SocialdemocraticiLe nuove modifiche di Facebook non risolveranno il problema della cattiva informazione

La modifica sulla tipologia di contenuti che vedremo in news feed annunciata da Zuckerberg forse incentiverà le interrelazioni, ma non è un buon metodo per arginare la disinformazione. Chiudersi in bolle sempre più piccole non risolverà il problema

Lo scorso 12 gennaio Mark Zuckerberg ha annunciato una rilevante modifica sulla tipologia di contenuti che vedremo in news feed. Si tratta di un giusto passo da parte di Facebook nella direzione della trasparenza e della responsabilità?

Andiamo con ordine e richiamiamo l’ultima novità che arriva da Menlo Park. Due sono le premesse che si leggono nel post. La prima è che la piattaforma era nata per connettere e avvicinare le persone a cui teniamo di più, come peraltro ricorda il suo celebre slogan. La seconda è che gli utenti negli ultimi anni hanno sperimentato una diffusione sempre maggiore di contenuti da parte di marchi, aziende e media che hanno sottratto spazio proprio a quelli di amici e conoscenti. Secondo Zuckerberg questa tendenza ha dei risvolti negativi. Alcune ricerche mostrano infatti che mentre interagire fa sentire meno soli e contribuisce al benessere personale, visualizzare passivamente articoli o video, sia di informazione che di intrattenimento, può essere controproducente. L’obiettivo di Facebook è rendere positiva l’esperienza dei propri utenti e fare in modo che il tempo trascorso, sia ben speso. Ecco allora che viene presentata l’ultima novità: aiutare le persone a trovare contenuti in grado di stimolare interazioni sociali più significative. In altre parole, in news feed vedremo più post e video da parte dei nostri amici, dei nostri familiari e dei gruppi di cui facciamo parte, a discapito dei media o di altre pagine. Il motivo è semplice, come scrive lo stesso Zuckerberg: “Alcune notizie aiutano a iniziare una conversazione. Ma oggi troppo spesso, guardare video o ricevere gli aggiornamenti da una pagina, è solo un’esperienza passiva.”

Non è dato sapere quanto abbiano inciso su questa decisione il fatto che insieme a Google, la piattaforma controlli la stragrande maggioranza delle inserzioni pubblicitarie online, oppure le accuse relative alla proliferazione di notizie false o strumentalizzate. Proprio a questo proposto, il Financial Times, nell’articolo “Facebook’s news feed fix misses the real problem” dello scorso 12 gennaio, ipotizza le plausibili motivazioni alla base di questa scelta, dalla volontà di recuperare la dimensione sociale della piattaforma, a quella di offrire contenuti di qualità, dalla lotta alle famigerate fake news, fino al tentativo di eludere il tema della responsabilità di ciò che viene pubblicato. Il Financial Times evidenzia una perplessità condivisibile quando afferma che nulla assicura che la riduzione di video e post da parte dei media o delle pagine pubbliche migliori la qualità dei contenuti. In primo luogo perché ci si rinchiude ancor di più negli angusti spazi virtuali frequentati da chi la pensa come noi, poi perché la disinformazione non viene favorita dai singoli post ma dalla natura stessa della piattaforma, popolata da editori alla ricerca del click facile ma anche da troll. Il tema della responsabilità anche dopo la modifica in news feed non sembra sia stato affrontato in maniera risolutiva ed è un problema enorme per Facebook. Basti pensare che secondo il Pew Research Center, stando a un sondaggio condotto tra l’8 e il 21 agosto dello scorso anno, il 67% degli americani, si informa sui social media e, tra tutti i social network, è proprio Facebook la principale fonte di notizie. In particolare, il 66% degli americani adopera la piattaforma, la maggioranza lo fa per informarsi e rappresenta addirittura il 45% dell’intera popolazione Usa.

Leggere prevalentemente contenuti di amici e familiari forse incentiva davvero le interazioni ma non è detto che determini un miglioramento della qualità di video e post e quindi, di contenuti significativi. Con le modifiche in news feed Facebook forse somiglierà a una rimpatriata virtuale di amici e conoscenti che parlano di episodi della propria vita o che commentano i fatti di attualità. Sembra quasi di tornare al modo in cui era stato concepito in origine, ovvero un social che permetteva di mettersi in contatto con i vecchi compagni di college. Ma nel tempo molto è cambiato, il tema della responsabilità resta e a fargli compagnia ce n’è anche un altro, quello della trasparenza. Come vengono raccolti i nostri dati, a chi sono venduti, e soprattutto come interviene l’algoritmo a partire dai nostri meta-data? Non possiamo saperlo. Forse dobbiamo aspettare di leggere qualche altro post da Menlo Park, sicuri di vederlo tra i primi in news feed.

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