«L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo…». Il giornalista Giulietto Chiesa legge ad alta voce i primi articoli dalla nostra Costituzione. Al suo fianco l’ex magistrato Antonio Ingroia ascolta con attenzione. Il primo video promozionale di Lista del Popolo l’hanno girato in maneggio. Una location non casuale: il simbolo del nuovo movimento è un cavallo. Scelta obbligata, pare. «Stiamo promuovendo un programma politico rivoluzionario: si saltano gli steccati, mica si chiede permesso», spiega Chiesa. Per la presentazione dell’ultima sfida politica i due hanno scelto un albergo nel centro di Roma, proprio davanti a Montecitorio. Seduti su un divano raccontano ai presenti il loro progetto. Non un partito, sia chiaro. «Siamo un nuovo movimento politico, trasversale e fuori dagli schieramenti. Gli italiani di partiti non vogliono più sentire parlare». Sfondo arancione, chiaro riferimento alla Costituzione, un cavallo bianco al galoppo. Il prossimo 4 marzo il simbolo della Lista del Popolo sarà presente in buona parte dei collegi elettorali. Non in tutti, però. La raccolta firme è stata complicata. I movimento di Ingroia sarà candidato in otto regioni, già questo basta per sollevare i primi mal di pancia. Gli animatori dell’iniziativa denunciano un vero e proprio sabotaggio, se la prendono con il silenzio colpevole di molti media. «Siamo vittime di un tentativo criminale di estrometterci» alza la voce l’ex pm siciliano. Il riferimento è alla legge elettorale e la necessaria raccolta firme per le formazioni non presenti in Parlamento. «Abbiamo avuto poco più di due settimane, in condizioni quasi impossibili». Nessuno ha pensato a un escamotage? Magari un apparentamento per aggirare le norme, come hanno fatto i Radicali di +Europa? Ingroia quasi si offende. «Noi non cerchiamo padroni da cui farci adottare», risponde sdegnato. Poi, sorridendo, rivela una notizia potenzialmente clamorosa. Alcuni partiti avrebbero compiuto gravi irregolarità nella presentazione delle liste. «So che sono già in corso alcune indagini della polizia giudiziaria sulla presenza di firme false». Probabilmente nei prossimi giorni se ne saprà di più.
Il simbolo del nuovo movimento è un cavallo. Scelta obbligata, pare. «Stiamo promuovendo un programma politico rivoluzionario: si saltano gli steccati, mica si chiede permesso». Non un partito, sia chiaro. «Siamo un nuovo movimento politico, trasversale e fuori dagli schieramenti. Gli italiani di partiti non vogliono più sentire parlare»
Dopo la delusione di Rivoluzione Civile, Ingroia riprende la strada verso il Parlamento. Ma senza dimenticare gli errori del passato. Il leader del nuovo movimento indica i partiti politici con cui aveva cercato una sintesi come la vera zavorra di quell’esperienza. Poi si lascia andare a una confidenza. «Il vero errore strategico che ho commesso allora? Cercare il mito dell’unità della sinistra». Adesso si cambia. Come recita il programma, la Lista del Popolo è un’alleanza della società civile «costituita da donne e uomini coraggiosi». Basta partiti. Lo sbarramento al 3 per cento rappresenta un ostacolo difficile da superare, ma Ingroia si dice ottimista. «Non abbiamo paura». Il bacino elettorale a cui guardano i dirigenti, del resto, è potenzialmente sconfinato. Si cercano voti tra gli astenuti. «Ci rivolgiamo al 50 per cento degli italiani che non vota più». L’obiettivo principale del movimento è l’attuazione della nostra Carta fondamentale. «Il nostro è un programma rivoluzionario – insiste Giulietto Chiesa – siamo gli unici che propongono di tornare alla Costituzione del 1948». Si parla di sovranità nazionale e indipendenza. Si parte dalla rinegoziazione e, in casi estremi, dalla cancellazione dei trattati europei che violano la Costituzione. L’Italia deve tornare un paese neutrale. Oggi siamo una colonia, spiegano. «Bisogna porre fine allo stato attuale di paese subalterno, uscire da ogni blocco militare» e liberare il territorio dalle bombe atomiche (oggi presenti nelle basi americane).
Popolari e populisti, perché no? Il nome del movimento non fa mistero delle proprie inclinazioni. «I populismi sono legittime rivolte di popolo – spiega Chiesa – Il popolo è incazzato, ha tutto il diritto di protestare»
Sono almeno due le riforme economiche che possono essere attuate in tempi rapidi. La trasformazione della Cassa Depositi Prestiti in banca pubblica e l’emissione di una moneta fiscale complementare all’euro a circolazione interna. Di questo aspetto programmatico, in particolare, si è occupato Stefano Sylos Labini. In tema di lavoro la Lista del Popolo propone l’abrogazione di tutte le norme che «hanno determinato la precarietà sociale». Un colpo di bianchetto alla legge Fornero e al Jobs Act, per cominciare. Senza dimenticare la reintroduzione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In certe cose il programma ricorda l’esperienza dei grillini. Ingroia non nega alcune somiglianze. «Non faremo alleanze, siamo alternativi a tutti gli schieramenti. Ma riconosco alcune similitudini con i Cinque Stelle, anche se ormai hanno interrotto il loro processo di maturazione». Spulciando il programma distribuito ai presenti colpiscono alcune iniziative. La riforma della giustizia passa dalla piena applicazione delle norme sulla confisca dei beni ai mafiosi, ma anche ai politici corrotti. E poi una mega richiesta danni. La Lista del Popolo annuncia il «lancio della più grande “class action” popolare contro le agenzie di rating per rivendicare un risarcimento di 120 miliardi di euro, da distribuirsi pro-quota alle categorie che vi aderiranno». Popolari e populisti, perché no? Il nome del movimento non fa mistero delle proprie inclinazioni. «I populismi sono legittime rivolte di popolo – spiega Chiesa – Il popolo è incazzato, ha tutto il diritto di protestare». Magari votando per la lista del Popolo.