Ora che tutti ne hanno celebrato la morte definitiva lasciatemi declamare le lodi di un oggetto che mi ha tenuto compagnia per una lunga parte della mia vita e a cui va reso l’onore che merita. Il sacchetto di plastica. Lo shopper, come dicevano le signore metropolitane. Quello di plastica non degradabile, grande, con due manici come si deve. Resistente, durevole, infinitamente riusabile. Quindi perfettamente ecologico.
Ci mettevo i libri quando andavo all’università, le cose per la palestra, il costume e l’asciugamano per la piscina. Ci avvolgevo le scarpe prima di metterle in valigia. Qualche volta persino il bagaglio di piccoli viaggi. Nei traslochi la faceva da padrone. Era pure impermeabile e a noi abitanti di un’ Italia più povera sembrava un oggetto utilissimo. Finiva normalmente la sua corsa come contenitore di rifiuti, pronto per essere usato, per l’ultima volta, come combustibile in un buon impianto di recupero di energia, con tutte le calorie che mamma petrolio gli aveva donato alla nascita. Un esempio perfetto di economia circolare.
È morto e la condanna è stata firmata dalla nostra maleducazione. Lui non c’entra niente. Chiedeva di essere usato come si deve e invece lo abbiamo abbandonato ai bordi delle strade, sui rami degli alberi, a galleggiare nei mari e negli oceani, cibo indesiderato per cetacei.
Quello di plastica non degradabile, grande, con due manici come si deve. Resistente, durevole, infinitamente riusabile. Quindi perfettamente ecologico
Meritiamo la pena del taglione. Che d’ora in avanti tutto sia biodegradabile. Le nostre auto, le nostre case, i nostri vestiti. Torniamo alla natura. Nudi come essa ci ha fatto. Vediamo come ce la caviamo.