Il Parlamento approva la missione: presto i primi militari italiani in Niger

Via libera di Montecitorio alle missioni internazionali. Stavolta l’Italia guarda all’Africa. Fa discutere il nuovo fronte in Niger: qui 470 soldati opereranno sulle rotte di trafficanti di uomini e terroristi. Forza Italia vota sì, la Lega si astiene. Contrari 5 Stelle e Liberi e Uguali

«Da Afghanistan a Iraq, da Libano a Kossovo, da Libia a Niger le forze armate e la cooperazione italiana lavorano per pace, sviluppo e stabilità contro terrorismo e traffico di esseri umani». La Camera dei deputati ha appena votato la risoluzione di maggioranza e il premier Paolo Gentiloni commenta così il via libera al decreto sulle missioni internazionali. Si chiude in poche ore il rapido iter parlamentare – per l’occasione l’aula di Montecitorio è stata convocata nonostante lo scioglimento delle Camere – che segue le deliberazioni adottate dal Consiglio dei ministri poco dopo Natale. Confermate le missioni già in corso, l’Italia avvia nuovi interventi militari. È il caso del discusso impegno in Niger, che vedrà l’impiego di quasi 500 soldati lungo le rotte battute da trafficanti di migranti, ma anche di armi e droga. Nessuna sorpresa sull’esito del voto. Come già accaduto al Senato, in favore del documento si è saldato un ampio fronte parlamentare dal Pd a Forza Italia e Fratelli d’Italia. Contrari solo Cinque Stelle e Liberi e Uguali. Mentre si è astenuta la Lega, che ha polemicamente commentato gli impegni assunti dal governo: «C’è una dispersione enorme delle professionalità dei militari e delle istituzioni che mandiamo in giro per il mondo – così l’intervento in Aula del deputato Gianluca Pini – senza che questo porti risultati diretti all’interesse nazionale».

Da subito saranno impiegati 120 militari in Niger. Ma il contingente crescerà fino a 470 uomini. «La messa in sicurezza di quell’area contro il terrorismo e il contrasto alle reti criminali che gestiscono l’immigrazione clandestina – spiega la ministra della Difesa Pinotti – è di interesse fondamentale per il nostro paese»

Al centro del dibattito resta la nuova missione. Un impegno che racconta bene le nuove strategie geopolitiche del nostro Paese. Mentre si alleggerisce la presenza italiana in Afghanistan e Iraq, l’impiego dei nostri militari si concentra nella zona attorno al Mediterraneo e nel continente africano. «Quella che sta per partire in Niger non è una missione combat, ma di addestramento e per il controllo dei confini che si coordinerà con i francesi e gli americani» ha confermato l’altro giorno la ministra della Difesa Roberta Pinotti. Da subito saranno impegnati 120 militari, che nel giro di qualche tempo arriveranno fino a 470. Non solo uomini, però. La missione vedrà l’impiego di 130 mezzi terrestri e 2 aerei, per un costo totale di circa 30 milioni di euro per i primi sei mesi. Nessun pattugliamento diretto delle frontiere. Piuttosto, come è stato concordato, gli italiani avranno il compito di fornire un supporto, soprattutto dal punto di vista dell’addestramento, ai militari dello stato africano. Questo non mette ovviamente al riparo da eventuali pericoli: dopotutto l’area di intervento – tra Niger, Mauritania, Nigeria e Benin – resta una zona geografica delicata, interessata direttamente da flussi migratori e di traffici illeciti, spesso gestiti direttamente dalle locali milizie jihadiste. «La messa in sicurezza di quell’area contro il terrorismo e il contrasto alle reti criminali che gestiscono l’immigrazione clandestina – spiega la titolare della Difesa – è di interesse fondamentale per il nostro paese».

L’Italia guarda dall’altra parte del Mediterraneo. Aumenta leggermente anche il nostro impegno in Libia. Nello Stato nordafricano saranno impegnati altri 400 militari, insieme a 130 tra mezzi navali, aerei e terrestri. L’obiettivo della missione è fornire supporto e addestramento alle forze di sicurezza locali per ottenere una maggior capacità di controllo del territorio. Un impegno, quello italiano, che interesserà una spesa di 35 milioni di euro fino al 30 settembre. E poi c’è il contingente di 60 uomini impiegato in Tunisia. Stavolta si tratta di una missione Nato dedicata allo sviluppo delle capacità interforze delle Forze Armate tunisine, in particolare per il controllo delle frontiere e delle minacce terroristiche. Africa e non solo, però. In totale sono trentuno le missioni approvate dal Parlamento, che vedranno schierati 6.690 militari. Per una spesa di 1,5 miliardi di euro.

L’impegno in Niger racconta bene le nuove strategie geopolitiche del nostro Paese. Mentre si alleggerisce la presenza italiana in Afghanistan e Iraq, l’impiego dei nostri militari si concentra nella zona attorno al Mediterraneo e nel continente africano

Intanto si apre il confronto politico. Al momento del voto il centrodestra sceglie strade diverse. Se la Lega si astiene, Forza Italia e Fratelli d’Italia approvano la risoluzione di maggioranza, pur senza nascondere le critiche per alcune scelte del governo Gentiloni. «Quando si tratta della sicurezza del Paese non abbiamo mai fatto mancare il nostro appoggio all’Italia» spiega il capogruppo berlusconiano Renato Brunetta. Il centrodestra saluta positivamente l’impiego in Niger e Libia, almeno per quanto riguarda il controllo dei flussi migratori che dal Nordafrica giungono in Italia. Giorgia Meloni però precisa: «Vigileremo affinché sia questo il compito dei nostri soldati, non quello di difendere gli interessi della Francia in Niger». Tra i contrari, oltre i Cinque Stelle, la sinistra di Liberi e Uguali. A Montecitorio è il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni a motivare la posizione. «Dietro questa scelta del governo – le sue parole – si cela la vocazione del nostro Paese, sempre più spiccata, a trasformarsi nel gendarme d’Europa, in un Paese che utilizza i propri strumenti militari per fermare i migranti, per respingere i migranti, per riconsegnare i migranti alla condizione perenne di barbarie e di violazione dei diritti umani a cui, come sappiamo, sono sottoposti oggi sulle coste libiche o in molti Paesi africani dai quali cercano di fuggire». E così anche l’ultimo voto della legislatura – a scanso di imprevisti – diventa l’occasione per marcare le distanze dal Partito democratico.

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