dal 2007 si fonda principalmente su decreti ministeriali. «Sarebbe davvero triste e ipocrita che questo Parlamento terminasse la legislatura senza aver condotto in porto nemmeno queste poche norme di civiltà giuridica e libertà terapeutica», spiega Stefano Anastasia, presidente della Società della Ragione.

In Italia è legale curarsi con la cannabis terapeutica, ma molto spesso è impossibile vedere riconosciuto questo diritto. Costi elevati, burocrazia, medici poco informati e difficoltà a ottenere le prescrizioni rendono quasi impossibile il percorso. Senza dimenticare il grande problema della disponibilità: ormai i farmaci scarseggiano ovunque

Alessandro Raudino è malato di sclerosi multipla da tredici anni anni. Da quasi cinque anche lui si cura, tra tante difficoltà, con la cannabis. È arrivato a Roma dalla Sicilia per chiedere il riconoscimento di un diritto «troppe volte calpestato dall’ignoranza e dall’indifferenza tipiche del nostro paese». Nella sua esperienza, alla fine ha trovato una soluzione prendendo esempio dai cannabis social club spagnoli: «Dopo aver realizzato quanto il percorso burocratico per l’ottenimento di prescrizione e del prodotto fosse lungo e dispendioso, ho deciso di autoprodurre le mie infiorescenze». Affetto dalla stessa stessa malattia, Andrea Triscioglio a Palazzo Madama porta direttamente un pianta. «Da attento osservatore di tutte le battaglie antiproibizioniste nel mondo – racconta – noto che vengono sempre vinte quando i malati scendono in campo. E allora eccoci!».

Al centro delle critiche di molti finisce il sistema attuale. Se è vero che in Italia è legale curarsi con la cannabis terapeutica, molto spesso è impossibile vedere riconosciuto questo diritto. Costi elevati, burocrazia, medici poco informati e difficoltà a farsi prescrivere i farmaci rendono questo percorso quasi precluso. Senza dimenticare il grande problema della disponibilità. Ormai la cannabis terapeutica scarseggia ovunque. I pazienti, sempre più numerosi, raccontano i dati di una vera e propria emergenza: dalla scorsa primavera nelle poche farmacie che trattano questo medicinale le disponibilità sono diminuite fino a scomparire. «La cronica e continua carenza di cannabis medica – racconta Marco Ternelli, farmacista – ha portato a discontinuità e interruzione delle somministrazioni. Causando la perdita parziale, o più spesso completa, di tutti i benefici pregressi raggiunti dal paziente».

Dietro la norma sulla cannabis terapeutica c’è una battaglia più ampia, culturale. Si propone di investire nella ricerca, avviare trials clinici per documentare anche in Italia gli effetti terapeutici della pianta. Magari consentendo a soggetti privati di aumentare l’offerta legale di cannabinoidi per far fronte alla crescente domanda

Per ovviare al problema, alcune delle disposizioni della legge sulla cannabis terapeutica sono state inserite, con appositi emendamenti, nel decreto fiscale al voto della Camera. Si tratta, in particolare, di uno stanziamento di 2,3 milioni di euro destinato ad aumentare la produzione dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze – istituto che oggi si occupa della produzione nazionale di infiorescenze di cannabis – e importare dall’estero nuovi quantitativi di cannabis per uso medico, «anche al fine di garantire la continuità terapeutica dei pazienti già in trattamento».

Intanto a Palazzo Madama il tempo a disposizione è sempre meno. L’ex senatore Marco Perduca, in rappresentanza dell’associazione Luca Coscioni, chiede di trovare i giorni necessari per approvare la legge. Ma non solo. Dietro la norma sulla cannabis terapeutica c’è una battaglia più ampia, culturale. Il radicale propone di investire nella ricerca, avviare trials clinici per documentare anche in Italia gli effetti terapeutici della pianta. Magari consentendo a soggetti privati di aumentare l’offerta legale di cannabinoidi per far fronte alla crescente domanda. Del resto, raccontano i presenti, questo disegno di legge rappresenta un piccolo passo avanti. Ma non è ancora sufficiente. Per la legalizzazione della cannabis se in riparlerà la prossima legislatura, forse.

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