TaccolaOra di Sud ce ne sono due: Campania e Puglia crescono, Sicilia e Calabria crollano

Campania e Puglia hanno resistito di più alla crisi e hanno dimostrato di avere un tessuto imprenditoriale capace di recepire meglio i fondi pubblici. Calabria e Sicilia non reagiscono, a causa di istituzioni allo sfascio

Tiziana FABI / AFP

Si possono avere diverse reazioni all’ultimo “Check Up Mezzogiorno“, lo studio sull’economia delle regioni meridionali curato da Confindustria e Srm, li centro Studi e Ricerche per il Mezzogiorno del gruppo Intesa Sanpaolo. Si può vedere il bicchiere mezzo pieno, concentrarsi su un Pil salito nel 2016 più che nel Centro-Nord e sul +40% di investimenti industriali nel 2016 rispetto all’anno precedente; si può guardare ai 108mila nuovi occupati; alla crescita, di cui finalmente si ha traccia, delle medie imprese e dell’export; all’exploit del turismo e in particolare al +24% della spesa dei turisti stranieri. Oppure si può guardare al bicchiere mezzo vuoto, ma molto vuoto: ai numeri pessimi dell’occupazione giovanile, dell’istruzione, dell’accesso all’università, dei risultati dei test Invalsi; al saldo migratorio interno negativo per 62mila unità nel 2016 (11mila in più dell’anno precedente) e conseguentemente alle previsioni demografiche disperanti, con 5 milioni di abitanti in meno rispetto a oggi previsti nel 2066 (da 20 a 15 milioni) e un’età media che da più giovane si avvia a divenire più anziana della media nazionale. Oltre a una domanda di credito che continua a non trovare un’offerta sufficiente.


C’è poi un’altra lettura che si può riservare ai dati: quella di una spaccatura profonda tra diversi Sud. Lo dice con chiarezza lo stesso studio: vi è una «estrema diversificazione territoriale, che lascia intravedere un Mezzogiorno a più velocità» e questo è uno dei fattori che contribuisce a spiegare «l’andamento moderato della ripartenza al Sud». Se si guarda al Pil 2016, ci sono regioni in crescita più robusta come la Campania (+1,2%), il Molise (+1,2%), la Basilicata (+0,9%), la Puglia (+0,6%) e regioni con crescita meno vivace, o addirittura con un Pil pro capite in calo. I territori più in difficoltà sono quelli di Sardegna e ancor di più Calabria e Sicilia.

Da dove nasce questo andamento a diverse velocità? Una prima risposta è contenuta nella sintesi dello studio: Campania e Puglia hanno una base imprenditoriale più solida. Grazie a questa hanno potuto far registrare un calo minore del fatturato delle imprese negli anni della crisi, così come un minore calo degli occupati. Per rendere l’idea, tra il 2008 e il 2015 in Campania e Puglia il fatturato di tutte le imprese è sceso di circa il 10%, in Sicilia del 22% e in Sardegna del 27 per cento. Se si guarda alle sole attività manifatturiere, la Calabria segna un -46% e la Sicilia nu -31 per cento. Anche la Campania ha subito (-22%), molto meno la Puglia (-11%). La Campania è inltre la regione con il maggiore incremento delle imprese attive (oltre 6 mila in più nell’ultimo anno), quella con la quota maggiore di merci esportate in valore (7,6 miliardi nei primi 9 mesi dell’anno) e quella con il maggior numero di imprese “in rete”.

Da dove nasce questo andamento a diverse velocità? In primo luogo Campania e Puglia hanno una base imprenditoriale più solida. Grazie a questa hanno potuto far registrare un calo minore del fatturato delle imprese negli anni della crisi

Se si guardano ai numeri degli occupati – saliti di 108mila unità tra il terzo trimestre del 2016 e lo stesso periodo del 2017 grazie alla spinta della decontribuzione – oltre la metà, 65mila fanno riferimento a sole due regioni, la Campania (con quasi 35 mila nuovi occupati) e l’Abruzzo, con oltre 30 mila. In questo caso la Puglia non ha certo da festeggiare, perché vede fermo il numero dei suoi occupati, mentre Basilicata e Molise li vedono addirittura scendere.

La distanza tra le strutture imprenditoriali delle due regioni si vede anche dalla propensione all’export, cioè dal valore delle esportazioni di merci in rapporto al Pil. In una regione del Centro-Sud come l’Abruzzo questa quota è del 27%, in forte salita negli ultimi due anni. In Puglia e Campania è sopra il 10%. In Sicilia si ferma all’8,6% (in netta discesa), mentre in Calabria è addirittura di appena l’1,3 per cento. La Basilicata, grazie all’apporto di Fca, sfiora addirittura il 40% ed è la prima regione italiana.

Il contraltare è il buon andamento delle esportazioni nel 2017, con il terzo trimestre che ha visto una buona ripresa soprattutto della Sicilia (+32%). Segnali contrastanti (di segno positivo) sono anche quelli relativi al turismo. La Sicilia nel 2016 fu l’unica regione del Sud (con il Molise) a veder scendere sia gli arrivi che le presenze dei viaggiatori. I dati del 2017 (fino ad agosto) raccontano invece di una ritrovata capacità di attrarre i turisti stranieri e soprattutto la loro spesa, salita del 30% (sebbene la Sardegna abbia battuto tutti, con un +67%). Sono tutte condizioni che si ritrovano nell’indice sintetico del “disagio imprenditoriale”.

La distanza tra le strutture imprenditoriali delle due regioni si vede anche dalla propensione all’export, cioè dal valore delle esportazioni di merci in rapporto al Pil. In una regione del Centro-Sud come l’Abruzzo questa quota è del 27%, in Puglia e Campania è sopra il 10%. In Sicilia si ferma all’8,6% (in netta discesa), mentre in Calabria è addirittura di appena l’1,3 per cento

Questo disagio nasce anche dalla debolezza delle istituzioni. Su questo fronte, tra i dati che risaltano ci sono quelli sull’utilizzo del Fondo di Sviluppo e Coesione. Se si guarda l’uso effettivo del fondo rispetto alle spese preventivate a carico del fondo per gli interventi da realizzare, si vede che la media nel Centro-Nord è del 67%; nel Sud nel suo complesso è del 21%, con Campania e Molise ben oltre il 30%; mentre la Calabria si ferma al 10% e la Sicilia al 5,7 per cento. C’è poi il peso della criminalità organizzata; su questo basti ricordare che nella sola Sicilia si concentra un terzo di tutte le aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata in Italia.

Un quadro di sintesi sul contesto in cui le imprese si trovano a competere si ritrova nel cosiddetto “Indicatore di competitività regionale”, che pesa 74 sotto-indicatori.

Come si può vedere, anche regioni come la Puglia e soprattutto la Campagnia, mostrano punteggi molto bassi su variabili come la qualità delle istituzioni e l’efficienza del mercato del lavoro. A fare la differenza e a spingere verso il basso Calabria e Sicilia è la somma di bassi punteggi su diversi indicatori, come le infrastrutture, la formazione, l’efficienza del mercato del lavoro, la preparazione tecnologia e il grado di innovazione.

Sul lato della formazione Calabria, Sicilia e Sardegna hanno punteggi molto inferiori alle altre regioni del Sud nei test Invalsi di Italiano, registrano tassi di miglioramento mediamente inferiori negli abbandoni scolastici (con la Sicilia particolarmente in difficoltà) e fanno registrare più emorragie di immatricolati nelle università (un fronte che però vede uscire male anche la Puglia).

Sul lato della formazione Calabria, Sicilia e Sardegna hanno punteggi molto inferiori alle altre regioni del Sud nei test Invalsi di Italiano, registrano tassi di miglioramento mediamente inferiori negli abbandoni scolastici, con la Sicilia particolarmente in difficoltà

Su tutti questi temi possono agire, se spesi bene, i fondi europei del periodo 2014-2020, finora usati solo in piccolissima parte a causa di un avvio lento, a sua volta dovuto alla necessità di creare delle nuove autorità di gestione tematiche. I risultati attesi sono rilevanti e lo studio li riepiloga: 100 mila imprese dovranno essere supportate, ci saranno oltre 7.000 start up da far nascere, 2 milioni di cittadini dovranno essere raggiunti dalla banda larga; 350 km di ferrovie dovranno essere ristrutturati e oltre 250 km di trasporti urbani su rotaia dovranno essere costruiti; 4.000 nuovi ricercatori dovranno essere assunti e 5 milioni di studenti dovranno essere interessati da interventi di rinnovamento delle strutture scolastiche: oltre 1.200 dovranno essere i progetti di miglioramento della pubblica amministrazione.

«Risultati rilevantissimi – commenta lo studio di Confindustria e Srm – che sommati a quelli che potranno essere generati dalla politica di coesione nazionale sono davvero in grado di cambiare il volto del Paese e del Sud in particolare, incidendo in profondità su quei fattori di ridotta competitività che frenano la ripartenza, e di iniziare a scalfire altrettanto profondamente le condizioni di disagio sociale che sembrano così difficili da modificare». A condizione, però, conclude il Check-Up, «che i progetti siano effettivamente mirati al conseguimento di quei risultati, che la loro implementazione proceda spedita, che i cambiamenti organizzativi “importati” dalle regole comunitarie si estendano al complesso dell’azione pubblica e che questa azione di riequilibrio possa contare su un orizzonte temporale di medio lungo periodo».