(Auto)biografia e cristianesimo con Carrère e Chester Brown

«Il cammino che in passato ho compiuto da credente, lo compirò oggi da romanziere? Da storico? Non lo so ancora, non voglio dare una risposta netta, non penso che l’etichetta conti poi molto. Diciamo da investigatore»

Il cammino che in passato ho compiuto da credente, lo compirò oggi da romanziere? Da storico?
Non lo so ancora, non voglio dare una risposta netta, non penso che l’etichetta conti poi molto. Diciamo da investigatore.

Dalla Francia di Raymond Queneau ci si sposta nel panorama letterario contemporaneo per parlare de Il Regno di Emmanuel Carrère, pubblicato in terra francofona nel 2014 dalla stessa Gallimard de I Fiori blu.

Il manoscritto è un ibrido tra autobiografia e non-fiction, che ripercorre i primi anni novanta dello scrittore di Limonov e de L’avversario, al tempo fervente cattolico praticante.

Il romanziere d’oltralpe parte dal 2011, anno in cui stava lavorando alla serie tv Les Revenants (grazie alla quale ottenne un Emmy per la Miglior Serie Drammatica, ndr), coinvolto nel pieno di una crisi creativa perché incapace di scrivere romanzi.

Da qui nasce lo spunto, la riflessione e l’indagine che compie sulla nascita del cristianesimo, una corrente religiosa che allo scrittore risulterà essere la migliore lente d’ingrandimento; utile per tirare le somme sulla sua carriera da giornalista d’inchiesta e per mettere a fuoco le vite di San Paolo e San Luca, fino a misurarsi con il cattolicesimo, un “confine tra spiritualità, religiosità e kitsch”, per definirla con le sue stesse parole.

Con gli anni si ritroverà in conflitto con se stesso, privo della fede cieca che lo illuminava di giorno in giorno. Emmanuel Carrère ne esce con una fortissima biografia, spietata e divertente come aveva saputo imbastire con il manoscritto sul celebre dissidente e leader politico russo, e con una appassionante componente narrativa che vede protagonisti gli Atti degli Apostoli e le lettere di San Paolo ai Corinzi; che a detta sua ogni vero narratore contemporaneo dovrebbe confrontarsi con le sacre scritture.

Una tematica, quella religiosa, che nel fumetto è stata toccata più volte negli ultimi decenni: anche il neofita saprebbe puntare subito il dito su quella che è una delle più incensate da critica e pubblico, trattasi proprio del Blankets di Craig Thompson.

Canada. Primi anni Ottanta. Chester Brown comincia a ricevere le lodi per le storie pubblicate dalla rivista autoprodotta Yummy fur, edita poco dopo da Vortex Comics; un punto di riferimento per la scena indie del fumetto canadese, durato fino alla sua chiusura avvenuta nel 1994.

Il fumettista si fa apprezzare per le versioni a fumetti del Vangelo e per le oniriche storie di Ed the happy clown (dal tratto che più si avvicina al Popeye di Segar). Già qualche decennio prima era solito affrontare argomenti cristiani.

La storia editoriale nostrana prende piede un decennio dopo con il prezioso recupero da parte di Black Velvet, fondata da Luca Bernardi e da Omar Martini, dei nomi del fumetto undergorund quali Joe Matt, Jason, Dylan Horrocks (lo stesso di Hicksville e Sam Zabel: la penna magica, ndr) e appunto Chester Brown. All’occasione Omar Martini si impegna nella traduzione di molte di queste opere; da capo produzione di Coconino Press, chiamato alla corte di Igort, unisce le forze della sua casa editrice con quella storica del gruppo Fandango.

Il volume che istantaneamente cattura l’attenzione dei lettori italiani è Louis Riel, una biografia sul personaggio che guidò nel XIX secolo il popolo Mètis (discendente da matrimoni tra nativi americani e inglesi, franco-canadesi e scozzesi, ndr) alla conquista dei diritti umani e sociali, da sempre considerato come un forte personaggio folkloristico ed eroe della storia canadese.

Il quadro che ne fa Chester Brown è sì quello storico, circa la relazione antagonista con il governo centrale britannico, ma tralascia particolari asciugandone la prosa e servendone dunque un romanzo storico appassionante, se non accessibile a chi di storia americana non ne è avvezzo masticarne. La mano richiama lontanamente l’Hergè di Tintin, ma come ammette Brown nella prefazione al volume si lascia guidare dalle figure di Little Orphan Annie di Harold Gray. La vicenda ripercorre i vent’anni in cui Louis, fondatore della provincia di Manitoba, condusse la sua lotta ai diritti Mètis che il governo centrale e le autorità canadesi non volevano conferirgli.

L’abilità di Brown da narratore è encomiabile, con uno sguardo poco documentaristico ma da mero romanziere di razza riesce a passare dalle trincee alle vere e proprie battaglie diplomatiche che si tengono negli uffici; alternate ai momenti in cui il dialogo è tiratissimo o assente del tutto. I silenzi gestiti di vignetta in vignetta ne attestano tutta la maestria.
Si giunge al finale con una nozione storica ricca, veicolata da un racconto che ha i toni della fiction, nelle duecentocinquanta pagine non ne risente l’arco temporale.

A fine volume sono presenti delle folte annotazioni che servono per inquadrare personaggi storici ed eventi veramente accaduti nelle due decadi di storia. Un modus operandi che sarà ricorrente quanto maniacale nelle opere che verranno disquisite più avanti.

Da questa ricostruzione ne emerge un umanissimo Riel, impegnato a combattere anche durante il suo esilio negli Stati Uniti, una tenacia tipica di chi ha la fede incrollabile: non a caso il portavoce del popolo Mètis è di religione cattolica; nel bel mezzo del climax finale si millanta come il profeta che guiderà la sua gente alla salvezza; come è evidente nelle scene di preghiera durante i bombardamenti finali.

A consacrare il nome di Chester Brown è l’opus magnum Io le pago – memorie a fumetti di un cliente di prositute. Moltissimi autori dalla incommensurabile rilevanza – quali Alan Moore, Neil Gaiman e Robert Crumb (che si presta per una cerimoniosa introduzione al volume, ndr) – si esprimono con panegirici che lo incasellano definitivamente come uno dei più grandi autori di graphic novel di sempre. La motivazione risiede nell’esperienza da cliente di prostitute (ora con una donna soltanto e da quattordici anni) e nel racconto sincero da autore.

Ogni capitolo è intitolato con il nome fittizio – a mo’ di censura – di una prostituta con cui intrattiene un amplesso a pagamento. Chester, Chet chiamato dagli amici fumettisti, tra i vari anche il Joe Matt – a cui è dedicata l’opera – sente che il rapporto con Sook-Yin sta per incrinarsi, ma non se la prende più di tanto, vuoi per la situazione, vuoi per l’apertura mentale.

Il fumettista è costretto ad ammettere che la relazione non sta andando come dovrebbe. Sook-Yin confessa apertamente al partner che in casa si trasferirà il suo nuovo compagno; Chet neanche si pone problemi e arrabbiature, e decide di colmare il vuoto, prima sessuale e poi sentimentale, pagando qualche prostituta per degli incontri fugaci.

Le figure diventano sempre più stilizzate rispetto a Louis Riel, in lavorazione nel periodo che copre il graphic novel (1999-2003, mostrato anche a una delle prostitute, ndr). I balloon coprono volontariamente i volti delle ragazze che esercitano la professione nei bordelli, atti a non svelarne l’identità. Il tratto è ispessito a differenza della linea chiara adottata in Louis Riel.

Chester Brown rimane impassibile in ogni pagina, neanche una smorfia riesce a solcare il volto, neanche lo si assiste con un sopracciglio alzato con il procedere della narrazione. Io le pago è un lavoro atipico nell’universo del fumetto, medium che acquisisce una connotazione letteraria grazie ad una autobiografia costruttiva e onesta, con al centro un argomento delicato quale è quello della prostituzione legalizzata. Ne fa anche uno strumento d’invettiva contro l’opinione pubblica, il cui giudizio è inquinato dalle istituzioni religiose e politiche.

L’autore si dimostra chiaramente a favore della prostituzione, denunciando le istituzioni che non vogliono proprio sapere di occuparsene e di prendere posizione se non con delle norme restrittive e “infilandosi nel letto dei cittadini” (cit.).
Brown scansa l’ideale romantico della vita di coppia per affermare che la felicità è raggiungibile anche e solamente nei rapporti sessuali.

Tesi e critiche vengono ampliate nelle imponenti appendici e nelle annotazioni, sempre utili per porre lo sguardo sui contesti storici e i personaggi tirati in causa nel racconto.

Prostituzione e Cristianesimo confluiscono nell’ultima opera Maria pianse sui piedi di Gesù, pubblicata in Italia da Bao Publishing nel 2017.

Se Carrère ambienta parte dell’opera a Corinto, dalle radici del Cristianesimo raccontate nel Nuovo Testamento, Brown esamina il ruolo dell’obbedienza religiosa nell’Antico Testamento, su tutte la storia di Caino e Abele. Con la conclusione ambientata nella Parabola del figliol prodigo.

Nella storia Maria, madre di Gesù viene avanzata l’ipotesi che Maria si fosse prostituita con il fine di restare ingravidata e di dare poi alla luce il figlio di Dio, suggerita da tempo dalla genealogia di Matteo. Questa ne è la principale ispirazione dell’opera, ma ad ampliarne il senso e l’intento sono le storie di Rahab, Tamar e Rut.

Il formato del tomo è tipico di quello dei breviari antichi, con il dorso telato. All’interno non mancano le solite considerazioni sparse sulle vicende narrate, in più una lunga postfazione che arricchisce il tutto.

Ci siamo lasciati alle spalle le festività natalizie, ora sarebbe l’ideale fare incetta della produzione dell’autore franco-canadese e studiarsele per bene, appassionandosi poi alla materia da lui trattata nel corso degli ultimi trent’anni.

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