Dovevano essere abolite. Ma i piani del governo Renzi, con la sconfitta referendaria, non sono andati a buon fine. E ora le province, dopo anni di crisi, dieci pre-dissesti e tre dissesti finanziari in corso, risorgono a nuova vita. Grazie al “miracolo” della legge di bilancio 2018, che prevede una iniezione nelle casse provinciali di 717 milioni per il 2018 e la riapertura delle assunzioni a tempo indeterminato. Più altri stanziamenti che – a conti fatti – quest’anno porteranno agli enti in agonia oltre 1 miliardo di euro.
Solo qualche giorno fa, a Crotone, il direttore del settore viabilità della provincia aveva ordinato ai capicantonieri di coprire le buche delle strade con quello che trovano ai bordi delle carreggiate. Il motivo: mancano i soldi per comprare altro materiale. E a Brindisi, gli studenti delle superiori rischiavano di farsi l’inverno al freddo perché i fondi provinciali per pagare il riscaldamento probabilmente non sarebbero bastati. Ora tutto questo potrebbe diventare solo un brutto ricordo.
Tutt’altro che abolite, nonostante gli slogan, le province in questi anni sono rimaste in un limbo. La legge Delrio, del 2014, le ha trasformate in enti di secondo livello, ma senza elezioni dirette, trasferendo alcune competenze alle regioni e riducendo il numero da 107 a 97. Le dieci in meno in realtà non sono state eliminate, ma sono diventate altrettante città metropolitane (Milano, Roma, Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria), con le stesse funzioni di prima. La riforma costituzionale prevedeva di abolire la parola “province” dalla Costituzione, rimandando a una legge ordinaria il riordino del sistema. Ma nel referendum del 4 dicembre 2016 ha prevalso il no, niente di tutto questo è mai avvenuto, e le province si sono salvate.
Ma a che prezzo. Perché nel frattempo sono partiti i tagli ai finanziamenti. Un miliardo è stato decurtato ancora prima dell’ipotizzato riordino, per una sottrazione totale di fondi pari a 5,2 miliardi in meno in quattro anni secondo i dati forniti dall’Unione delle province italiane (Upi). E su 48mila dipendenti, ne sono stati fatti fuori quasi 20mila, spalmati soprattutto nelle regioni. Fino a casi paradossali come quello pugliese, con gli ex poliziotti provinciali transitati nella polizia regionale e finiti dallo psicanalista perché chiusi in ufficio senza nulla da fare, dalla mattina alla sera.
La legge di bilancio 2018 prevede una iniezione nelle casse provinciali di 717 milioni per il 2018 e la riapertura delle assunzioni a tempo indeterminato. Più altri stanziamenti che – a conti fatti – quest’anno porteranno agli enti in agonia oltre 1 miliardo di euro
Intanto, con meno soldi e personale ridotto all’osso, le competenze delle province, però, sono rimaste le stesse. E che competenze: 130mila chilometri di strade e 6mila scuole da gestire. Tanto che dal 2013, 38 enti sono finiti sul lastrico, con i dipendenti senza stipendi da mesi. Che si sono fatti sentire lo scorso autunno in uno sciopero generale davanti a Montecitorio. Diverse strade provinciali poi sono state chiuse, e per molte altre – senza soldi in cassa – la manutenzione è venuta meno. O si è fatta con mezzi di fortuna, come dimostra la storia di Crotone. I presidi, invece, sono stati costretti a depennare diverse voci dai bilanci delle scuole, dai riscaldamenti alla manutenzione degli ascensori, dai certificati anti-incendio a quelli di agibilità sismica. La scorsa estate il presidente dell’Upi, Achille Variati, Pd, che è anche presidente della provincia di Vicenza, aveva lanciato l’allarme: «Il patrimonio pubblico che gestiamo, 130mila chilometri di strade e tutte le 5.100 scuole superiori italiane, si sta deteriorando in maniera pericolosa».
Ad oggi, dieci province (Asti, Novara, Imperia, Varese, Ascoli Piceno, Chieti, Salerno, Terni, La Spezia, Potenza) risultano in uno stato di pre-dissesto. E tre, Biella, Vibo Valentia e Caserta, hanno dichiarato il dissesto finanziario. Il decreto enti locali del 2017 messo una toppa, stanziando 73 milioni per compensare gli squilibri di bilancio, ma per mettere i conti a posto di milioni in realtà ne sarebbero serviti oltre 200.
Ora il governo Gentiloni, con la legge di bilancio 2018, ha “fatto il miracolo”. Facendo cantare vittoria all’Upi e al suo presidente Variati. La finanziaria prevede lo stanziamento di 428 milioni per quest’anno, di cui 317 per le province e 111 milioni per le città metropolitane. E a favore delle province viene destinato un ulteriore contributo di 110 milioni di euro annui per il 2019 e 2020 e di 180 milioni di euro annui a decorrere dal 2021. Questi soldi vanno sommati alle risorse già assegnate in precedenza, arrivando a 717 milioni di euro fondi annui per i prossimi tre anni. Più di quanto prevedeva la Sose, la spa creata da ministero dell’Economia e Bankitalia per gli studi di settore, che aveva stima in 650 milioni lo stanziamento necessario per il 2018. La legge di bilancio prevede poi anche una voce di spesa per sostenere il rientro delle province in dissesto e pre-dissesto: 30 milioni annui per tre anni.
«Dal 2018, con i contributi che abbiamo ottenuto, possiamo provare a ricominciare», dice Variati in una lettera inviata ai presidenti di provincia. «Certo, non abbiamo ancora raggiunto a pieno l’obiettivo della copertura delle spese per i servizi a fabbisogno standard, ma abbiamo una posizione di partenza avanzata da cui possiamo avviare il confronto con il Governo e il Parlamento che verranno, per consolidare ulteriormente i bilanci delle Province».
In Puglia gli ex poliziotti provinciali, transitati nella polizia regionale, sono finiti dallo psicanalista perché chiusi in ufficio senza nulla da fare, dalla mattina alla sera
Non solo. La manovra cancella pure il blocco alle assunzioni imposto dal 2015. «Potremo colmare quei vuoti nella pianta organica che si sono creati negli ultimi tre anni e assumere personale tecnico e amministrativo indispensabile», dice Variati. Lo sblocco è previsto sia per il personale a tempo indeterminato, ma in modo differenziato a seconda delle condizioni di sostenibilità finanziaria degli enti e senza mai superare il 20% delle entrate correnti, sia per quello a tempo determinato, ma senza superare il 25% della spesa sostenuta per i rapporti di lavoro flessibile nel 2009. In questo modo si potranno anche prorogare contratti di lavoro a tempo determinato in scadenza.
Senza dimenticare che sono previste anche le risorse per gli investimenti, con un fondo per la manutenzione delle strade da 1 miliardo e 620 milioni per sei anni. Per il 2018 sono previsti 120 milioni (di cui 35 destinati a mettere in sicurezza nove ponti sul Po), ma dal 2019 al 2023 la previsione è di 300 milioni annui a disposizione. E per l’edilizia scolastica, grazie all’accordo con governo, regioni e comuni, l’Upi ha ottenuto la riserva per le scuole superiori di almeno il 30% del fondo nazionale per il 2018–2020, che ammonta a 1,4 miliardi circa. Parliamo di altri 420 milioni circa. A conti fatti, solo per il 2018, parliamo di oltre 1 miliardo destinato alle casse delle province. L’Upi ha già sollecitato le province a predisporre i piani riorganizzativi entro il 31 gennaio, per pianificare la distribuzione delle risorse. E pensare che erano date per morte.