La storia la scrivono i vincitori: quante volte ho sentito ripetere questa frase dagli amici (ex-amici?) miei. La destra il complesso della storia scritta “dagli altri” lo ha coltivato sempre come un totem. Ed ecco qui che questa stessa destra, avendo cambiato lato del tavolo, o immaginando di averlo cambiato, e trovandosi seduta in senso lato dalla parte dei vincitori, ne ha interiorizzato ogni pratica fino al punto di riscrivere la sua storia – anzi il capitolo più doloroso ed estremo della sua storia recente – secondo i consigli dell’opportunità.
Caro direttore, ti scrivo e ti mando questo articolo per questione personale, o anche – se si può dire – per questione viscerale. Riguarda il quarantennale di Acca Larentia. Riguarda la riabilitazione, a destra, della controversa figura del capitano dei carabinieri Eduardo Sivori e l’adesione implicita del giornale a cui fa riferimento la destra post-missina di oggi, “Il Tempo”, alla fantasiosa ipotesi che l’ultima vittima della strage del 7 gennaio 1978 (Stefano Recchioni) sia stata uccisa dal fuoco di provocatori rossi infiltratisi alle spalle dei ragazzi di destra accorsi sul luogo dei precedenti due omicidi per provocare una frattura tra il mondo della destra e le forze dell’ordine. Insomma, le Br o chi per loro, dopo aver steso Francesco Ciavatta e Franco Bigonzetti, due ore dopo, sarebbero tornate sul luogo del delitto, avrebbero preso posizione alle spalle dei dimostranti del Msi e avrebbero sparato prima sui carabinieri per suscitarne la reazione e poi sulla folla, prendendo Recchioni in fronte.
La riscrittura della storia della destra ad opera della destra (di quel che mi rimane) è un fenomeno che mi incuriosisce. Si vede agire da tempo
Ora, la vicenda in senso tecnico mi interessa relativamente. Non sapremo mai la verità (anche se io ho le mie convinzioni). Mi interessa la larga audience che in due edizioni successive “Il Tempo” ha dato alle parole di Sivori, con la collaborazione di Valerio Cutunilli (autore di un libro molto letto sulla strage) e il silenzio accondiscendente delle molte firme di destra che ruotano intorno a quel giornale. Firme importanti, a cominciare da Marcello Veneziani, ma anche firme “politiche” giacchè il quotidiano ospita spesso interventi di Giorgia Meloni, Francesco Storace, Gianni Alemanno e altri esponenti della destra romana “storica”. Silenzio condiviso anche dal mondo dell’estremismo, che pure ha animato una grande manifestazione in occasione del quarantennale (a proposito: quanta differenza tra la destra giovanile dei tempi di Acca Larentia, variopinta, spesso coi capelli lunghi e il tascapane, disordinata e psicologicamente ostile a ogni allineamento, e quel corteo in nero dal piglio militaresco).
La riscrittura della storia della destra ad opera della destra (di quel che mi rimane) è un fenomeno che mi incuriosisce. Si vede agire da tempo. Si è visto in occasione dell’ultimo anniversario dei Campi Hobbit, quando la celebrazione di quella esperienza creativa ed eretica è stata trasformata nel racconto di una cosa che non è mai esistita: un raduno di “duri e puri” ispirati da rivendicazioni neofasciste. Si è vista nella mostra che la Fondazione An ha dedicato ai 70 anni del Msi, con la materiale eliminazione della figura di Beppe Niccolai, peraltro autore di una celebrata relazione di minoranza in Commissione Antimafia, anch’essa espunta dal racconto. Si vede ogni volta che muore un “grande vecchio”: l’ultimo, Tommaso Staiti, trasformato in stereotipo dandy per sovrapporre la figurina del Gastone alle cose durissime che disse prima sull’almirantismo e poi su Berlusconi (per non parlare del suo acerrimo nemico, La Russa).
Idioti, tutti noi, che abbiamo visto un carabiniere sparare più volte, e Stefano Recchioni cadere, e invece di credere alla perizia balistica che scagionò Sivori, e alla ricostruzione del giudice istruttore Guido Catenacci che lo assolse senza nemmeno mandarlo a processo avvalorando l’idea di fantomatici pistoleri mai identificati, e alle versioni di Francesco Cossiga in Parlamento, e a tutte le rassicurazioni dello Stato – “noi non spariamo sui manifestanti” – ci siamo fatti questo film del ragazzo ammazzato da chi avrebbe dovuto difenderlo
Con questa vicenda di Acca Larentia la falsificazione tocca un episodio più grande e simbolicamente assai più potente di ogni altra cosa, nonché quello che ha avuto le conseguenze più significative per la mia generazione. Dopo essersi mangiati la storia di An, marginalizzata e ridotta a parentesi per seppellire Gianfranco Fini, si divora quella del Msi, e in particolare del mondo giovanile del Msi. Idioti, tutti noi, che abbiamo visto un carabiniere sparare più volte, e Stefano Recchioni cadere, e invece di credere alla perizia balistica che scagionò Sivori, e alla ricostruzione del giudice istruttore Guido Catenacci che lo assolse senza nemmeno mandarlo a processo avvalorando l’idea di fantomatici pistoleri mai identificati, e alle versioni di Francesco Cossiga in Parlamento, e a tutte le rassicurazioni dello Stato – “noi non spariamo sui manifestanti” – ci siamo fatti questo film del ragazzo ammazzato da chi avrebbe dovuto difenderlo. Idiota Giorgio Almirante, idiota Pino Romualdi, il solo sul luogo dei fatti subito dopo l’accaduto. Idiota Pino Rauti, idioti tutti quelli che si giocarono relazioni all’epoca piuttosto buone con le forze dell’ordine denunciando i depistaggi su Recchioni (qualcuno gli mise addirittura proiettili in tasca e, da moribondo, fu indagato per questo), raccogliendo testimonianze sulle responsabilità degli agenti, chiedendo verità.
La scarnificazione della storia degli anni ’70 e ’80 e la sua riduzione a salotto dove la destra di oggi si può accomodare riscrivendo la storia di ieri a misura dei suoi interessi (nella fattispecie l’attenzione agli elettori in divisa e la loro difesa ad oltranza) è un argomento che, forse, appassiona solo alcuni di questi vecchi idioti. Io sono tra quelli, magari ce n’è qualcun altro che troverà questa vicenda interessante.