Quantunque vi sforziate di essere morali, il mondo non è un posto per chi non ha peli sullo stomaco
di Matteo Fais
Sappiamo bene cosa accadrà dopo le prossime elezioni: cambierà tutto per non cambiare niente. Sicché, inutile anche starle ad ascoltare le promesse farlocche dell’uno o dell’altro contendente. Incidentalmente, comunque, qualcosa arriva sempre all’orecchio. Una delle poche a farmi dolcemente fantasticare è quella che propone di riaprire le cosiddette case di tolleranza, “bordelli” per gli amici. Ci credo poco. Più probabile che istituiscano per davvero il reddito di cittadinanza, che ripristinino l’articolo 18, aboliscano il precariato e addirittura che Berlusconi mi inviti alle feste del Bunga Bunga – Silvio, ti scongiuro, fallo. A prescindere dal politico che ha avanzato la trovata e sapendo bene che tanto non la realizzeranno mai, le domande da porsi sono fondamentalmente due. Ci vorrebbero i casini in questi tempi di presunta libertà sessuale? La risposta è sì. È civile pagare una donna perché ti apra le cosce? La risposta è no.
Vediamo di capire il perché, riguardo a entrambe le questioni. La libertà sessuale post ’68 è una balla colossale, una semplice invenzione della propaganda sinistrorsa. La libertà sessuale c’è sempre stata per quelli che potevano avervi accesso, proprio come oggi. C’era negli anni ’20, ’30, ’40, e via numerando. Pensate che esisteva persino nei secoli precedenti! Chi piace è sempre piaciuto e solitamente non ha mai dovuto faticare granché per rimediare una scopata. Poi ci sono gli altri, quelli che a furia di bussare alla porta qualcuno prima o poi ti apre, e quelli a cui le porte le sbattono semplicemente in faccia. Le donne che si indignano al pensiero di rendere nuovamente legale la prostituzione in Italia, adducendo le tesi che “oggi non è come ieri”, che “non ci sono più scuse”, che “tutti possono avere una vita sessuale”, o mentono sapendo di mentire, oppure, come si può facilmente sospettare, sono idiote e aggiungono sempre l’hashtag #metoo nei loro stati su Facebook. In verità, è garantito, perfino in questi tempi in cui vedi donne camminare mezze nude per strada, perizoma in vista, tette coperte da una fascetta di tessuto, se sei uno che non ha fortuna con il gentil sesso, la tua sorte non migliorerà in ragione di una libertà potenziale. Certo ci sarà qualcuno che se la spassa con loro, ma non sei tu. Per il sesso è un po’ come per il lavoro: chi ne ha tanto da non riuscire a stargli dietro e chi non lavora un’ora all’anno. O come per il denaro: gente che nel soldo ci naviga, altri che non sanno neppure che colore abbia. Sia chiaro, questo discorso vale anche per le donne. Certo per loro è più facile rimediare ma, se sei brutta forte, è difficile che si tratti di qualcosa di più di una veloce botta e via, uno sfogo, prima di essere subito riportata a casa.
«Le domande da porsi sono fondamentalmente due. Ci vorrebbero i casini in questi tempi di presunta libertà sessuale? La risposta è sì. È civile pagare una donna perché ti apra le cosce? La risposta è no»
Che poi la pratica della prostituzione sia fondamentalmente incivile, quello è tutto un altro paio di maniche. Incivile, triste, squallida, devastante per il cliente e la mercenaria: tu sai di dover pagare per avere ciò che alcuni ottengono gratuitamente, lei sa di dover barattare l’intimità del suo corpo per vivere. Ma del resto, come sottolinea Woody Allen, è ben difficile che andando con una donna “normale” non vi siano scambi che rimandino all’economico, o almeno atti a rendere più agevole l’economia della coppia. Per un rapporto spassionato, mille sono interessati – è raro che l’umanità faccia bella figura. Ma, a volerla dire tutta, se non è bello pagare una donna per farci stare sopra di lei, quasi niente di ciò che implica un pagamento è piacevole. Non è bello lo stipendio miserabile che percepisce un impiegato delle poste, considerato che dà in cambio la sua esistenza. Non è bello quello che riesce a portare a casa un libraio, o un qualunque negoziante, dopo aver pagato le tasse. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito. Insomma, quantunque vi sforziate di essere morali, il mondo non è un posto per chi non ha peli sullo stomaco. Lasciare queste disperate per strada non risolverà niente. La malavita si arricchisce (nessuno, peraltro, ha ancora capito che un terzo dell’economia è sommersa perché un terzo dell’economia gira intorno a droga e prostituzione). Le lucciole non possono pagare le tasse e sono costrette a vivere come fuorilegge. E, in ultimo, si dà unicamente modo ai trafficanti di esseri umani di portare qui altre povere ragazze dalla Nigeria e posti simili, questa volta sì per fare lavori che le italiane non vogliono più fare.
«In strada ci sono donne violate, oltraggiate, defraudate della propria femminilità per svenderla al primo satiro, anzi, al primo stronzo. Ma. Ma la prostituzione, per sua natura, è sacra. Perché? Perché l’arte dell’amare, liturgico possesso femminile, è l’arte per antonomasia»
Sicuramente, a sentire queste tesi, la Presidenta inorridirà e le femministe del #metoo emetteranno una fatwa. Francamente, me ne infischio. Rispolvero invece quella vecchia carogna di Montanelli e il suo Addio, Wanda, simpaticissimo pamphlet dei lontani anni ’50, in cui il gran maestro della prosa rivendica la necessità dei casini per l’Italia. Un Paese tradizionalmente basato sulla “Fede cattolica, la Patria, e la Famiglia” è perduto senza postriboli, perché è lì che “queste tre grandi istituzioni trovavano la più sicura garanzia”. Barbare usanze, ammette il Maestro, ma senza, preconizzava lui, diventeremo un paese dalla moralità e i costumi protestanti. Mai previsione fu più vera! Basti vedere l’isteria anti Weinstein. La famiglia si sfascerà perché non ci saranno più vergini e puttane, ma solo donne che “vivono la loro vita”. Subentrerà la “società” – ecco l’insistenza maniacale sui diritti civili. Ma noi non abbiamo una società, in Italia: “io vedo solo famiglie, in cui le lenzuola erano (in genere) pulite, solo perché i maschi potevano sporcare quelle dei bordelli”. Non aveva tutti i torti il filibustiere. Soprattutto non sbagliava nel dire che il peccato, intelligentemente non negato ma circoscritto entro la sua “sede”, limitava i danni: “al di là del Peccato, almeno in Italia, non c’è la Virtù. C’è il Vizio”. Naturalmente, questi sono solo pensieri di un vecchio reazionario. Noi che siamo sessualmente liberi e progressisti, adesso possiamo serenamente andare a digitare “Valentina Nappi” su YouPorn, addirittura scegliere il video in ragione del genere. Le varie tag (fetish, anal) servono a questo. YouPorn è fantastico in tal senso, ordinatissimo. Non c’è mai casino.
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Siamo ancora nell’Occidente puritano e punitivo. Ma tra dieci anni ci sarà la compravendita delle nerchie
di Davide Brullo
Partiamo dal presupposto iniziale. Cui seguirà, al posto dell’articolo consueto, una visione piuttosto realista del futuro prossimo. Presupposto. La prostituzione è cosa sacra. La brutalità dell’era presente ha fatto della prostituzione – come di ogni atto d’amore – una sporca faccenda di “prestazioni”. Tu me la dai, io tiro fuori quello che ho, il portafogli. D’altronde, la faccenda è “sporca”, lo sappiamo. In strada ci sono donne violate, oltraggiate, defraudate della propria femminilità per svenderla al primo satiro, anzi, al primo stronzo. Ma. Ma la prostituzione, per sua natura, è sacra. Perché? Perché l’arte dell’amare, liturgico possesso femminile, è l’arte per antonomasia. Le donne che desiderano insegnare l’arte ai pivelli, ai pisellini, sono impagabili: per questo le si paga, ma ogni cifra è sempre troppo poco per ripagare il calore di un corpo, le astuzie dei gemiti, le triangolari capriole dell’amare. Non è un caso che Socrate abbia per maestra somma Diotima, che conosce Eros, la quintessenza del sapere. Sul tema, per chi ha tempo e testa, bisogna leggere La struttura dell’iki di Kuki Shuzo (stampa Adelphi), in cui si eleva la geisha a suprema sapiente del cuore umano.
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Non aveva tutti i torti, quel filibustiere di Montanelli. Soprattutto non sbagliava nel dire che il peccato, intelligentemente non negato ma circoscritto entro la sua “sede”, limitava i danni